Quando l'errore medico passa dal farmaco: «Ecco come diminuiamo il rischio»
Medication Without Harm, ovvero medicamenti senza rischi. È questo il tema della campagna lanciata cinque anni fa dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza e l’impegno globale sul tema della sicurezza del paziente in ambito farmacologico. Quest’anno, la Giornata mondiale del 17 settembre è dedicata alla sicurezza della terapia farmacologica. Ma perché parlare di farmacoterapia sicura? I medicamenti che ci vengono prescritti nascondono dei rischi? Lo abbiamo chiesto al Prof. Dr. med. Alessandro Ceschi, primario, direttore medico e scientifico dell’Istituto di Scienze Farmacologiche della Svizzera italiana dell’EOC, presidente della Commissione terapeutica EOC, professore universitario di farmacologia e tossicologia clinica, e esperto sulla sicurezza di farmaci e vaccini per Swissmedic e per l’Organizzazione mondiale della Sanità. «Il tema della farmacoterapia sicura è rilevante perché i problemi farmacologici che possono sfociare in un danno ai pazienti sono frequenti», esordisce.
Un po’ di cifre
In effetti, un recente studio ha evidenziato, a livello globale, una percentuale del 6% di danni ai pazienti potenzialmente prevenibili. Significa che 6 pazienti su 100 hanno subito un danno correlato alle cure, e nella metà di questi casi la responsabilità è da attribuire ai farmaci. Altri dati arrivano perfino a quantificare in una persona su dieci coloro che hanno subito un errore di cura o legato alla farmacoterapia negli ultimi due anni in Svizzera. Cifre importanti e da non sottovalutare, anche perché in circa un quarto dei casi appena citati i danni erano gravi o mettevano in pericolo la vita del paziente. Inoltre, seppur non sia questo il focus, ogni anno i costi economici globali correlati agli errori farmacologici ammontano a ben 42 miliardi di dollari. Ecco perché è importante incrementare la consapevolezza e l’impegno sul tema della sicurezza dei pazienti, in particolare in ambito farmacologico.
È possibile identificare dei contesti che sono maggiormente a rischio? «Sicuramente il pronto soccorso e le cure intense – ci risponde il Prof. Ceschi -, in cui è presente un alto numero di pazienti che devono essere trattati urgentemente, spesso con schemi terapeutici complessi che prevedono varie vie di somministrazione endovenosa. Ma non è raro vedere pazienti ospedalizzati nei diversi reparti che devono assumere anche 10-15 farmaci al giorno. In particolare nel contesto geriatrico, dove si ha a che fare con persone con diverse patologie, per curare le quali vengono impiegati diversi farmaci. Inoltre l’età avanzata implica di per sé una diminuzione della funzionalità di un organo importantissimo per l’eliminazione di molti farmaci, i reni, fatto che rende necessario adattare le dosi, nel senso di ridurle, per numerosi medicamenti. A tutto questo si aggiunge che la cura di questi pazienti subisce tipicamente frequenti transizioni: dal domicilio all’ospedale, da un reparto all’altro, dalla struttura sanitaria alla clinica di riabilitazione o alla casa anziani. Tutti questi cambi del contesto di cura del paziente rappresentano un momento a rischio per il passaggio corretto delle informazioni e quindi per possibili errori farmacologici. Ci sono inoltre farmaci che già di per sé presentano un rischio più elevato di creare problematiche e vanno utilizzati con particolare cautela, come ad esempio i farmaci oncologici, gli anticoagulanti e diversi antibiotici». Per non parlare della pressione sul personale curante, lo stress, la fatica. «Tutto ciò può contribuire ad aumentare il rischio di errore». Che può essere commesso lungo tutta la catena complessa di passaggi che parte dalla prescrizione della cura, continua con la trascrizione (dove questa è ancora necessaria), l’ordinazione, la preparazione, per arrivare fino alla somministrazione e al successivo monitoraggio.
Cinque momenti di sicurezza
Ma vigilare sulla sicurezza del paziente non è responsabilità del medico? «Sì, non si tratta assolutamente di scaricare le responsabilità, piuttosto di coinvolgere il paziente e renderlo un partner attivo nel processo di cura», chiarisce il Prof. Ceschi. Un paziente informato e vigile, che conosce la sua terapia, può contribuire a evitare che vengano commessi errori. «Non si tratta di una responsabilità legale, ma di lavorare insieme verso un obbiettivo di cura comune». L’OMS ha elaborato una serie di raccomandazioni molto pratiche definite i cinque momenti di sicurezza, che toccano le fasi principali della vita di una terapia farmacologica.
Il paziente dovrebbe conoscere il nome del medicamento che gli viene prescritto, la motivazione e gli eventuali effetti collaterali che si possono presentare, rispettivamente sapere cosa fare in quei casi e quando è necessario contattare il proprio medico o farmacista . Per quanto riguarda la somministrazione, deve sapere quando prendere il medicamento e se sono necessari accorgimenti particolari (ad esempio in riferimento ai pasti). In caso di somministrazione di un ulteriore farmaco, è corretto sollevare la questione relativa alla “compatibilità” (interazione) con gli altri farmaci che la persona già assume: il nuovo medicamento come interagisce con il resto della terapia in corso? «Ecco perché è importante riferire al medico tutto ciò che si assume, anche i farmaci da banco, i fitofarmaci, gli integratori alimentari». Avere una lista dei farmaci accurata e aggiornata, redatta dal medico di fiducia, è fondamentale. Così come rivedere periodicamente (almeno ogni sei mesi, o prima se intervengono cambiamenti rilevanti dello stato di salute) la terapia. Anche per valutare se tutti i farmaci assunti sono ancora effettivamente necessari o se magari uno di questi nel frattempo può tranquillamente essere interrotto. «Il dialogo con il personale curante è fondamentale, sia per chiarire dubbi e perplessità, sia per segnalare nuovi disturbi, che potrebbero eventualmente anche essere causati dai farmaci stessi. Ma questo spetterà al medico approfondirlo».
Automedicazione e autoterapia
È chiaro che l’automedicazione è possibile e in determinati casi auspicabile, altrimenti non esisterebbero i farmaci da banco, acquistabili senza ricetta medica, selezionati dopo attenta analisi dei rischi-benefici. Ma l’automedicazione deve essere eseguita correttamente, per curare dei disturbi ben precisi e seguendo le raccomandazioni del farmacista e che si trovano sul foglietto illustrativo. Il sovradosaggio può essere pericoloso. Ragionevolezza e buonsenso sono le parole chiave.
Che dire dell’autoterapia? Il prof. Ceschi, su questo punto, è categorico: «Bisogna evitare di apportare modifiche di propria iniziativa alla terapia prescritta». Con riferimento a eventuali «pause» nell’assunzione dei medicamenti, interruzioni, modifiche nella posologia. Ma anche di sostituzione con fitoterapici, che oltre a comportare dei rischi possono interagire con altri farmaci. Che dire del “Dott. Google”? «Come per ogni ambito, non è possibile generalizzare. Spesso dipende dalla fonte che viene consultata: ospedali o autorità nazionali possono fornire raccomandazioni di comportamento utili. Ma la diagnosi è un’altra cosa e dovrebbe essere affidata ad un professionista sanitario. Ed è fondamentale non affidarsi ai ciarlatani in rete».
La comunicazione e il rischio
Se un tempo l’approccio del medico era più paternalistico, oggi è cambiato in maniera radicale. «Il paziente ha il diritto di essere informato, di porre domande e ricevere risposte adeguate, comprensibili e complete, che gli consentano di capire la sua condizione di salute e il relativo trattamento. La corretta informazione e il coinvolgimento del paziente sono fondamentali».
Ma non si parla solo di ospedali. O di medici di famiglia. Quando si parla di sicurezza farmacologica, si pensa spesso agli anziani e alle case di cura. «L’anziano ha già una vulnerabilità sua, anche fisiologicamente, per l’avanzare dell’età. I reni diminuiscono normalmente la propria funzione e spesso il dosaggio di un farmaco a 85 anni non è lo stesso adatto a un 40.enne. Si tratta di un paziente vulnerabile, che ha differenti meccanismi di adattamento e di risposta dell’organismo. Situazioni che aumentano il rischio di un problema correlato alla farmacoterapia. Se poi si considera che spesso sono necessari diversi farmaci, non di rado 10 e in alcuni casi anche 20 al giorno, a causa delle varie patologie, il rischio aumenta».
Cosa è stato fatto a livello pratico
«Partirei dal presupposto che nessun operatore sanitario vuole commettere errori che danneggiano il paziente, e quando questi purtroppo accadono, oltre al paziente e ai familiari, ne soffre anche l’operatore sanitario stesso. Detto questo è certamente necessario intervenire per diminuire il più possibile il rischio che eventi farmacologici avversi possano accadere». È importante sensibilizzare e coinvolgere i pazienti, ma questo non basta. «Bisogna intervenire su più fronti, sia con misure formative per gli operatori sanitari che con interventi concreti più organizzativi e sistemici». L’Ente ospedaliero cantonale (EOC) ha fatto molto in tal senso e ha un ruolo di primo piano nel settore, anche a livello di ricerca.
«Disponiamo ad esempio di un team multidisciplinare composto da medici specialisti in farmacologia e tossicologia clinica e farmacisti clinici che è a disposizione degli operatori sanitari di tutto il cantone per rispondere alle domande legate a terapie complesse. Questo team si reca inoltre attivamente nei reparti di cura dove affianca i medici nelle visite, con un occhio particolarmente vigile sulle terapie farmacologiche. Un gruppo di esperti che compone la Commissione terapeutica dell’EOC, oltre ad elaborare raccomandazioni per usare al meglio i farmaci per trattare determinate malattie, seleziona i farmaci migliori sulla base primariamente di criteri di efficacia e di sicurezza, senza dimenticare l’economicità». Si restringe la “paletta”, consentendo inoltre ai professionisti di conoscere meglio i medicamenti che prescrivono. Inoltre, sono stati fatti passi avanti concreti dal punto di vista informatico: la prescrizione farmacologica è stata interamente trasferita dal cartaceo al digitale, evitando eventuali errori di trascrizione o di comprensione.
«È stato pure introdotto un sistema di allerta per le allergie. Il sistema segnala l’eventuale somministrazione a un paziente che è noto per essere allergico a un farmaco o al suo principio attivo. Abbiamo sviluppato un sistema di allerta al medico in caso di sovradosaggio, che attiveremo a breve, inizialmente per i farmaci antiaggreganti, per poi estenderlo agli anticoagulanti e ad altri farmaci che comportano rischi molto importanti se non dosati correttamente. Abbiamo inoltre in cantiere un sistema di supporto alla prescrizione che aiuterà i medici a dosare correttamente i farmaci in caso di insufficienza renale, a scegliere i farmaci che “vanno più d’accordo” tra loro (che hanno meno interazioni problematiche), e che meno presentano un rischio di potenziarsi a vicenda nel causare effetti collaterali». In pratica, si sta lavorando per garantire un supporto completo ai professionisti sanitari, grazie a un sistema automatizzato connesso direttamente con i dati di laboratorio attuali e la cartella clinica del paziente. «Analizziamo a fondo le segnalazioni di effetti collaterali che riceviamo come Centro regionale di farmacovigilanza, per aumentare la conoscenza sul profilo di sicurezza dei farmaci in commercio. E se nonostante tutte queste misure purtroppo un errore accade, è importante analizzarlo a fondo, in modo aperto e includendo il team di cura, in modo da trarre gli insegnamenti per far sì che ciò non si ripeta».
Non si tratta quindi di un approccio unidirezionale, ma multidimensionale e complesso. Il fattore umano viene affiancato dall’innovazione per ridurre al minimo la possibilità d’errore. E aumentare la sicurezza dei pazienti.