La tradizione

Persino San Pietro e Paolo

Il Ticino è il cantone che festeggia più di tutti – Ma non è per forza un male per l'economia
© CdT / Chiara Zocchetti
Andrea Stern
Andrea Stern
29.06.2024 19:44

È un mix di fattori che ha portato il Ticino a laurearsi campione svizzero delle festività. Da una parte c’è il cattolicesimo, che regala molte più solennità del protestantesimo. Da un’altra parte c’è la vicinanza con l’Italia, che ha portato ad assimilarne diverse festività ma non a sopprimerle come invece fu fatto nella vicina Penisola negli anni Settanta. Infine c’è un certo consenso generale che spinge persino i più liberisti a ritenere che in fin dei conti le feste non siano poi così dannose per l’economia.

«Al contrario, le feste possono essere l’occasione di incentivare i consumi, specie in un tempo in cui spesso entrambi i coniugi lavorano e quindi hanno poco tempo di fare le spese in settimana - sostiene Paolo Pamini, consigliere nazionale UDC -. Chiaramente però ci vuole flessibilità nelle regole, perché se i negozi restano chiusi non ci guadagna nessuno».

Oltre a noi, solo Roma e Malta

Oggi molti negozi erano aperti. Il turista distratto potrebbe anche non essersi accorto che in Ticino era un giorno festivo, la solennità dei Santi Pietro e Paolo. Una giornata che nel mondo viene considerata non lavorativa solo a Roma, a Malta e in alcuni comuni del Grigioni italiano, oltre che in Ticino, il paradiso delle feste. In passato la giornata dei Santi Pietro e Paolo era festiva anche in tutta Italia, ma nel 1977 il governo di Giulio Andreotti la abrogò insieme ad altre sei festività cattoliche, nel tentativo di rilanciare la produttività. Da allora solo la città di Roma gode del privilegio di potersi fermare per festeggiare i suoi due patroni.

Per la città eterna si tratta di uno dei 12 giorni festivi ufficiali sull’arco dell’anno. Ancora pochi rispetto al Ticino, che con i suoi 15 giorni festivi all’anno è il cantone più generoso in assoluto verso i suoi lavoratori. Seguono Uri e Svitto con 14 giorni e il canton Giura, anch’esso fortemente cattolico, con 13 giorni. A Zurigo i giorni festivi sono 9 mentre in altri cantoni riformati come Neuchâtel si scende addirittura a 8 giorni. Quasi la metà che in Ticino.

Feste da personalizzare

Ma qui ancora una volta, da destra a sinistra, nessuno sembra disposto a rinunciare a qualche festività, fosse anche solo quell’unicum ticinese dei Santi Pietro e Paolo. «È chiaro che la maggioranza delle festività ha una connotazione religiosa - interviene Laura Guscetti, membro di comitato della Gioventù socialista -. Noi non siamo contro le feste religiose.È importante che ogni persona, di ogni religione e ogni cultura, possa avere dei giorni a disposizione per celebrare le proprie tradizioni».

Tuttavia, prosegue Guscetti, oggigiorno le feste sono sentite soprattutto come un’occasione per trascorrere del tempo libero, dedicarsi alle proprie passioni o anche solo riprendere fiato. «Questo è fondamentale in una società come quella odierna dove il capitalismo e le politiche borghesi rendono sempre più precario il mondo del lavoro - dice -. Secondo me è importante che i giorni festivi vengano considerati nell’ottica dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori».

Quindi, più che abolire le feste, il desiderio comune è quello di renderle più flessibili. «Da parte mia vedrei bene un allentamento delle regole - riprende Pamini -, non solo a livello di orari di apertura dei commerci ma anche per esempio per consentire a chi lo desidera di fare del telelavoro durante i festivi e recuperare così parte degli arretrati».

L’anomalia del Venerdì santo

Al limite, aggiunge Pamini, se proprio si volesse abolire una festa si potrebbe tornare a lavorare il Primo maggio, come proposto anche dai Giovani liberali radicali. «E in cambio si potrebbe rendere festivo il Venerdì santo, come nel resto della Svizzera», afferma Pamini.

Un’idea, quella di fermarsi nel giorno della morte di Gesù Cristo, che è già stata bocciata dal Gran Consiglio a tre riprese, principalmente con l’argomentazione che si tratterebbe di un giorno importante per il commercio visto l’afflusso di turisti dal Nord delle Alpi.

Nel 1998 si ipotizzava di promuovere il Venerdì santo a scapito del giorno di San Giuseppe, ma il parlamento si mise di traverso. La seconda volta, nel 2009, si pensava di sacrificare i Santi Pietro e Paolo ma ancora una volta non si trovò una maggioranza. La terza volta, nell’autunno scorso, l’idea era quella di non rinunciare a nessuna festa già esistente ma semplicemente di aggiungere un sedicesimo giorno festivo. Ma a maggioranza nemmeno tanto netta (41 a 31), il Gran Consiglio ha nuovamente deciso di mantenere lavorativo il Venerdì santo. Di giorni per restare a casa, in Ticino, ce ne sono già tanti.

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