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Perché noi si voleva comprendere Luciano Spalletti

Gli ideali di Spalletti, e il modo in cui il ct dell’Italia cerca di veicolarli, sono speciali – La grammatica e il linguaggio del corpo dell’allenatore toscano si distinguono dalla monotonia
Massimo Solari
20.06.2024 06:00

Luciano Spalletti assomiglia a un professore. Un professore colto di vita. Delle cose semplici, anche, della vita. Il suo pensiero, le sue lezioni, non sono tuttavia una didascalia. Un concetto pulito, toh, da portare in fretta da una maiuscola a un punto. Gli ideali, per quanto cristallini, possono nascere da tormenti e ossessioni. E per il commissario tecnico dell’Italia il calcio rappresenta un ideale.

Oh fiorentino

A poche ore dal match contro la Spagna, la partita di cartello dell’intera fase a gironi, abbiamo scelto un banco in seconda fila. E osservato la lezione dell’allenatore nato a Certaldo. Il linguaggio del corpo di chi la impartiva. Soprattutto la sua costruzione retorica. Sì, perché il fiorentino presenta un quadro grammaticale particolare. E noi, appunto, si voleva provare a comprenderlo. Si voleva provare a comprendere Luciano.

Proprio l’utilizzo del pronome soggetto in chiave impersonale, in fondo, aiuta a definire il personaggio. Che è un continuo avanzare e indietreggiare. A ogni domanda partorita dalla sala stampa di Gelsenkirchen, per dire, Spalletti sembra ritrarsi. O meglio, sistemarsi al di sopra della platea. Il ct azzurro abbassa puntualmente lo sguardo, osserva gli appunti, scrive e cerchia altre note. Poi morsica il tappo della biro blu. E una volta giunto il suo turno, dopo un immancabile sospiro, prova per l’appunto ad avvicinarsi. Gli occhi del 65.enne mirano sovente al soffitto, come se l’ideale venisse tratteggiato lì, mentre è impegnato a spiegarlo agli altri. Una sorta di epifania. Che a parole, tuttavia, fatica a farsi largo.

«Un’identità di comportamento»

Per esempio: essere aggressivi o propositivi? O entrambi? «Il tentativo va fatto» afferma. «Ci sono da mettere a posto dei momenti dentro la partita. Dove s’interpreta che qui bisogna andare, bisogna andare forte. E qui gli si concede campo e bisogna lasciarli entrare un po’ di più. Dipende sempre dalle distanze di squadra. Dipende sempre dove sei con il blocco squadra, da che situazione vieni». D’accordo. Ma per Spalletti, al cospetto degli iberici e per dare continuità al successo ottenuto sull’Albania, serve anche altro. Il contenitore è sempre lo stesso. La ricerca di un calcio «relazionale», come lo definisce lui. «Allora noi bisogna avere un’identità di comportamento» spiega. Gli crediamo. Così come proviamo a seguirlo quando sostiene che non basta essere capaci di fare una cosa sola. L’uno contro uno oppure l’ala brava difendere. «In alcuni giocatori bisogna essere bifasici. Che bisogna fare sia questo, quello e quell’altro. Con la fase difensiva e con la fase offensiva. In altri calciatori gli si concede qualcosa di più. Perché più abbiamo… Però, ormai, è difficile trovare uno specializzato per fare quello e basta». In effetti. Le metafore, va da sé, si sprecano. Dalla dama alla moda. «Con che vestito ci presenteremo? Noi siamo vestiti da Giorgio Armani. Che è conosciuto in tutto il mondo. Si va lì con lo stesso abito. E però pronti a sporcarselo».

Le distanze e le carezze

Al fianco del selezionatore azzurro siede Michael Folorunsho. È emozionato. È il primo grande torneo, lui che solo un anno fa disputava i playoff di Serie B con il Bari. Cerca di spiegare quello che sente, quello che sogna, e però appena iniziata la risposta Spalletti si gira molto lentamente nella sua direzione, la fronte aggrottata, e così finisce che «Folo» un po’ s’incarta. Anche qui il ct pare voler imporre delle distanze. Suggerire una gerarchia. Già. Poi però, verso il crepuscolo della lezione, allarga il braccio sinistro e accarezza il giocatore del Verona. Lo accarezza proprio. Torna Luciano. Con i suoi messaggi. Il suo ideale di bel gioco che non può venire sganciato dalla ricerca costante della vittoria. Anche contro la favorita Spagna che, ammonisce, non deve tuttavia sopravvalutarsi. «Tutti abbiamo delle storie da raccontare. I calciatori si accorgeranno, quando avranno la mia età, che hanno bisogno di storie da raccontare. E questa è una di quelle partite che può determinare una di quelle storie». Campanella.

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