Storia

Quattrocento anni fa il massacro di Valtellina

Il protestantesimo a sud delle Alpi fu annientato e il dominio grigionese sulla Valtellina temporaneamente interrotto
Un eccidio di matrice confessionale in una stampa d’epoca proveniente dalla Biblioteca Centrale di Zurigo.
Paolo Tognina
21.07.2020 15:57

Il 1620 costituisce, nella storia dei rapporti tra Valtellina e Grigioni, una data tragica. Nel luglio di quell’anno fu perpetrata, da parte di bande armate cattoliche guidate da Giacomo Robustelli, di Grosotto, una strage di protestanti che lo storico Cesare Cantù definì, intorno alla metà dell'Ottocento, il “sacro macello” di Valtellina. L'azione, concepita come un'insurrezione - sostenuta militarmente e finanziariamente dagli spagnoli del Ducato di Milano - condotta per eliminare il dominio grigione sulle valli dell'Adda e della Mera, ebbe anche l'obiettivo, non secondario, di cancellare la presenza riformata nei baliaggi retici di Valtellina, Chiavenna e Bormio.

Cronaca di una strage

Il massacro ebbe inizio a Tirano, il 19 luglio, mentre nei giorni successivi furono investite Teglio, Sondrio, la val Malenco, Berbenno, Caspano, Traona e altre località. A Tirano furono uccisi circa 80 riformati, fra cui il podestà, i suoi famigliari e collaboratori, grigioni e locali, il podestà di Teglio, suo ospite, il pastore Antonio Basso - il quale fu decapitato e la sua testa posta sul pulpito - e molti abitanti evangelici. Il mattino dopo, a Teglio, si registrarono gli episodi di maggiore ferocia, con l’uccisione, a colpi di archibugio, di quasi tutti i fedeli riuniti in chiesa per il culto e l’incendio del campanile in cui si erano rifugiate una ventina di persone. Alcune decine di riformati furono inoltre uccisi lungo la strada fra Ponte in Valtellina e Sondrio.

Ancora più sanguinosa la strage dei riformati a Sondrio, capoluogo della valle, avvenuta il giorno seguente: i caduti furono quasi duecento, compresi i morti della Valmalenco, dove fu ucciso il pastore Marc’Antonio Alba, il quale aveva collaborato, due anni prima, all'arresto dell’arciprete di Sondrio Nicolò Rusca. Una settantina di persone, fra cui il pastore di Sondrio Gaspare Alessio, avvertite dell'arrivo delle bande assassine, riuscirono a fuggire verso l’Engadina.

La notizia dell’eccidio nel frattempo si era diffusa: la maggior parte degli evangelici degli altri centri riuscì a mettersi in salvo tanto che in Bassa Valtellina i morti furono una quindicina.

Anche la comunità riformata di Brusio, nella Val Poschiavo, fu coinvolta nella strage - i morti in quella località furono poco meno di una trentina.

Complessivamente furono uccise circa 400 persone. A quelle vittime occorre aggiungere anche una decina di cattolici, trucidati per avere aiutato dei riformati a nascondersi o a fuggire.

Al massacro fece seguito l’invasione della Valtellina da parte degli spagnoli del ducato di Milano. L’arrivo degli spagnoli segnò, per i baliaggi meridionali delle Leghe retiche, l’inizio di un periodo turbolento. Le Leghe recuperarono la Valtellina, Chiavenna e Bormio soltanto nel 1639, quando venne firmato il Capitolato di Milano.

Presenza protestante

La Valtellina e i Contadi di Chiavenna e di Bormio, ovvero l’attuale provincia di Sondrio, erano stati occupati dalle Tre Leghe nel 1512. Qualche anno più tardi, la Riforma protestante si affermò nei territori retici, dove circa due terzi della popolazione e dei comuni abbracciò la nuova fede. Quello che oggi è il Canton Grigioni introdusse allora una forma di biconfessionalismo - la possibilità cioè, per cattolici e riformati, di godere della libertà di religione - che venne esteso anche alle terre suddite di Valtellina, Chiavenna e Bormio. E ciò permise la nascita di comunità protestanti anche nella valli dell'Adda e della Mera.

La presenza protestante nei baliaggi retici meridionali, durata quasi un secolo, fu sempre minoritaria, ma portò alla costituzione di parecchie comunità, alcune delle quali numericamente rilevanti. A Chiavenna, centro molto vivace dal punto di vista culturale e commerciale, sull'asse dello Spluga - dove non a caso non si verificò alcuna uccisione di riformati -, la presenza protestante giunse a comprendere un terzo, o forse addirittura la metà della popolazione.

Le comunità protestanti nei baliaggi retici erano formate da valtellinesi - o chiavennaschi -, da grigioni trasferiti in quelle valli per ragioni spesso amministrative e da profughi religiosi italiani in fuga dai tribunali dell'Inquisizione, reintrodotta nella penisola italiana nel 1542, i quali trovavano una certa libertà in una terra di lingua italiana e alle porte d'Italia.

Verso la catastrofe

Avvisaglie di un contrasto violento emersero già nei decenni precedenti al 1620, quando le tensioni interconfessionali si fecero più aspre. Sul versante cattolico, la Controriforma contribuì a rafforzare le iniziative tese a contrastare l'avanzata delle idee protestani. Tra gli evangelici, la necessità di resistere alla reazione cattolica e la volontà di disciplinare i vari movimenti interni portò a un irrigidimento delle posizioni.

Sul finire del Cinquecento il progetto delle autorità retiche di realizzare una scuola pubblica a Sondrio suscitò tumulti tra i cattolici che videro nell'iniziativa il tentativo di creare un centro di formazione e di propaganda riformata. Nel 1568 venne rapito, condotto a Roma e mandato al rogo il pastore Francesco Cellario, di Morbegno. Nel 1572 ci fu un attentato contro il pastore di Mello, preso ad archibugiate mentre predicava. Nel 1594 anche il pastore di Sondrio, Scipione Calandrino, subì un tentativo di rapimento.

All'inizio del Seicento, il territorio dell'odierna provincia di Sondrio assunse una particolare importanza strategica diventando crocevia di interessi internazionali. Veneziani, francesi e Asburgo si contendevano il controllo dei valichi alpini e delle principali vie di comunicazione attraverso la Valtellina. Il destino della valle dell’Adda fu segnato quando essa venne a costituire il più breve corridoio tra i territori asburgici lombardi e austriaci e il potente casato ebbe urgente necessità di spostare truppe e rifornimenti verso le regioni dell’Europa centrale coinvolte nella prima fase di quella che sarebbe stata la Guerra dei Trent'Anni. A quel punto le tensioni accumulate e i nodi irrisolti, compreso quello della convivenza tra diverse confessioni, esplosero.

Quattrocento anni dopo

Il "sacro macello" - episodio che rimanda a molte altre stragi compiute in ogni epoca, dalla "notte di san Bartolomeo" del 1572, al massacro di Srebrenica di 25 anni fa - ha lasciato una traccia indelebile nella memoria collettiva valtellinese e grigionese, cementando l'immagine di uno scontro irrimediabilmente micidiale tra diverse confessioni cristiane. Ma forse, a quattrocento anni da quelle tragiche giornate di luglio, varrebbe la pena ricordare anche che tra Cinquecento e Seicento, per ottant'anni, cattolici e riformati, in Valtellina, sono vissuti insieme, fianco a fianco, non senza attriti, ma a volte anche riuscendo a intendersi, o quantomeno a dialogare.