Perché la testimonianza di Mike Pence è così importante
Si continua a indagare su Donald Trump e, ancora una volta, sotto la lente degli inquirenti sono finiti i fatti di Capitoll Hill del 6 gennaio 2021 e le conseguenze delle elezioni presidenziali che – poco prima – videro la sconfitta del presidente repubblicano. Cosa è successo esattamente? E fino a che punto il tycoon è coinvolto nella vicenda? Sono domande alle quali la giustizia americana è sempre più motivata a trovare una risposta e, questa volta, lo farà avvalendosi delle parole di chi, forse più di tutti, si trovava accanto al presidente.
Una prima
Già, perché ora sul banco dei testimoni si è accomodato niente meno che Mike Pence, l’allora vicepresidente al fianco di Trump. «Una prima nella storia moderna», nonché «una svolta epocale nell’indagine penale», spiega la CNN. Infatti non era mai successo che un vicepresidente americano fosse chiamato a testimoniare fatti che riguardano proprio il presidente che ha affiancato. Una testimonianza non da poco, dal momento che Pence è rimasto in udienza davanti al giudice per oltre cinque ore.
Speech and Debate Clause
Non solo. Sulla questione si è pure espresso Marc Short, consigliere politico ed ex capo di gabinetto del vicepresidente degli Stati Uniti, che ha delineato l’unicità degli aspetti legali della vicenda. In particolare la Speech and Debate Clause. Una clausola della Costituzione degli Stati Uniti con una missione molto speciale: impedire a un presidente degli Stati Uniti (o ad altri funzionari dell’esecutivo) di fare arrestare o bloccare una determinata persona per non permetterle di votare in un certo modo o di intraprendere azioni con le quali il presidente potrebbe non essere d'accordo. Nel caso di Pence – spiega Short –, «è la prima volta che un giudice riconosce che tale clausola sia applicata a un vicepresidente degli Stati Uniti». Pence è quindi «tenuto a raccontare» le vicende che lo legano a Trump. Anche se queste ultime dovessero andare a svantaggio dell'ex presidente.
Le conversazioni con Trump
Particolarmente attenzionate dalla giustizia americana sono le conversazioni dirette che Pence ha intrattenuto con l’ex presidente americano fino alla fatidica data del 6 gennaio 2021. Data che, lo ricorderete, vide l’assedio di Capitol Hill da parte dei sostenitori di Trump per protestare contro i risultati delle elezioni. Testimonianze che adesso Pence si trova a dover riferire per la prima volta sotto giuramento davanti al Gran Giurì di Washington. L’interesse degli inquirenti per queste conversazioni porta in primo luogo sulla vicinanza di Pence a Trump e alla Casa Biana. Ma anche – e soprattutto – sul sospetto di chi indaga che dai racconti possano emergere le prove di un eventuale «comportamento corrotto» da parte dell’ex presidente. Sempre secondo la CNN, la tesi è che Trump avrebbe fatto «ripetutamente pressione, senza successo, per bloccare il risultato delle elezioni del 2020, compresa la mattina del 6 gennaio in una telefonata privata».
Cosa è successo?
Le conversazioni sarebbero quindi un vero e proprio punto cardine per cercare di fare chiarezza sui fatti del 6 gennaio. Anche perché quel giorno Pence era lì presente a Capitol Hill e sarebbe sfuggito per un soffio alla rabbia dei contestatori. Di più. L’ex vicepresidente avrebbe affidato a un suo libro di memorie alcune informazioni riguardo a questi scambi con Trump, proprio sui risultati delle elezioni. In questo libro, riporta la CNN, Pence avrebbe raccontato di aver «richiesto al suo consigliere generale un briefing sulle procedure della legge sul conteggio elettorale dopo che il presidente, in una telefonata del 5 dicembre, aveva accennato per la prima volta a contestare i risultati delle elezioni alla Camera dei rappresentanti». Oltre ad altri commenti sulle conversazioni private avute con Trump solo pochi giorni prima del 6 gennaio.
Bloccare tutto
La testimonianza di Pence davanti al Gran Giurì ha prodotto, immancabilmente, degli ostacoli. Proprio da parte di Trump e dello stesso Pence. I due si erano infatti rivolti al tribunale facendo espressa richiesta di bloccare il mandato di comparizione dell’ex vicepresidente. Un tentativo che però non ha avuto successo: alla fine i giudici l’hanno legalmente spuntata. Con buona pace di Trump e Pence. Mettendo così quest’ultimo in «una posizione unica, interessato da un mandato di comparizione senza precedenti».