Perché Mosca chiude i rubinetti del gas
I timori, alla fine, si sono concretizzati: la Russia ha chiuso i rubinetti del gas a Polonia e Bulgaria, dopo che i due Paesi si sono rifiutati di pagare le importazioni in rubli. E presto la stessa sorte potrebbe toccare anche a tutti gli altri Stati considerati «ostili», come ha auspicato il presidente della Duma. «Gazprom ha sospeso completamente la fornitura di gas a Bulgaria e Polonia. Lo stesso dovrebbe essere fatto verso i Paesi a noi ostili», ha precisato Vyacheslav Volodin su Telegram. L’Europa, però, pare certa di non voler cedere al «ricatto». «Siamo preparati per questo scenario. Stiamo tracciando una risposta coordinata dell’UE», ha risposto la presidente della Commissione UE, Ursula von der Leyen. «Gli europei - ha assicurato - possono aver fiducia nel fatto che siamo uniti e solidali con gli Stati membri colpiti», mentre Bulgaria e Polonia «stanno ricevendo gas dagli Stati vicini dell’UE».
Il tentativo di spaccare l’UE
Ma come leggere la decisione della Russia? «Sicuramente è un messaggio politico, probabilmente diretto a Paesi come Germania e Italia», risponde Giovanni Sgaravatti, ricercatore al Bruegel, think tank economico basato a Bruxelles. Le ragioni ufficiali avanzate da Gazprom, infatti, poggiano sul mancato pagamento in rubli delle forniture. «Richiesta alla quale la maggior parte delle compagnie UE non si è adeguata», dice Sgaravatti, secondo il quale, quindi, «la strategia del Cremlino sembra essere quella di spaccare l’UE sul pagamento del gas». Sul tema, von der Leyen è stata perentoria: «Le recenti linee guida europee sulla questione dei pagamenti sono molto chiare: pagare in rubli, se non è previsto nel contratto, è una violazione delle nostre sanzioni». Per il momento, le conseguenze sui due Paesi finiti nel mirino di Mosca sono limitate. «Il contratto con la Polonia - rileva Sgaravatti - è di 10 miliardi di metri cubi all’anno, ossia il 50% del consumo. Il Paese, dunque, può far fronte a questo stop grazie al gas naturale liquefatto e allo stoccaggio, che è pieno al 76%. Il contratto con la Bulgaria, invece, è di 3 miliardi di metri cubi all’anno e rappresenta il 90% del consumo. Poiché il gas è usato prevalentemente per il riscaldamento, non è un problema a breve termine. La questione si porrà il prossimo inverno, ma il Paese può ottenere gas dalla Romania e presto inizierà a importare dall’Azerbaigian, attraverso un nuovo interconnettore che lo collega alla Grecia». Non solo. «I contratti di Polonia e Bulgaria scadevano nel 2022. Entrambi gli Stati hanno detto di non volerli rinnovare. Il gas, inoltre, conta solo, rispettivamente, per il 13 e il 12% del loro mix energetico».
Di fronte alla minaccia dell’interruzione delle forniture, i Paesi europei si stanno muovendo per cercare alternative. Il ministro dell’Economia tedesco, Robert Habeck, ha fatto sapere che la dipendenza del Paese dal gas russo «è calata al 35%», assicurando che «gli approvvigionamenti per l’estate sono garantiti». Allo stesso tempo, però, Habeck ha anche ammesso che «la previsione di crescita del 2,2% del PIL stimata dal Governo non presuppone un embargo o un blocco energetico russo». Di conseguenza, se si andasse in questa direzione, «l’economia della Germania piomberebbe in recessione. Ma dobbiamo essere preparati a pagare questo prezzo», ha aggiunto.
Verso un nuovo pacchetto
Intanto, l’Unione europea continua a lavorare su un nuovo pacchetto di sanzioni che stavolta dovrebbe riguardare anche lo stop, probabilmente graduale, alle importazioni di petrolio dalla Russia. Evitando, però, che la misura si traduca in un autogol per i Paesi europei. In questo senso, secondo Sgaravatti, «imporre una tariffa sul petrolio e sul gas russo è probabilmente la sanzione più intelligente che l’UE possa lanciare in questo momento». Una soluzione che avrebbe un doppio vantaggio: «Permetterebbe di colpire direttamente le finanze del Cremlino e di fornire un sollievo necessario alle casse dell’UE». La maggior parte dell’onere, infatti, «sarebbe sostenuto dalla Russia, dato che non può permettersi di smettere di vendere, in questo momento, sia il petrolio che il gas all’UE». Soprattutto perché «le rigidità infrastrutturali sono maggiori da parte russa che da parte dell’UE, e le finanze russe dipendono in larga misura dalle esportazioni di petrolio e gas proprio verso l’UE». Attivare una tariffa sull’importazione di gas e petrolio, inoltre, «non dovrebbe necessariamente implicare una rinegoziazione dei contratti», visto che con l’invasione russa dell’Ucraina, «l’Europa potrebbe invocare l’esenzione per la sicurezza nazionale contenuta in un articolo dell’accordo generale sulle tariffe e il commercio dell’Organizzazione mondiale del commercio». Infine, porre un limite unilaterale al prezzo del gas sarebbe una leva in ottica negoziale: «Le tariffe hanno il vantaggio di essere modulabili, qualcosa di prezioso in una situazione in continua evoluzione, mentre non implicano le stesse conseguenze economiche di un embargo energetico».
Le alternative
Allentando la dipendenza da Mosca, però, per l’UE si pone il problema di cercare altri Paesi da cui rifornirsi. Per l’importazione di gas, un certo sostegno sta arrivando dagli USA, «che hanno già aiutato moltissimo a ridurre la dipendenza dalla Russia, passata dal 47% tra gennaio e febbraio del 2021, al 28% di quest’anno». Ma, secondo l’esperto, l’UE dovrebbe anche puntare a un utilizzo maggiore dei gasdotti che la collegano alla Norvegia, all’Azerbaigian e, in particolare, al Nord Africa, «dove i flussi fisici nel 2021 sono stati circa la metà della capacità infrastrutturale». Contemporaneamente, «la produzione domestica dovrebbe anche aumentare in Olanda, Romania, Italia e Danimarca». Per quanto riguarda la domanda, «sarebbe importante ritardare l’abbandono del nucleare, in particolare in Germania, e accelerare il passaggio alle rinnovabili, incentivando il risparmio energetico anche a livello domestico». Come? Ad esempio, abbassando il riscaldamento di un grado e mezzo nei mesi invernali: «Ci potrebbe far risparmiare quasi il 10% del gas acquistato dalla Russia». Dimezzare l’utilizzo dei condizionatori, invece, «potrebbe avere un impatto di circa il 5% della domanda di gas russo nell’UE». Più semplice, per contro, reperire il petrolio altrove, visto che «il mercato è molto più liquido di quello del gas». In questo caso, spiega l’esperto, i principali produttori sono i Paesi OPEC, tra cui Arabia Saudita, Emirati Arabi e Iraq; ma anche gli Stati Uniti «possono giocare un ruolo importante nel coprire le forniture mancanti, se necessario». I membri dell’OCSE, ricorda Sgaravatti, detengono riserve strategiche di petrolio per 1,5 miliardi di barili. «Questa fornitura potrebbe compensare le esportazioni russe a rischio per circa un anno». Mentre le riserve dell’industria petrolifera sono altri 3 miliardi di barili. «Pertanto, un embargo immediato sul petrolio russo può essere mitigato attingendo lentamente alle scorte strategiche mentre si aumenta la produzione in altri Paesi».
Ognuno per sé
Di fatto, però, ancora una volta i Paesi dell’UE si stanno muovendo in maniera autonoma. E questo potrebbe essere un problema. «In maniera simile a crisi passate - sostiene Sgaravatti - l’UE dovrebbe organizzare un ente istituzionale che rappresenti gli interessi degli Stati membri con un’unica voce. Questo sarebbe importante, per esempio, per l’acquisto congiunto di gas, lo stoccaggio e l’architettura del mercato energetico dell’UE». Anche perché molti Governi stanno già bussando alla porta di Paesi poco stabili politicamente, con il rischio, in futuro, di andare incontro a nuovi problemi. Di qui, l’importanza di «non ripetere l’errore di mettere tutte le proprie uova in unico paniere, soprattutto se illiberale e autocratico».