Il fenomeno

Quando la povertà fa ammalare

In crescita il numero di persone che per far fronte alle spese in aumento rinunciano alle visite di controllo - Suppa: «In Svizzera il 23% degli intervistati non si cura per motivi economici» - De Rosa: «Si rimanda per pagare le bollette» - Carobbio Guscetti: «Il sistema non funziona più»
©CHRISTOF SCHUERPF
Martina Salvini
22.10.2024 20:00

Marco (un nome di fantasia) vive con la moglie e i suoi due figli. All’improvviso, perde il lavoro, ritrovandosi in una situazione economica difficile, che gli causa un crescente stress, fino a condurlo alla depressione. Deve tirare la cinghia. E per far quadrare i conti chiede l’AVS anticipata. Quando non basta più, per risparmiare lui e la moglie decidono di alzare la franchigia della cassa malati dei figli. Un giorno lei scopre di essere malata di cancro, che nel giro di poche settimane se la porta via. Per i figli inizia così un nuovo dramma: mostrano crescenti segnali di sofferenza psicologia, andrebbero assistiti. Ma non ci sono i soldi. In aiuto di Marco e dei suoi due figli arriva il Soccorso d’inverno, che insieme ad altre associazioni attive in Ticino cerca di fare quadrato per aiutare una fetta sempre più ampia della popolazione. «Questo è solo uno dei casi in cui ci siamo imbattuti nell’ultimo anno, ma mostra bene come la povertà possa essere causa di malattia», ha spiegato questa mattina la direttrice del Soccorso d’inverno Ticino Paola Eicher. Sì, perché di povertà ci si ammala. E sempre più spesso i due elementi, collegati tra loro, portano a una spirale senza fine. A inquadrare il fenomeno, fornendo qualche dato in occasione della Giornata di riflessione sul tema, ci ha pensato Anna Suppa, ricercatrice del Soccorso d’inverno. «Le persone con basso reddito e basso livello d’istruzione sono le più colpite: hanno un’aspettativa di vita minore e le possibilità di ammalarsi di cancro sono sei volte superiori». Evidente, dalle statistiche, è anche l’impatto sui giovani. Chi, nei primi 15 anni di vita, vive una situazione di fragilità economica a casa ha più possibilità di ammalarsi di depressione nel corso della propria vita. «I debiti - ha detto Suppa - portano a una minore partecipazione sociale e a un crescente isolamento. E le persone socialmente isolate corrono anche un rischio maggiore di mortalità, visto che il ‘‘tampone sociale’’ non è in grado di prevenire le situazioni potenzialmente dannose». Una delle conseguenze più drammatiche è però la rinuncia alle cure. «Secondo un sondaggio svolto nel 2020 e relativo al 2019, in Svizzera il 23,3% degli intervistati ha dichiarato di rinunciare a ricorrere ai servizi sanitari per motivi economici. Nel dettaglio, le persone con un reddito familiare mensile sotto i 5 mila franchi rinunciano quattro volte più spesso rispetto a chi dispone di un reddito superiore». Con ripercussioni molto gravi: rinunciando ai controlli di routine, si finisce spesso per intervenire quando ormai la situazione è compromessa.

La politica si interroga

Un problema, questo, riconosciuto anche dalla politica. «Povertà e salute sono strettamente legate, con conseguenze profonde, specialmente su anziani e persone sole», ha sottolineato il direttore del DSS Raffaele De Rosa. «La precarietà economica non solo limita l’accesso alle cure, ma spesso porta con sé malattie croniche, stress e depressione». In questo contesto, un aspetto «particolarmente critico» riguarda la prevenzione: «Spesso chi è in difficoltà economica rinuncia a controlli medici regolari e a screening preventivi perché ritenuti meno prioritari - rimandabili - rispetto al pagamento di affitti e bollette. Questo, però, può portare a diagnosi tardive». «Il sistema non funziona più», ha ribadito anche la direttrice del DECS Marina Carobbio Guscetti. «La povertà incalza, i redditi vengono erosi e i costi della cassa malati non sono più sopportabili». In questo contesto, non c’è alternativa a un cambio di sistema: «Serve una cassa malati pubblica a livello federale con premi proporzionali al reddito, oltre a interventi per frenare i costi». Altrimenti, secondo Carobbio Guscetti il rischio è che «le persone meno abbienti, ma anche il ceto medio continuino a essere l’ultima ruota del carro, e che si acuiscano le disuguaglianze e le ingiustizie sociali». In un contesto sempre più fragile, un occhio di riguardo deve essere rivolto ai bambini e ai giovanissimi. «La povertà troppo spesso è ancora ereditaria», ha evidenziato. Per arginare il fenomeno, un ruolo centrale deve essere svolto dalla scuola, «il più possibile inclusiva». Di qui, la necessità di investire. «Sia nelle borse di studio, affinché possano garantire una buona formazione a tutti, sia sulla conciliabilità lavoro-famiglia».

Il nodo del lavoro

Ma le «tendenze preoccupanti» investono anche il mondo del lavoro, altro tassello centrale nella discussione su povertà e salute. «Dobbiamo allora interrogarci sulle condizioni di lavoro e sull’impatto che hanno il precariato e le attività indipendenti», ha detto Spartaco Greppi, responsabile del Centro di competenze lavoro, welfare e società della SUPSI. «Negli ultimi anni sono cresciute le attività indipendenti. Ma, l’interruzione dell’attività provoca un’incapacità di guadagno e senza assicurazioni contro la perdita di guadagno, aumenta il rischio di cadere in povertà». Che fare, allora? Secondo Greppi, per cercare di interrompere questo circolo vizioso, occorrerebbe estendere i programmi di supporto al reddito, migliorare l’accesso a prevenzione e cure per chi è più vulnerabile, ma anche avviare nuove politiche del lavoro, in modo da dotarsi di regolamentazioni che migliorino le condizioni di impiego.

Il caso dei genitori soli: «Molto più poveri e lo restano a lungo»

Tra le categorie più toccate, ci sono le famiglie monoparentali, che in Ticino rappresentano il 20% e alla cui testa molto spesso ci sono le donne. Stando ai dati del 2018 illustrati da Sandra Killer dell’associazione Famiglie monoparentali, quasi una su tre versa in condizioni di povertà assoluta. «Ed è la categoria più colpita, oltre a essere quella che rimane più a lungo in questa condizione». Anche gli aiuti sociali si rivelano poco efficaci, incidendo meno che su altri gruppi. «Quasi un quarto degli aiuti sociali va a queste famiglie, eppure non sono sufficienti per contrastare il forte rischio di povertà», ha evidenziato Killer, spiegando anche le cause: «Quando ci si separa, spesso l’eventuale deficit ricade sull’intero nucleo familiare». A ciò si aggiungono gli alimenti non versati, la mancata collaborazione dell’altro genitore, ma anche le difficoltà lavorative per le madri. «Rispetto alle altre famiglie, i genitori soli hanno un rischio doppio di soffrire di depressione, lavorano di più, con conseguenze sulla salute, e rinunciano molto più degli altri a curarsi». E ripercussioni sono evidenti anche sui figli: più problemi di salute, più isolamento sociale e un minore successo scolastico. Mancando i soldi, inoltre, spesso i bambini devono rinunciare a vacanze, feste di compleanno e attività ricreative.