Missioni spaziali

Quando i grandi sogni finiscono in tragedia

In campo statunitense la prima è stata quella di Apollo 1, costata la vita a Gus Grissom, Ed White e Roger Chaffee - GUARDA FOTO E VIDEO
Un lancio dello Space Shuttle Columbia. (Foto NASA)
Nicola Bottani
Nicola Bottani
25.05.2019 12:45

«Abbiamo scelto di andare sulla Luna in questo decennio e di compiere altre imprese non perché siano semplici ma perché sono difficili», annuncia il presidente americano John Fitzgerald Kennedy in un discorso che pronuncia il 12 settembre del 1962 al Rice Stadium di Houston. E difatti la corsa per portare per la prima volta l’uomo sul nostro satellite è irta di ostacoli, costellata da innumerevoli problemi da risolvere, con la vita degli astronauti sempre in bilico. Volare nello spazio ancora oggi è rischioso, come ricordano anche le missioni degli Space Shuttle statunitensi Challenger e Columbia, il primo esploso poco dopo il lancio il 28 gennaio del 1986 e l’altro disintegratosi al rientro nell’atmosfera terrestre il 1. febbraio di sette anni dopo. Due tragedie che costano la vita a quattordici astronauti, nel caso del Challenger per il cedimento di una guarnizione di uno dei razzi a propellente solido e in quello del Columbia per un danno alla protezione termica dell’ala sinistra verificatosi a neanche un minuto e mezzo dalla partenza, avvenuta il precedente 16 gennaio.

Il presidente americano John Fitzgerald Kennedy. (Foto Wikipedia)
Il presidente americano John Fitzgerald Kennedy. (Foto Wikipedia)

Ricordate chi era Gene Cernan? È stato l’ultimo uomo, nel contesto delle missioni Apollo, ad aver lasciato la Luna dopo averne calcato il suolo, nell’ormai lontano mese di dicembre del 1972. Nella precedente puntata – in questo 2019 che segna il cinquantesimo anniversario del primo sbarco dell’uomo sul nostro satellite – abbiamo scritto del suo libro «The last man on the Moon», in cui ripercorre tutte le tappe di una lunga e gloriosa carriera di astronauta. Vi abbiamo raccontato del libro ma non come inizia. Facendo un nuovo tuffo all’indietro nel tempo, eccoci al 27 gennaio del 1967. Cernan sta testando le operazioni da svolgere nel modulo di comando (la capsula) insieme ai colleghi Tom Stafford e John Young. Sono nella fabbrica della North American Aviation a Downey, nella contea di Los Angeles, sulla costa ovest degli USA.

Dall’altro lato degli Stati Uniti, a Cape Canaveral, in Florida, gli altri astronauti Virgil «Gus» Grissom, Ed White e Roger Chaffee in quello stesso giorno stanno compiendo un test simile in una navicella identica a quella di Downey. La capsula di Grissom, White e Chaffee è appollaiata su un gigantesco missile Saturn 1-B per una prova «a spine staccate», come se si trattasse di una missione vera ma con il missile senza propellente, come ricorda Gene Cernan. I problemi da risolvere sono ancora molti, in vista del primo volo di una missione Apollo, che si sarebbe dovuto svolgere il successivo 21 febbraio.

Da sinistra Gus Grissom, Ed White e Roger Chaffee. (Foto NASA)
Da sinistra Gus Grissom, Ed White e Roger Chaffee. (Foto NASA)

«Non sento un accidente di quello che dici!», sbraita alla squadra di lancio Gus Grissom. «Gesù Cristo... Come possiamo sperare di andare sulla Luna se non riesco nemmeno a comunicare tra un paio di edifici, dico io?». Il veterano del gruppo, fra i primi sette astronauti americani ad aver volato nello spazio, si sta lamentando con queste parole per i problemi di comunicazione fra la capsula in cima al Saturn 1-B e i tecnici a terra. Grissom è già una gloria della NASA, come pure Ed White, il primo statunitense della storia ad aver fatto una passeggiata extraveicolare, ai primi di giugno del 1965. Ed Chaffee, invece, nello spazio non è ancora andato e purtroppo non ci andrà mai, come non ci torneranno Grissom e White.

A Downey, in pieno svolgimento del test, a Stafford, Cernan e Young a un certo punto viene ordinato di interrompere il test perché c’è una telefonata a cui rispondere. Lo fa Stafford che poi raggiunge i compagni, come ricorda ancora Cernan nel suo libro. «C’è stato un incendio sulla rampa. Gus, Ed e Roger sono morti», dice Stafford. È la tragedia di Cape Canaveral, dove una scintilla scoccata da un cavo elettrico rimasto senza isolazione fa incendiare l’ossigeno puro con cui è pressurizzata la capsula, senza lasciare scampo all’equipaggio. Anche in quella che era l’Unione Sovietica non sono mancati lutti, con la perdita di cosmonauti. Li ricorderemo però in un’altra puntata, anche perché fu l’URSS a mandare per prima un uomo nello spazio, ossia Jurij Gagarin nel 1961.

Astronauti durante un allenamento nella capsula Apolloe i resti di quella in cui sono morti Grissom, White e Chaffee. (Foto NASA)
Astronauti durante un allenamento nella capsula Apolloe i resti di quella in cui sono morti Grissom, White e Chaffee. (Foto NASA)

Nella storia dei viaggi spaziali a stelle e strisce non mancano neppure le tragedie sfiorate, a iniziare da quella della missione Apollo 13 che già abbiamo ricordato. Oppure la passeggiata extraveicolare di Gene Cernan che nel 1966 per poco non ci lascia la pelle perché il congegno che avrebbe dovuto testare per spostarsi fuori dalla Gemini 9 – uno zaino a razzo – si trasforma in una sorta di cavallo imbizzarrito. La stessa cosa che gli accade poi con il LEM quando nel maggio del 1969 gli astronauti di Apollo 10 mettono alla prova il modulo lunare, sfiorando la superficie del nostro satellite. E nuovamente Cernan riesce a rimettere le cose a posto, sicuramente con una buona dose di fortuna ma pure perché lui e i suoi colleghi sono uomini capacissimi, in grado di far volare e controllare qualsiasi tipo di mezzo.

Anche allenandosi sulla Terra gli astronauti correvano dei rischi: qui ecco il prototipo volante del LEM. (Foto NASA)
Anche allenandosi sulla Terra gli astronauti correvano dei rischi: qui ecco il prototipo volante del LEM. (Foto NASA)

La NASA a suo tempo costruisce anche un marchingegno volante per permettere agli astronauti di allenarsi sulla Terra come se stessero librando verso la superficie della Luna ai comandi di un LEM. È il Lunar Landing Research Vehicle, prototipo che un giorno solo per un pelo, imbizzarrendosi, non mette la parola fine ai giorni di Neil Armstrong, nel luglio del 1969 poi diventato il primo uomo ad aver mai messo piede sul suolo lunare. A proposito della vita di Armstrong, vi possiamo consigliare la biografia autorizzata, scritta da James R. Hansen e intitolata «First man. Il primo uomo». Per la vivacità della narrazione, però, ci è piaciuto di più «The last man on the Moon» dal quale – in conclusione – vi proponiamo un passaggio che la dice lunga su come sarebbero potute andare le cose, in caso di guai seri e per evitarne di peggiori, se possibile.

È il dicembre del 1965: le navicelle Gemini 6 e Gemini 7 si incontrano nello spazio. (Foto NASA)
È il dicembre del 1965: le navicelle Gemini 6 e Gemini 7 si incontrano nello spazio. (Foto NASA)

Rieccoci allora alla missione Gemini 9 e all’uscita extraveicolare di Cernan, accompagnato nello spazio da Thomas P. Stafford, detto Tom. Stafford viene chiamato da Deke Slayton – responsabile della scelta degli astronauti – fuori dalla stanza dove si sta preparando per l’ormai imminente lancio della Gemini 9 insieme a Cernan. «Di che si trattava?», chiede poi Gene al collega che risponde: «Va tutto bene Geno. Niente di importante». Dopo di che Cernan nel suo libro racconta: «Sarebbero passati degli anni prima che entrambi (Slayton e Stafford, ndr) mi svelassero cosa si erano detti in quella chiacchierata. Era qualcosa di relativamente semplice. La passeggiata spaziale che avrei dovuto compiere era molto pericolosa e c’era la possibilità che una volta all’esterno della navicella potesse accadere qualcosa di imprevisto con lo zaino a razzo oppure con il cavo di connessione e sarei potuto rimanere appeso là fuori, completamente inabile. Se fosse accaduto qualcosa del genere, Deke disse a Tom che l’unica scelta possibile sarebbe stata quella di tagliare il collegamento, chiudere il portello e tornare sulla Terra senza di me».

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