Quando Hollywood si ferma
Perché 160.000 attori statunitensi stanno scioperando, con manifestazioni e picchetti, unendosi alla protesta degli sceneggiatori iniziata lo scorso 2 maggio? Domanda legittima, perché se tutti comprendono il modo in cui l’intelligenza artificiale ruba il lavoro a chi scrive, le cose per chi recita sono un po’ diverse. Certo è che a Hollywood si sta combattendo una battaglia che segnerà per sempre la nostra cultura.
Percentuale
Nel caso degli attori la materia del contendere è soltanto in parte l’intelligenza artificiale, ma riguarda piuttosto i diritti di immagine nell’era dello streaming, con piattaforme come Netflix e Amazon Prime Video che moltiplicano i passaggi che una volta avremmo definito «televisivi» di film e serie. La SAG-AFTRA, di fatto il sindacato unico degli attori, chiede all’associazione dei principali studios (NBC-Universal, Paramount, Warner Bros, Sony, Apple, i citati Netflix e Amazon) un ricalcolo delle competenze per gli attori. Che peraltro nel 99% dei casi vengono pagati, poco o tanto che sia, con un fisso: solo i grandi nomi riescono ad avere nel contratto una parte variabile, ancorata al successo del prodotto. Certo se il film è un flop non è che i produttori chiedano indietro la parte fissa, quindi ha buoni argomenti anche la voce del padrone, rappresentata dall’amministratore delegato della Disney, Bob Iger, che ha definito irrealistica la proposta degli attori. Chi dovrebbe avere una percentuale sullo streaming? I protagonisti, i comprimari, le comparse? E perché allora non i montatori? La questione è quindi fin da subito più ideologica che pratica.
Tata
L’unità degli attori, visto che allo sciopero ha aderito il 98% degli iscritti al sindacato, ha sorpreso tutti, anche se già due settimane fa molti nomi che spostano, Meryl Streep, Ben Stiller e Jennifer Lawrence su tutti, avevano firmato una lettera a Fran Drescher, presidente dalla SAG-AFTRA, dicendo di essere pronti a scioperare e invitandola nella sostanza a svegliarsi. E così l’attrice da noi nota soprattutto come protagonista della sitcom La tata, si è svegliata e giovedì a Los Angeles ha annunciato lo sciopero, parlando di intelligenza artificiale ma anche degli stipendi e dei bonus dei dirigenti delle corporation. Il risultato immediato è stato il blocco delle attività promozionali per i film in uscita, a partire da blockbuster annunciati come Barbie, con Margot Robbie e Ryan Gosling, e Oppenheimer. Ovviamente bloccate produzioni grandi, come Il Gladiatore 2, e piccole, in un’industria che per il 2023 ha previsto un giro d’affari di 134 miliardi di dollari tra film e serie.
Locarno
Per attività promozionali si intende anche la partecipazione ai festival, da Locarno a Toronto a Venezia, se non verrà trovato prima un accordo collettivo. A proposito di Locarno, dal 2 al 12 agosto, la presenza di Cate Blanchett, produttrice del film Shayda, è in dubbio e il timore di molti è che questa protesta anti-streaming si estenda anche ai non americani. Inutile però fare congetture su una situazione che potrebbe durare mesi come risolversi domani. Per questo il Locarno Film Festival ha scelto la via della prudenza, con un comunicato in cui prende vagamente le parti degli scioperanti ma senza attaccare i produttori: «Abbiamo sempre riconosciuto e celebrato il valore e l’importanza fondamentale del lavoro di tutti i professionisti dell’industria cinematografica e comprendiamo e sosteniamo la necessità di rivendicare i loro diritti sindacali e sensibilizzare l’opinione pubblica sulle attuali condizioni di lavoro e ripartizioni dei benefici che ne derivano. Lo sciopero del SAG-AFTRA è un segnale inequivocabile che richiama l’attenzione sulle problematiche che affliggono il mondo del cinema contemporaneo».
Intelligenza
Il timore di sceneggiatori e attori va al di là dei soldi: è quello di essere superati dall’intelligenza artificiale, che scriva trame e dialoghi, o che permetta di far recitare infinite volte attori famosi. Chi mai scritturerebbe X o Y quando mettendosi d’accordo con gli eredi potrebbe avere Marlon Brando e Grace Kelly? Un timore realistico, perché l’A.I. già nell’immediato potrebbe cancellare decine di migliaia di posti di lavoro. I deepfake potranno incidere non soltanto sulle immagini (a un livello più basso verrà eliminata la necessità del trucco, quindi saluti anche ai truccatori) ma anche sul doppiaggio. Già due anni fa il software di Flawless permetteva di sincronizzare ogni battuta con il labiale, oltre ovviamente a inventarsi la voce (in qualsiasi lingua, con l’inflessione desiderata) dal nulla. Evidente anche la maggiore facilità nel montaggio di scene scritte, recitate e doppiate dalla A.I., quindi posti a rischio anche per i montatori. Senza contare tutto l’indotto che gira intorno al cinema e alla televisione per così dire fisici: nessuno dovrà preparare pasti per attori virtuali, nessuno dovrà prendere il posto della stella nelle scene d’azione.
Streaming
Il paradosso di Hollywood è che il grande imputato, lo streaming, è un affare meno buono che in passato. Dopo il boom del periodo COVID, con la gente barricata in casa, le cose stanno andando male un po’ per tutti. Secondo un’analisi fatta da Bloomberg i profitti aggregati del mercato dello streaming nel 2022 sono stati il 10% rispetto a dieci anni fa: dai 23,4 miliardi di dollari del 2013 si è passati infatti a 2,6. Il pubblico è sempre quello e l’entrata di nuovi player lo aumenta di poco, ma il vero problema è che film e serie hanno raggiunto costi di produzione stellari, che sarebbero giustificati soltanto da grandi successi planetari, lo Squid Game della situazione. Citadel è costata ad Amazon 250 milioni ed è stata un flop clamoroso, ma anche serie che magari non abbiamo mai sentito nominare costano più di 100 milioni. In questo quadro l’A.I. magari non produrrà capolavori, ma almeno abbatterà i costi di produzione: se rimarranno quelli di oggi lo streaming si rivelerà quella bolla che molti pensano che sia. In ogni caso è realistico pensare che fra 10 anni quei 160.000 attori saranno meno della metà.
Gli scioperi di Reagan
Nella storia del cinema americano gli scioperi sono stati rari e per trovarne uno che unisca attori e sceneggiatori bisogna risalire addirittura al 1960, quando il capo di uno dei sindacati degli attori, il SAG, era Ronald Reagan, che da democratico si era ormai trasformato in repubblicano: sei anni dopo sarebbe stato eletto governatore della California, 20 anni dopo presidente degli Stati Uniti. In realtà gli sceneggiatori, che pretendevano (e poi avrebbero ottenuto) una percentuale sui passaggi televisivi dei film, scioperarono per sei mesi, mentre gli attori soltanto poche settimane, ma in ogni caso per 63 anni non si sarebbe più visto qualcosa di simile. Da ricordare che anche gli attori si videro riconosciuto qualche diritto a fronte degli zero di prima. E durante gli 8 anni di Reagan presidente degli Stati Uniti gli scioperi nel cinema, anche se non congiunti, furono ben 6, in gran parte motivati dalla gestione dei diritti per le videocassette e la pay-tv. Un’epoca di passaggio, forse anche più di questa: certo quegli attori erano tecnicamente insostituibili.