Perché l'UE non vuole concedere alla Svizzera la clausola unilaterale sull'immigrazione?
«Bruxelles è stata chiara, ma la sua risposta non sorprende». L’Unione europea non intende lasciare che sia la Svizzera a controllare l’immigrazione proveniente dall’UE su suolo elvetico. Il messaggio dei 27 Stati membri recapitato martedì a Ginevra dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen alla presidente della Confederazione Viola Amherd non lascia spazio a interpretazioni. La clausola di salvaguardia unilaterale sull’immigrazione, con ogni probabilità, non farà parte dei Bilaterali III. Punto a capo.
Un brutto colpo per i negoziati tra Svizzera e Unione europea che tuttavia non sorprende René Schwok, professore ordinario in studi europei all’Università di Ginevra: «La risposta dell’Unione europea è coerente con quanto detto e ribadito per anni. Bruxelles non intende accettare alcuna clausola di salvaguardia unilaterale da parte della Svizzera sull’immigrazione». Del resto basterebbe guardare quanto accaduto nel 2014: «Dopo l’approvazione popolare dell’iniziativa UDC contro l’immigrazione di massa, il Consiglio federale aveva cercato di ottenere dall’UE una clausola di salvaguardia unilaterale. Già in quell’occasione, però, Bruxelles aveva risposto picche». Secondo Schwok, oggi si torna a discutere di un tema, pur sapendo che l’Unione europea si è già espressa. «Sarei piuttosto sorpreso del contrario, ossia che l’UE accettasse la richiesta svizzera». Per Bruxelles la libera circolazione delle persone è infatti sacra: un’eventuale limitazione violerebbe uno dei principi fondamentali dell’Unione europea. Del resto, fa notare ancora Schwok, neppure l’Intesa comune raggiunta dal Consiglio federale e dalla Commissione europea dopo 18 mesi di colloqui esploravi menziona questa possibilità: «Il documento, che in maniera piuttosto dettagliata descrive il pacchetto di misure sottoposto a negoziati, non prevede nessuna clausola di salvaguardia con limiti quantitativi sull’immigrazione». La richiesta svizzera semplicemente va oltre il campo d’indagine dei negoziati. Pertanto, il secco no dell’Unione europea non deve sorprendere. Come non deve sorprendere le parole con cui Ursula von der Leyen ha commentato il rifiuto: «La clausola unilaterale pensata da Berna va troppo lontana».
E ora che cosa succede?
Sulle tempistiche, martedì l’UE - a margine dell’incontro con Viola Amherd - ha chiarito l’intenzione di voler chiudere i negoziati entro la fine dell’anno. Dal canto suo, il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) - attraverso il suo portavoce, Nicolas Bideau - ha fatto sapere di non avere fretta. «Quando riterremo che gli obiettivi del Consiglio federale sono stati raggiunti, concluderemo i negoziati». Una frase sibillina che in realtà sorvola i possibili rischi di stallo nelle trattative. «Il no categorico dell’UE pone il Consiglio federale di fronte a un possibile punto di rottura», e questo nella misura in cui «la Confederazione si trova a inseguire un obiettivo che non ha fondamento nell’Intesa comune».
Una clausola temporanea
Forme di compromesso, tuttavia, non sono da escludere a priori, spiega ancora l’esperto per il quale la Svizzera a questo punto potrebbe cercare una soluzione intermedia. «Quanto è entrato in vigore l’accordo sulla libera circolazione, la Svizzera ha avuto a disposizione un periodo di 12 anni durante il quale ha potuto limitare l’arrivo di immigrati provenienti dall’UE». Una clausola di salvaguardia unilaterale potrebbe dunque ancora essere concessa, ma solo con una validità temporanea di alcuni anni. «Un precedente esiste. Non possiamo quindi escludere che si lavori su un accordo simile».
Allo stesso tempo - osserva però Schwok - dal punto di vista dell’UE, negli accordi Bilaterali III, non c’è nulla che giustifichi l’introduzione di una quota numerica nell’afflusso di immigrati verso la Svizzera. Detto altrimenti: «Agli occhi dell’UE, gli accordi Bilaterali III non produrranno cambiamenti tali da richiedere l’introduzione di una clausola di salvaguardia unilaterale per la Svizzera. Il problema semplicemente per l’UE non si pone».
Più in generale, Schwok non nasconde che il Consiglio federale oggi si trova in una situazione delicata a causa delle forti pressioni politiche interne al Paese: «Da una parte ha promesso la clausola di salvaguardia unilaterale, dall’altra sa di non poterla ottenere. È dunque importante che riesca a raggiungere almeno un compromesso».
Contro il «turismo sociale»
Accanto alla clausola di salvaguardia unilaterale ma limitata nel tempo, Schwok intravede anche una seconda via d’uscita. Come misura per disincentivare l’immigrazione, il Consiglio federale potrebbe insistere sulla necessità di ottenere garanzie per evitare il cosiddetto «turismo sociale», ossia il fenomeno che vede persone trasferirsi temporaneamente o stabilmente in un altro Paese, sfruttando le normative sulla libera circolazione, principalmente per ottenere benefici sociali, come assistenza sanitaria, sussidi di disoccupazione o altri vantaggi economici. «L’Intesa comune non prevede clausole di salvaguardia unilaterali sull’immigrazione con limiti quantitativi, ma considera la possibilità di fare capo a misure specifiche di salvaguardia contro il turismo sociale». Vedremo se un’eventuale soluzione di questo tipo sarà sufficiente per incassare il sostegno del popolo chiamato, un domani, a esprimersi sul pacchetto negoziato.