L'intervista

Philipp Plein: «Lugano è bella, ma le serate finiscono alle dieci»

Lo stilista tedesco racconta come mai ha aperto il suo hotel-ristorante a Milano e perché non intende lasciare il Ticino nonostante le polemiche passate
Davide Illarietti
13.10.2024 06:00

Philipp Plein si gode la «vendetta» sui detrattori ticinesi sprofondato a tarda ora in un divano del suo hotel a Milano tra katane, teschi d’oro e ragazze in abiti succinti.

Le pizze d’asporto ordinate a mezzanotte a Lugano sono ormai un ricordo, come le polemiche con i sindacati. «Tanto rumore per niente» dice lo stilista in mezzo al rumore assordante della musica: qui i vicini non protestano e le pizze le fa lui (anzi i suoi chef, a 1.500 euro l’una) fino alle quattro di mattina.

«In Ticino non avrei mai potuto realizzare un posto come questo» afferma tra un brindisi e l’altro l’enfant terrible della Fashion Valley ticinese. In realtà ormai ha 46 anni, ma ancora l’energia di un giovane discotecaro. «Per chi come me ama la vita notturna Lugano non è certo il posto ideale» provoca. «La gente è abituata a mangiare e dormire presto e alle dieci di sera è un’impresa trovare un ristorante aperto, lo sappiamo benissimo».

Tra Lugano e Milano

Il Plein Hotel inaugurato a settembre in effetti sembra più un locale notturno che un albergo: contiene quattro ristoranti, un totale di mille posti, un night-club e un beach-club. Sul Ceresio secondo lo stilista tedesco progetti simili «non potrebbero funzionare ed è normale che sia così». Non a caso Plein ha scelto il centro di Milano dove «la gente alle dieci esce per cenare e vengono anche molti ticinesi, quando vogliono fare serata».

Lui è sicuramente uno di questi. Ticinese nell’anima - «non ho mai preso la cittadinanza svizzera» - vive sul Ceresio da dodici anni e dice di non essere intenzionato a trasferirsi altrove. «Lugano è un paradiso per le famiglie, un posto tranquillo. Semplicemente non è un posto vocato alla vita notturna e questo io lo accetto».

A scanso di fraintendimenti, poi, la precisazione è d'obbligo: «A me piace tantissimo dove vivo» ossia in realtà non proprio Lugano ma Paradiso, dove si è trasferito l’anno scorso e il moltiplicatore d’imposta - hanno fatto notare le malelingue - è ancora più basso. «Quello che mi ha attirato del Ticino - prosegue - è sempre stato il fascino mediterraneo combinato alla sicurezza sociale, all’efficienza tedesca da cui io provengo. È qualcosa di molto difficile da trovare in altri posti nel mondo».

Troppe case

Non che Plein non si sia guardato attorno, va detto. «Ho delle abitazioni anche in Costa Azzurra e a New York e so di cosa parlo» precisa. Di recente lo stilista ha acquistato anche una mega-villa a Los Angeles che ha fatto ipotizzare ad alcuni uno spostamento oltre Oceano del burocratico «centro d’interessi». In realtà «si è trattato di un’operazione sfortunata» confessa. «La burocrazia non è ovunque efficiente come in Svizzera e mi sono impantanato in un cantiere lunghissimo che ancora non è finito».

Nel frattempo la passione per «le ville enormi con un sacco di terreno e di incombenze» gli è venuta meno, dice. «C’è sempre qualcosa fuori posto, tanto personale da gestire, io sono un perfezionista e ho capito che è molto più rilassante vivere in un appartamento».

Anche per questo la villa di Riva San Vitale, acquistata nel 2012 per farne la sua residenza-laboratorio, è ancora disabitata e addirittura fatiscente (con qualche noia per il Comune). Ragioni personali - «dovevo trasferirmici con la mia prima moglie, poi abbiamo divorziato e non ho mai avuto il tempo di metterci mano» - e di lavoro. Il quartier generale del marchio è da anni a Cassarate, lui vive tra ufficio e casa che è a poche centinaia di metri (Palazzo Mantegazza) e potrebbe definirsi un workaholic. «Sono un perfezionista perché credo che ognuno si crei il suo destino. C’è sempre una ragione per i fallimenti e per i successi».

Non solo ristoranti

A questo proposito, negli ultimi anni Plein ha ridotto il personale a Lugano (circa 60 unità) ma assicura che le polemiche non c’entrano - «i rapporti con le autorità ticinesi in realtà sono sempre stati ottimi e lo sono ancora» - e nemmeno la crisi internazionale del lusso. «Abbiamo dovuto contenere i costi concentrandoci sulla rete distributiva, abbiamo centinaia di negozi nel mondo» spiega. «La crisi c’è ma non è generalizzata, riguarda specifici grandi gruppi, alcuni dei quali sono arrivati anche in Ticino soltanto per abusare di vantaggi fiscali. Non è il mio caso: io non sono un turista delle tasse» chiosa lo stilista, che rivendica la sua «luganesità» anche a Milano. «Ogni cosa ha il suo posto» conclude. «In Ticino ho creato tanti impieghi e indotto e continuerò a farlo». Un hotel non ancora, ma ce ne faremo una ragione.

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