Quel quartiere di Gomel tra i più sterili e scottanti della città

Una statua di Lenin accoglie i passeggeri alla stazione ferroviaria di Gomel. Nel parco cittadino sorge la reggia neoclassica Rumyantsev-Paskevič, uno dei simboli più famosi della Bielorussia, raffigurata anche sulla banconota da 20 rubli. Nemmeno una foglia per terra, tutto pulito e ordinato. Ma quando si esce dal centro il paesaggio urbano si fa sempre più sterile. Risalendo la sponda del fiume Sož, svettano imponenti i grattacieli del Melnikov Lug, un complesso residenziale costruito sulla pianura alluvionale dell’affluente del Dnepr. Edifici alti almeno dieci piani e molto ravvicinati tra loro. Addentrandosi, la sensazione è opprimente. Il terreno non occupato dal cemento è sabbioso e le aiuole sono incolte. Con uno studio del piano regolatore, di immagini satellitari e di mappe a infrarossi, l’ecologo Dzmitry Yankou colloca questo quartiere della sua città natale uno tra i «punti più caldi di Gomel».
L’esito dell’analisi, pubblicata sul sito homeldays.org, evidenzia in modo inaspettato che le isole di calore si concentrano all’interno dei più moderni microdistretti, contribuendo a renderli le aree più scomode in termini di temperatura. La causa è l’assenza di aree verdi e di opportune infrastrutture che non permettono ai cittadini di poter fruire in modo facile degli spazi naturali. Come sottolinea Yankou, manca un valido progetto dedicato all’arredo urbano e anche laddove si evince la recente piantumazione di alberi, le caratteristiche non si adattano a risolvere la problematica in tempi brevi.
Seppur la costruzione dei palazzi più moderni risalga al primo decennio degli anni 2000, nel Melnikov Lug si rispecchia il costruttivismo sovietico. Grattacieli, condomini, campanelli e cassette postali sono identificati solo da numeri. La ripetizione dello stesso modulo è l’aspetto dominante che contribuisce a rendere desolata l’atmosfera. Alle attività commerciali, maggiormente concentrate sulla strada principale, si aggiungono una clinica medica, una scuola e una caserma che racchiude insieme Vigili del Fuoco e Polizia. Milizia, stando alla traduzione letterale, il cui stemma assomiglia a quello del KGB, l’Agenzia per la Sicurezza dello Stato.
Gomel è la seconda città del Paese per numero di abitanti, circa mezzo milione, e considerata l’alta densità abitativa del complesso residenziale si nota che la mancanza di aree verdi va di pari passo con l’assenza delle persone. Per strada la gente si muove da sola, al massimo due individui, e non fa gruppo. Una legge contro gli assembramenti, per prevenire le rivolte, lo impedisce. Le auto parcheggiate negli stalli sono poche e il traffico non è sostenuto.
Nel rapporto pubblicato da Amnesty International – «Bielorussia: le violazioni dei diritti umani accertate nel 2023» –, risulta che dopo l’inizio della repressione del dissenso nel 2020 contro il governo e il presidente Lukashenko, definito l’ultimo dittatore d’Europa, circa 350.000 persone (a fronte dei 9.475.174 abitanti del 2019) hanno lasciato la Bielorussia e che la libertà d’espressione, di riunione pacifica, di associazione sono rimaste gravemente limitate per l’inasprimento della soppressione. Laddove domina il silenzio, una mano precisa, che conosce i caratteri latini, ha scritto sul marciapiede la parola «Utopia». Ecco all’improvviso la consapevolezza, fino a quel momento quiescente, della realtà che ci circonda. La sensazione di essere confinati in una prigione, dove si ha la paura di una presenza che c’è, si percepisce ma non si vede.