Il paragone

Quando una coltellata (quasi) mortale aiutò Jair Bolsonaro a conquistare il Brasile

Nel 2018 il candidato di destra venne accoltellato durante un bagno di folla – La sua macchina social si mise subito in moto per screditare le forze di sinistra e ribadire, paradossalmente, la centralità della violenza
© Reuters
Marcello Pelizzari
14.07.2024 15:30

Sfruttare un attentato per meri scopi elettorali? Si può fare, sì. Senza necessariamente scomodare Ronald Reagan. L’esempio più recente, in questo senso, non è legato agli Stati Uniti. Ma rientra nel calderone della destra e del cosiddetto populismo. Correva l’anno 2018, infatti, quando Jair Bolsonaro venne accoltellato (quasi) mortalmente in mezzo alla folla. Una tragedia sfiorata, trasformatasi dall’oggi al domani in benzina e vitamina per le ambizioni dello stesso Bolsonaro. Spinto e sospinto, all’epoca, sia dalle sue idee divisive sia, appunto, da quanto gli successe. Al punto da conquistare, al primo turno, il 46% dei voti e di venire poi eletto alla presidenza del Brasile al ballottaggio (55%).

Evidentemente, molto fece la macchina da guerra social messa in campo dallo staff dell’ex militare. Un campo in cui pure Trump è maestro, fra disinformazione e fake news. Il tycoon, per dire, non ha nemmeno lasciato spazio a un minimo di decompressione emotiva. Intervenendo, quasi all’istante, nel discorso online con alcune dichiarazioni. A suo tempo, invece, lo staff del futuro presidente brasiliano si affrettò a bollare l’attentatore come un simpatizzante di Lula. Simpatizzante al centro di un complotto per assassinare un Bolsonaro oramai avviato al trionfo, considerando anche i guai legali dello stesso Lula che ne impedirono la candidatura. Una risposta, quella dello staff di Bolsonaro, che contribuì alle divisioni interne e alla polarizzazione del Paese. L’inizio, se vogliamo, di un lungo clima di instabilità e (false) accuse sfociato nell’assalto al Congresso, a Brasilia, nel gennaio del 2023. Due anni dopo quello al Congresso americano.

Di più, anche a poche ore dall’attentato Bolsonaro manifestò il proprio sostegno alle armi e, allargando il campo, al ricorso alla violenza se necessario. Durante un precedente comizio, ricordiamo, simulò una mitragliata dedicandola ai «banditi del Partito dei Lavoratori». La formazione di Lula, manco a dirlo. Dilma Rousseff, al riguardo, disse con il dovuto rispetto che Bolsonaro fu vittima della violenza che lui stesso aveva seminato. Non solo, il tema della violenza rimase centrale. Anche se non soprattutto dopo l’attentato. Così, concludendo, il candidato alla vice-presidenza Antonio Hamilton Martins Mourao: «Se vogliono usare la violenza per impedirci di vincere, i professionisti della violenza siamo noi». Vero. Basti pensare al citato assalto al Congresso.

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