Il caso

Putin in Mongolia? Nessun arresto, ma un tappeto rosso

Nonostante il mandato di cattura della CPI in vigore nel Paese asiatico, il presidente russo è stato accolto calorosamente a Ulan Bator – In corso i colloqui con il suo omologo mongolo Ukhnaagiin Khürelsükh
©BYAMBASUREN BYAMBA-OCHIR
Red. Online
03.09.2024 13:31

Putin, ieri, è arrivato in Mongolia. Un viaggio controverso, che sta facendo discutere parecchio. Il motivo? Il Paese è membro della Corte penale internazionale. La stessa Corte che, nel marzo del 2023, ha emesso un mandato di arresto nei confronti del presidente russo. Bloccando, di fatto, ogni tentativo – o quasi – di viaggio al di fuori della Russia del leader del Cremlino. Negli ultimi mesi, infatti, Putin ha visitato solo «Nazioni amiche». Corea del Nord, Vietnam. Quello verso la Mongolia, insomma, è il primo «viaggio a rischio» che il presidente russo compie, da tempo. Ma né lui né il Cremlino sembrano essere particolarmente preoccupati. Anzi, tutt'altro. 

La Mongolia, infatti, non sembra affatto intenzionata a voler arrestare Putin. E il motivo potrebbe essere legato all'energia, dal momento che oltre il 95% del carburante mongolo proviene proprio dalla Russia. In altre parole, dunque, qualora facesse un torto a Mosca, il Cremlino potrebbe letteralmente fermare il Paese asiatico. Questa, almeno, secondo gli analisti, l'ipotesi più probabile per spiegare il rifiuto della Mongolia nel portare avanti i suoi doveri di membro della CPI. Ciò che è certo è che, qualunque sia la ragione, a Ulan Bator Putin può dormire sonni tranquilli. Per non dire tranquillissimi.   

Atterrato ieri nella capitale mongola, il leader del Cremlino è stato accolto in maniera a dir poco calorosa da una guardia d'onore. Per l'occasione, infatti, è stata allestita una cerimonia nella piazza principale della capitale. A seguire, il presidente russo ha incontrato il suo omologo mongolo, Ukhnaagiin Khürelsükh. Insieme, i due leader hanno salito i gradini ricoperti di tappeto rosso del Palazzo del Governo, inchinandosi di fronte alla statua di Gengis Khan, prima di entrare nell'edificio per dar il via ufficiale ai colloqui. 

Non tutti, però, in Mongolia, hanno apprezzato allo stesso modo l'arrivo di Putin nel Paese. Il giorno prima dell'incontro, un gruppo di manifestanti si è infatti radunato sventolando cartelli con la scritta «Fate uscire da qui il criminale di guerra Putin». Una protesta troppo debole, tuttavia, per avere un peso. 

Dopotutto, anche il portavoce del Cremlino, negli scorsi giorni, era stato chiaro. «Non ci sono timori. Abbiamo un ottimo dialogo con i nostri amici in Mongolia», ha dichiarato a ridosso del viaggio, a proposito di un possibile arresto di Putin, Dmitry Peskov. «La Russia non ha problemi con la Mongolia in merito alle decisioni della Corte penale internazionale». 

L'incontro

Ma arriviamo al dunque. Di che cosa stanno parlando, a tutti gli effetti, Vladimir Putin e Ukhnaagiin Khürelsükh? Innanzitutto, secondo le prime indiscrezioni, dello sviluppo di una partnership strategica tra i due Paesi. «Nella nostra società, governo e Stato, ci siamo sempre sforzati e ci sforziamo per garantire l'ulteriore sviluppo della nostra partnership strategica onnicomprensiva, questo è un aspetto prioritario della nostra politica estera», ha affermato Khürelsükh, ricevendo Putin. Ancora, però, non è chiaro quali siano gli altri temi in agenda. 

Le richieste di Kiev e di Amnesty

Eppure, il Paese asiatico, riconoscendo la medesima giurisdizione della Corte, sarebbe tenuto – almeno in teoria – ad eseguire il mandato di arresto nei confronti del presidente russo. Ragione per cui, Kiev, qualche giorno fa, aveva avanzato a Ulan Bator la richiesta esplicita di emettere un mandato di cattura per il leader russo. 

«La parte ucraina spera che il governo della Mongolia sia consapevole del fatto che Vladimir Putin è un criminale di guerra», ha dichiarato il ministero degli Esteri di Kiev, invitando le autorità mongole a eseguire «il mandato di cattura internazionale vincolante». Ulan Bator, però, sembra aver fatto orecchie da mercante. Ignorando totalmente – almeno fino a questo punto – la richiesta di Kiev. La stessa che, nelle scorse ore, è stata avanzata anche da Amnesty International Mongolia. «Gli obblighi legali internazionali della Mongolia, in quanto Stato parte della CPI, sono chiari: il presidente russo Putin deve essere arrestato e consegnato alla CPI per rispondere alle accuse di crimini di guerra». 

Non arrestando Putin, però, la Mongolia potrebbe rendere una situazione già delicata ancor più complicata. «Qualsiasi viaggio in uno Stato membro della CPI che non si conclude con un arresto incoraggerà l'attuale linea d'azione di Putin e verrà visto come parte di uno sforzo strategico per indebolire il lavoro della CPI», ha avvertito Amnesty International Mongolia. Ma non finisce qui. «Offrire protezione a un ricercato dalla giustizia internazionale non solo costituirebbe un'ostruzione alla giustizia stessa, ma, se la Mongolia dovesse fornire anche solo un rifugio temporaneo al presidente Putin, diventerebbe di fatto complice nel garantire l'impunità per alcuni dei crimini più gravi previsti dal diritto internazionale».