«Più valore ai medici di famiglia»
Era il 4 novembre del 2021, quando Franco Denti, presidente dell’Ordine dei medici, spiegava: «Nel 2012, i medici di famiglia erano 320; oggi sono 280 e di questi soltanto 240 lavorano a tempo pieno. Non solo: una buona parte di loro è nella fascia d’età tra i 56 e i 65 anni». Lo diceva nel quadro della presentazione del progetto di nuovo Istituto di medicina di famiglia in seno alla Facoltà di Scienze biomediche dell’USI. Sono passati quasi tre anni, e ci siamo. La collaborazione tra EOC, USI e Ordine dei medici ha portato finalmente alla creazione del nuovo istituto (IMF). L’EOC ne ospiterà il comparto clinico, una sorta di servizio di medicina di comunità, di territorio, che avrà sede presso l’Ospedale regionale di Lugano, all’Italiano. Questo nuovo Servizio andrà a riorientare e ampliare l’attuale offerta del Pronto Soccorso. Nel ruolo di professore titolare della cattedra in medicina di famiglia, l’USI ha nominato il professor Luca Gabutti, fino allo scorso mese di marzo primario di medicina interna all’Ospedale regionale di Bellinzona. Oggi lui è un medico di famiglia, e la sua traiettoria è indicativa della direzione presa da EOC e USI.
Un concetto che cambia
Una traiettoria non scontata, insomma, quella di Gabutti. Classe 1963, è passato da una specializzazione - in nefrologia - alla medicina interna generale. Dopo essersi occupato del reparto di dialisi e dell’ambulatorio di nefrologia presso l’Ospedale regionale di Locarno, si è riorientato verso la medicina interna generale diventando primario del reparto di medicina interna dello stesso ospedale e trasferendosi poi a Bellinzona nel 2016. Come lui stesso ammette, lungo il percorso si è ritrovato sempre più coinvolto nella medicina sul territorio. Da lì all’USI - con la responsabilità di portare in avanti il progetto dell’IMF -, dalla medicina ospedaliera a quella ambulatoriale, si è «avvicinato ancora di più all’obiettivo». Lo definisce proprio così, «obiettivo». «L’idea, riorientando la mia scelta professionale e accettando di occuparmi del nuovo istituto, era proprio di contribuire a ridare valore alla medicina di famiglia, e di farlo attraverso un concetto di formazione con un nuovo progetto di Master in questo stesso ambito». L’idea, per rilanciare la medicina di famiglia, è proprio questa: dare il valore che merita a questa formazione, «riconoscendole un nuovo titolo di specialista, promuovendone l’immagine e rendendo più efficace l’attività in termini di presa in carico dei pazienti. Come? Facilitando l’interazione con strutture ospedaliere, specialisti e altre professioni sanitarie attraverso la messa in rete di competenze, la ricerca e la formazione».
Quando manca un riferimento
In questo senso, fa riflettere la proliferazione di centri medici, oltre che la rarefazione dei rapporti tra medici, intesi come riferimenti essenziali, e pazienti. Chiediamo allora al professore se non teme che l’eccessiva messa in rete delle cure possa allontanare le parti. «Non parliamo, in questo caso, di un grande comparto organizzato che includa ogni specializzazione, o di una mega-rete di cura, ma piuttosto di un modo per stimolare, attraverso la formazione e la ricerca, il colloquio, il lavoro comune e la trasmissione di informazioni, con lo scopo di facilitare le cure a favore del paziente». A volte - e chi ha o ha avuto genitori anziani se ne sarà già reso conto - si ha la sensazione che i pazienti non abbiano i riferimenti sicuri, presenti, che avevano in passato. Gabutti non ragiona in termini nostalgici, guarda avanti ma sottolineando proprio questi aspetti: «Penso vada promosso quel ruolo, quella figura di riferimento, quindi non l’esponente di un’organizzazione medica, ma una persona che si metta a disposizione del paziente, che metta a disposizione le proprie competenze. E non soltanto nei confronti della persona malata, ma della persona nel suo complesso, anche in termini di prevenzione, di accompagnamento». Concetto essenziale anche di fronte all’invecchiamento della popolazione. «C’è l’idea che il medico di famiglia possa acquisire tutti i necessari strumenti solo attraverso una pratica decennale, ma dal mio punto di vista anche la formazione, una formazione mirata, può giocare un ruolo, fornendo strumenti di vario tipo, anche di comunicazione, di lavoro interdisciplinare, di presa in carico globale. Oggi come oggi, la formazione è concepita principalmente nell’ambito ospedaliero, non come presa in carico della persona in una forma continuativa». Gabutti poi va oltre: «Il mio sogno è di contribuire alla formazione di nuovi medici che possano dal primo giorno essere punti di riferimento per la cittadinanza, partner per affrontare ogni questione relativa alla salute, sia nella dinamica della malattia, sia nel quotidiano della prevenzione».
Le difficoltà del settore
Insomma, due sono gli aspetti: dare una sorta di nuova dignità al ruolo, con tanto di titolo specialistico, e poi portare nel territorio un nuovo concetto formativo, «dando una chiara identità al percorso». Una necessità, vista la già citata mancanza di medici di famiglia. E torniamo, insomma, alle parole di Franco Denti. A Luca Gabutti chiediamo per quale motivo la missione, il fuoco sacro, della professione non spinga i giovani medici verso la medicina di famiglia. «L’ambizione è diventare specialisti, acquisire la competenza di punta in un determinato ambito. Alcune specialità sono quindi cresciute in modo importante e non pilotato, lasciando un attimo in secondo piano la medicina interna generale e la medicina sul territorio. Ciò che vogliamo fare è invertire questa tendenza, costruire un’immagine diversa che possa fungere da incentivo ai giovani medici a orientarsi in questa direzione. Proprio come le altre specialità». Non c’è solo questo aspetto. E Gabutti lo conferma: «I requisiti in termini amministrativi, gestionali, oltre che quelli posti dal sistema assicurativo in forma di limitazioni, sono diventati un peso molto importante da sopportare. Tutti requisiti giustificati, che hanno reso complicata la gestione della propria attività sul territorio». La professione quindi non ha perso fascino, ci sono solo più ostacoli. Gabutti fa una pausa nella chiacchierata, ci pensa su e aggiunge: «A dirla tutta, credo che anche una parte dei pazienti abbia smarrito il valore del rapportarsi a un medico di famiglia. È nostra responsabilità, allora, aiutare i pazienti a ricostruire questa relazione».
La crisi delle «vocazioni», una questione di «scelte scellerate»
Pure coinvolto nel futuro del settore - e come avrebbe potuto essere altrimenti -, lo abbiamo visto, è anche l’Ordine dei medici, in particolare grazie alla spinta del suo presidente, Franco Denti. Che ci ricorda: «L’avvio dell’Istituto di medicina di famiglia è la realizzazione di un mio sogno da quando ero parlamentare e avevo assicurato tutto il mio sostegno alla nascita del Master in medicina umana in Ticino. Mi sono battuto per questo progetto, superando innumerevoli pregiudizi, sia nel corpo medico che nella classe politica ticinese, mentre a livello nazionale l’idea di avere un IMF in Ticino era fortemente sostenuta». Denti ha però potuto contare sul sostegno di tre personalità: «Mario Bianchetti, Albino Zgraggen e Mauro Martinoni, tra i primi a credere nell’ambizioso progetto dell’USI. Anche l’EOC ha giocato un ruolo importante, con il direttore generale Glauco Martinetti, che è riuscito a convincere i direttori degli ospedali che il progetto dell’IMF doveva superare i regionalismi». Per Denti la crisi delle “vocazioni” per la medicina di famiglia ha radici lontane ed è «il risultato delle scelte scellerate della Confederazione con le moratorie che hanno bloccato per più di un decennio molti giovani medici negli ospedali. Anche i Cantoni non si sono mai chinati sul bisogno di assicurare un corretto approvvigionamento di medici di famiglia sul territorio. È dal 2006 che chiamiamo l’attenzione della politica! Dapprima con la discesa in Piazza a Berna - erano più di 12.000 i camici bianchi -, poi nel 2009 con la riuscita di un’iniziativa popolare, ritirata in favore del controprogetto diretto “Sì alle cure mediche di base”, accettato nel 2014. Purtroppo, le condizioni di lavoro di un medico di famiglia sono sempre peggiorate. Confido che l’IMF possa garantire una formazione ottimale e fungere da “casa” per i medici di famiglia nella quale riconoscersi e svolgere una formazione continua di alto livello». E poi, guardando addirittura più in là? Il dottor Denti ha le idee chiarissime: «Tre cose: 1) rivedere l’esame federale di ammissione alle facoltà di medicina, poiché non permette di valutare la volontà dei candidati di fare il medico curante; 2) abolire il numero chiuso: da un lato, ci si lamenta della carenza di medici; dall‘altro non c’è nessuna coordinazione a livello federale dei posti nelle facoltà; 3) sostenere il progetto di “Praxis Assistent”, frutto della collaborazione tra il DSS e l’OMCT, che mette a disposizione di giovani medici posti di assistente presso selezionati studi del territorio».