Persecuzione continua
«Esprimiamo seria preoccupazione per l’apparente intensificarsi in tutto il Paese della sistematica presa di mira di donne iraniane appartenenti alla minoranza religiosa bahá’í». È una delle affermazioni contenute nella lettera di denuncia alla Repubblica islamica dell’Iran redatta da un gruppo composto da diciotto Relatori speciali delle Nazioni Unite e da esperti del Gruppo di lavoro dell’ONU, inviata a fine luglio al governo iraniano con richiesta di una risposta entro 60 giorni. Risposta finora mai arrivata, come reso noto dal comunicato diffuso a mezzo stampa dalla Comunità bahá’í d’Italia il 22 ottobre 2024. Anzi, arrivata in forma esplicita proprio il giorno prima, 21 ottobre, con la notizia della condanna di 10 donne bahá’í di Isfahan, nell’Iran centrale, a «90 anni complessivi di prigione, multe ingenti, confische di proprietà, divieti di viaggio e altre restrizioni».
Oppressione continua
La storia di oppressione contro i bahá’í si radica nel memorandum del 1991 «La questione bahá’í», sottoscritto dalla Guida suprema l’Ayatollah Ali Khamenei, che chiedeva di «bloccare il progresso e lo sviluppo» della comunità bahá’í. Oppressione ulteriormente stigmatizzata nell’aprile 2024 nel rapporto di Human Rights Watch - l’organizzazione non governativa internazionale che si occupa della difesa dei diritti umani con sede principale a New York - intitolato «The boot on My Neck» («Lo stivale sul mio collo»), il quale ha stabilito che «la repressione sistematica durata 45 anni dei bahá’í da parte del governo iraniano costituisce un crimine persecutorio contro l’umanità ai sensi del diritto penale internazionale».
«Le donne istruite danno ancora fastidio»
Per commentare questi sviluppi, abbiamo contattato Feri Mazlum, ingegnere iraniano e «ticinese» d’adozione, appassionato studioso della storia e delle religioni della sua terra e sostenitore delle attività bahá’í in Ticino. Una lettera di denuncia di relatori dell’ONU, il rapporto di Human Rights Watch... ma in Iran la situazione non muta e le risposte alle denunce sono sempre nuove condanne… «Bisogna sapere - osserva Feri Mazlum - che il governo teocratico dell’Iran ha orecchie sorde riguardo alle persecuzioni dei bahá’í in Iran perché per loro farle è una cosa dovuta. Di più, per loro è un vanto eseguirle piuttosto che un motivo di vergogna».
Perché il governo iraniano si accanisce contro la comunità bahá’í, quale minaccia vede? «Il pericolo è molto semplice, nella fede Baha’i non esiste il clero, non esiste autorità individuale. Bahá'u'lláh (1817-1892), profeta e fondatore della fede bahá’í, ha detto che l’epoca del clero è finita, tutto dovrebbe essere deciso collegialmente, con istituzioni elette a livello locale, nazionale e mondiale, in poche parole, quello che si fa nel mondo moderno». Un pericolo vissuto come mortale dall’autorità iraniana. «Il clero musulmano ha l’autorità, se non si ascolta quello che dice si è condannati all’inferno. Fine».
Oltre a subire le stesse pressioni cui sono sottoposte tutte le altre donne in Iran, le donne bahá’í sono anche esposte al diniego di accesso all’istruzione e all’impiego pubblico, e vengono arrestate e imprigionate per essere seguaci della fede bahá’í. Perché, questo accanimento riservato più alle donne che agli uomini? «Perché gli uomini che potevano incarcerare o uccidere ormai li hanno imprigionati e uccisi. Però ci sono le donne, che hanno orecchie per ascoltare e occhi per vedere. In passato, soprattutto nell’Islam, la donna non aveva alcun diritto. Basti pensare che prima erano soltanto gli uomini a poter insegnare nelle scuole elementari, medie, eccetera. Oggi ci sono anche le donne. E le donne istruite, soprattutto quelle nella comunità bahá’í, si danno da fare, danno molto fastidio al governo, che si accanisce su di loro».
La soluzione ideale sarebbe che i persecutori smettessero di opprimere. Ciò non accade, alle denunce seguono sempre nuove incarcerazioni e condanne. Come interpreta le denunce pubbliche citate all’inizio? «Penso che le denunce nei confronti del governo iraniano siano uno strumento efficace per fare in modo che si renda conto che il mondo lo sta osservando. Il ladro continua a rubare fino a quando non viene visto e denunciato. Visibilità e denuncia sono un freno, o almeno si spera che possano esserlo».
#OurStoryIsOne
La dichiarazione congiunta degli esperti delle Nazioni Unite fa seguito alla commemorazione internazionale della campagna #OurStoryIsOne, lanciata dalla Bahá’í International Community (BIC) con sede a New York e Ginevra nel 2023 e proseguita fino al 2024, per onorare il quarantesimo anniversario dell’esecuzione di dieci donne bahá’í avvenuta nel 1983 a Shiraz, in Iran (vedi foto), e per far luce sulla violenza di genere e le persecuzioni religiose in corso in Iran da 45 anni.