Quel filo sottile che lega Odessa al Ticino
Una mostra al museo Man di Nuoro, in Sardegna, fa luce sull’opera e la vita di Francesco Carlo Boffo che s’intreccia con l’identità architettonica e urbana di Odessa. È dedicata al mito della scalinata da lui progettata negli anni Trenta dell’Ottocento nella perla del mar Nero che fu rinominata «Potëmkin» in seguito alla fortuna del celebre film di Sergej Michajlovic Ejzenstejn del 1925. L’architetto ticinese, nato ad Arasio, sopra a Lugano, nel 1796 e morto a Cherson nel 1867, per decenni è stato considerato sardo dagli italiani per una serie di equivoci che la mostra Odessa step chiarisce grazie a ricerche d’archivio. A lui dobbiamo il volto neoclassico della città, simbolo del conflitto in Ucraina, che è stata riconosciuta dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. Francesco Carlo Boffo, nel suo ruolo di capo dell’ufficio urbanistico comunale di Odessa, disegnò innumerevoli spazi pubblici, palazzi nobiliari e la scalinata, che unisce la spianata del porto alla piazza de Richelieu, protagonista di una sequenza del film La corazzata Potëmkin tra le più citate del grande schermo. Federico Crimi, storico che ha curato la mostra con Giovanni Francesco Tuzzolino (docente al polo di Agrigento della Facoltà di architettura dell’Università di Palermo) e il contributo di Paolo De Marco, racconta al Corriere del Ticino il lavoro svolto con il Politecnico di Lviv/Leopoli e l’Archivio di Stato della Regione di Odessa che la guerra non hanno fermato.
Federico Crimi, perché
Francesco Carlo
Boffo è stato per decenni considerato sardo?
«L’equivoco inizia dal fatto che Francesco
Carlo Boffo nasce ad Arasio (Montagnola), sopra Lugano, nel 1796 e viene
battezzato e registrato con il cognome paterno che è Boffa. Quando arriva a
Odessa, che all’epoca non era ancora Ucraina, ma Nuova Russia, l’architetto cambia
il cognome in Boffo perché nelle lingue slave la desinenza femminile in «A» generava confusione. A partire dalla prima bibliografia italiana, che risale
agli anni Trenta del Novecento, con i relativi studi sull’infinito flusso di
architetti svizzeri e italiani che andavano a costruire in Russia, il cognome
Boffo veniva collegato alla Sardegna per via dei rami di una famiglia che era
abbastanza nota. In più c’è stata la confusione dovuta allo storpiamento del
nome del paese natale dell’architetto ticinese che da Arasio è diventato Orosei,
un borgo vicino a Nuoro. La distanza e la mancanza di fonti da verificare hanno
fatto il resto. Tuttora il Dizionario biografico degli ucraini ricorda Franc Karlovič Boffo
come originario del Regno di Sardegna».
Come è giunto alla
certezza dell’origine ticinese di Francesco Carlo Boffo?
«Gli studiosi ticinesi e in particolare l’Accademia
di Mendrisio, che di recente ha ripreso le ricerche sugli architetti che hanno
lavorato in Russia e Ucraina, hanno sempre considerato Boffo svizzero. Tuttavia
non era così automatico che Francesco Boffa e Francesco Boffo fossero la stessa
persona. La collaborazione con l’Università di Leopoli e con l’Archivio di Stato
della Regione di Odessa in occasione della mostra ha permesso proprio di
identificare e valutare tutti i suoi progetti e di vedere progressivamente il
cambio di cognome sui documenti che dapprima erano firmati Francesco Boffa e in
seguito Francesco Boffo».
Chi era Francesco
Carlo Boffo?
«Secondo il Dizionario biografico degli
italiani Francesco Carlo Boffo era il più importate architetto di Odessa nella
prima metà dell’Ottocento. A favorire la sua ascesa furono le strettissime relazioni
diplomatiche e commerciali del regno di Sardegna con la Perla del Mar Nero
tanto che nell’import-export era al secondo posto tra le nazioni che
commerciavano con il porto di Odessa. Gli anni della formazione a Torino hanno cambiato
le prospettive dell’architetto e creato le condizioni per l’immigrazione. Quando
Boffo arrivò a Odessa fu quasi subito assunto come capo dell’ufficio
urbanistico comunale dove rimase dal 1822 al 1844. La città, che era stata
fondata nel 1793, necessitava di una forma architettonica e urbanistica».
Possiamo affermare
che Francesco Carlo Boffo disegnò il volto neoclassico di Odessa che nel nome
riecheggia il grande eroe greco?
«Accanto a una fiumana di svizzeri italiani
e italiani di nascita, tra cui la dinastia dei Frapolli e l’architetto Franz Morandi
che era milanese, fu proprio Boffo il personaggio chiave di Odessa anche perché
progettò i principali palazzi della nobiltà di allora. Fra i ticinesi c’era Giorgio
Torricelli, originario di Lugano e coevo rispetto a Boffo con cui ha
collaborato, che era anche l’autore della Cattedrale della trasfigurazione di
Odessa e di altri edifici importantissimi. Il confine tra Italia e Svizzera appare
irrisorio perché comunque tutti questi progettisti portavano all’estero la
medesima lingua architettonica. Come diceva Aleksàndr Puškin,
che arrivò a Odessa nel 1823, la lingua ricorrente era quella della cultura ed
era l’italiano soprattutto nei primi 50 anni di vita della città».
Quali edifici
simbolo di Odessa dobbiamo a Francesco Carlo Boffo?
«Fra questi spiccano quelli commissionati
dalle principali famiglie nobili. Uno è Palazzo Potocki, ora sede del museo di
stato di Odessa, dove è conservato anche un Caravaggio che hanno smontato nei
mesi di guerra proprio per metterlo al sicuro. L’altro è Palazzo Voroncov, in
fondo al lungomare, relativamente tradizionale, con un colonnato tutto bianco e
un belvedere sospeso sul mare che è uno degli angoli più sofisticati della
città. L’altro landmark prodotto da Boffo è ovviamente la scalinata, regalata
dal conte Voroncov alla moglie, che è al centro della mostra».
Che cosa può dire
sul taglio innovativo della scala di Odessa?
«Uno dei meriti di questa mostra oltre a
far dialogare arte, cinema e architettura sta proprio nella lettura
interpretativa della scala, fatta soprattutto nel saggio di catalogo del professor
Giovanni Tuzzolino della Facoltà di architettura dell’Università di Palermo.
Questa opera mette in luce il dialogo con la città e il suo impianto
urbanistico, ma anche come Boffo abbia rielaborato i modelli di riferimento delle
scale urbane e dei palazzi del Seicento nella Roma del Bernini con una sintesi
originale. Il collegamento tra la città in alto e il porto in basso non viene
fatto con una scala a zig zag o seguendo le curve di livello, ma proponendo un
taglio trasversale fortissimo con un asse longitudinale proiettato verso il
mare».
Quanto la scala di
Odessa colpì Ejzenstejn che vi girò una scena clou del film La corazzata Potemkin?
«Quando Ejzenstejn arrivò ad Odessa colse con occhio cinematografico che la scala
proponeva già una scenografia di per sé. È noto che gli episodi della rivoluzione del 1905 a Odessa narrati in quel
film non si svolsero su questa scalinata».
La mostra ci porta
alla drammatica attualità di una guerra che sta distruggendo il patrimonio architettonico
e artistico di Odessa…
«La mostra di grande attualità è frutto della
collaborazione con le istituzioni ucraine e cade nel periodo in cui l’UNESCO ha
riconosciuto il centro storico di Odessa come patrimonio universale
dell’umanità. Uno dei punti nodali della città progettato interamente da Boffo
è la statua di piazza de Richelieu con i due edifici semicircolari che in
questi mesi di guerra è diventata una delle immagini più ricorrenti perché è
interamente coperta di sacchi pieni di sabbia usati per proteggere i vari monumenti
dagli attacchi russi».
Quali sono i
prestiti eccellenti della mostra?
«Proprio giocando sui rapporti tra architettura,
arte e cinema, abbiamo voluto puntare grazie al Man di Nuoro anche sull’arte
figurativa dell’Ottocento nel mondo dell’Europa orientale e proporre nomi a noi
sconosciuti che in Russia e Ucraina sono popolarissimi. Tra i prestiti spiccano
due straordinari dipinti: una veduta del porto di Odessa del 1885 dell’estone Rufim Gavrilovitš Sudkovski concessa dal Kunstimuseum di Tallin e una
marina in tempesta del 1897, proveniente
dal Museo nazionale di Varsavia, di Ivan
Konstantinovič Ajvazovskij che è un mito popolare come lo è Ciaikovskij per
la musica. Per questo prestito i responsabili dell’istituzione hanno preteso
che il quadro arrivasse con la scorta armata fino al confine della Polonia. Ci
si accorge della tensione che si respira in quei territori e di come le opere
d’arte diventino un simbolo dell’identità nazionale».
Come sono stati i rapporti
intercorsi con gli studiosi ucraini?
«Ci sono stati rapporti cordiali, ma lenti
non per volontà dei colleghi ucraini, ma a causa dei ritmi di vita stravolti
dalla guerra. Lo si percepiva dalla tempistica delle risposte. Alcune
osservazioni linguistiche hanno tenuto conto di una certa delicatezza. C’era un
problema complessivo di grafia e alla fine abbiamo deciso di scrivere Kyiv in ucraino
e non in russo. La parte che abbiamo faticato di più a ricostruire è stata proprio
il contesto generale. La vicenda di Boffo si inquadra nella storia di Odessa e di
quei territori che oggi sono al centro delle vicende internazionali e che fino al
1774 non erano parte della Russia. Infatti li ha conquistati il generale Grigorij
Potemkin per conto di Caterina II e poi sono stati chiamati provincia della
Nuova Russia e questo nome è stato rispolverato dai separatisti del Donbass
all’inizio del 2014».