Quel legame dell’anima tra Bellinzona e la Bolivia
Un viaggio lungo. Una linea che da Bellinzona arriva in Bolivia. L’hanno seguita due donne: l’artista Nina Dimitri, figlia d’arte del compianto clown Dimitri, e Priscilla De Lima, responsabile della comunicazione di Comundo. Un’associazione attiva in sette Paesi nel mondo che aiuta le popolazioni locali attraverso l’invio di cooperanti che lavorano sul posto in collaborazione con le diverse organizzazioni presenti. «Non portiamo dei progetti da fuori ma seguiamo quelli che ci sono già attivi sul territorio e diamo una mano», spiega De Lima. L’obiettivo finale è la sostenibilità: «Vogliamo che le persone possano riuscire a camminare da sole nel tempo, e che non abbiano più bisogno del sostegno di Comundo».
Vicino e lontano
Ma partiamo dall’inizio, dall’idea di intraprendere questo viaggio. «Nina è ambasciatrice di Comundo per la Svizzera italiana già da una quindicina di anni», rileva De Lima. L’artista ha anche una connessione speciale con la Bolivia, Paese che fa parte della sua vita e dove è già stata anche a visitare i progetti di Comundo a Cochabamba. «Ci è venuta quindi spontanea l’idea di intraprendere quest’avventura». Viaggi del genere non vengono fatti spesso, prosegue De Lima, anche perché i fondi vengono destinati in primis ai progetti. «Però, quando capita, è un’esperienza arricchente su moltissimi fronti». Ci si rende veramente conto delle realtà difficili e di come poter aiutare. Le fa eco Nina Dimitri: «Quello che stiamo facendo in Bolivia è carico di significato, riusciamo a dare a queste persone la prospettiva di un futuro migliore».
Lo «shock»
Un viaggio, questo, che non è stato semplice. La Bolivia ha all’incirca lo stesso numero di abitanti della Svizzera ma un territorio 25 volte più grande. «È vastissimo. Per raggiungere la località di Ayata, in mezzo al nulla e a oltre 3.400 metri di altitudine, ci sono volute 9 ore di viaggio da La Paz su strada sterrata», ricorda De Lima mentre ripercorre mentalmente quei momenti. «Atterrando a El Alto, 4.100 metri di altitudine, ho sofferto di mal di montagna. Alla fine del viaggio eravamo esauste!». Anche per Nina Dimitri l’impatto, all’arrivo, è stato forte. Difficile da affrontare: «All’inizio è stato uno shock. Nelle zone che abbiamo visitato le condizioni sono molto complicate, la gente vive in piccolissime case di argilla non riscaldate e trovandoci in altitudine fa freddo. Quando piove si rimane completamente bagnati, anche quando si viaggia. Spostarsi è faticoso, le strade sono dissestate e si affacciano sui dirupi». Una fatica che però è stata pienamente ripagata dall’esperienza vissuta.
Tradizioni inca
Comundo lavora su diversi livelli, sottolinea De Lima. Si va dall’aiuto ambientale a quello sociale, ma anche agricolo e sanitario. Le zone rurali come il municipio di Ayata sono sempre più teatro di emigrazione verso le città. Dove, in realtà, la qualità di vita non è migliore, anzi: «È dura per chi vive in città venendo dalla campagna: i costi sono elevati e si rischia di trovarsi in situazioni pericolose oppure emarginati». L’idea è quella di valorizzare queste zone, custodi di antichissime e ricche tradizioni risalenti all’epoca inca, come spiega Nina Dimitri. «Lo facciamo valorizzando saperi antichi dell’agricoltura che si sono persi proprio a causa della migrazione verso le città», rileva De Lima. Ma si vuole anche fornire un sostegno sociale: «I giovani nella società tradizionale boliviana non hanno uno statuto forte». Anche le donne sono poco ascoltate. «Si sposano giovanissime, a 14 anni, e a 15 hanno già il primo figlio. Noi lavoriamo per cambiare questa realtà e promuovere una leadership giovane e femminile, affinché imparino ad esprimersi, a difendere i propri diritti e le proprie esigenze».
Un tuffo nel 1985
«Quando sono arrivata ad Ayata mi sono sentita come se fossi tornata indietro nel tempo, nel 1985, quando per la prima volta ho messo piede in Bolivia. Anche io all’epoca abitavo in una di queste case d’argilla». È un ricordo commosso ed emozionante quello di Nina Dimitri, e del suo profondo legame con questo Paese. Uno storia che inizia ad essere scritta da una Nina giovanissima, a 19 anni, quando decide di intraprendere il viaggio verso una terra così lontana per seguire la sua passione: imparare a suonare il charango (tipico strumento boliviano, simile a una piccola chitarra). Un’avventura che la porta a conoscere il suo compagno Julio Lavayén, uno dei migliori maestri di charango dal quale ha avuto il figlio Samuel. «Non sarei la stessa se non avessi fatto questa esperienza, mi ha permesso di costruire le fondamenta della mia vita».