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Quella fuga in Sudamerica protetta dagli Alleati

I documenti desecretati provenienti dagli archivi di Kew Gardens hanno confermato le ipotesi di ricerca di molti studiosi – Gerarchi e militari nazisti e fascisti furono aiutati a scappare dalla CIA e dall'intelligence britannica
Dario Campione
05.08.2022 06:00

Il film di Leon Prudovski proiettato ieri sera in Piazza Grande rilancia il gigantesco capitolo della fuga in Sudamerica - alla fine della Seconda Guerra mondiale - di alti ufficiali, gerarchi e persone fortemente compromesse con i regimi di Hitler e Mussolini. Chi erano costoro? Chi li aiutò a lasciare l’Europa? E perché?

Giovanni Fasanella, giornalista e ricercatore, da anni è impegnato - assieme a Mario Josè Cereghino - nello studio approfondito dei documenti (desecretati) dei servizi di intelligence inglesi e americani custoditi nell’archivio di Kew Gardens, a Sud-Ovest di Londra. Carte che contengono risposte sorprendenti, talvolta impensabili, sicuramente sconosciute a molti.

«In Sudamerica trovarono asilo altissimi gerarchi del nazismo e molti esponenti di primo piano della Repubblica Sociale Italiana - dice Fasanella - I servizi alleati li aiutarono pensando che avrebbero potuto essere utili, nel contesto della guerra fredda, per fronteggiare il nuovo “nemico”: il comunismo. Lo scenario geopolitico internazionale che si stava prospettando nelle ultime settimane della guerra era chiarissimo, i germi della spaccatura profonda tra Occidente liberale ed Est comunista erano evidenti».

Tutti conoscono la storia di Adolf Heichmann, che fu rapito dal Mossad in Argentina e riportato in Israele per un processo passato alla storia grazie al racconto che ne fece Hannah Arendt. Ma il responsabile organizzativo della “soluzione finale” era soltanto uno dei moltissimi che si sottrassero alla giustizia dei Tribunali tentando di rifarsi una vita in America Latina.

«Alcuni di loro sono notissimi - sottolinea Fasanella - Pensiamo, ad esempio, a Junio Valerio Borghese, il principe nero, capo della XMAS, il quale fu inglobato nell’intelligence inglese; oppure a Reinhard Gehlen, che comandava la rete di spie naziste nei Paesi comunisti: dopo la guerra, quella stessa rete fu assorbita in blocco negli apparati della CIA e, di fatto, costituì il nucleo fondativo dei nuovi servizi tedeschi, il Bundesnachrichtendienst (BND)». Non pochi tra questi fuoriusciti, una volta trovata la nuova identità e rassicurati dalla consapevolezza di una sostanziale impunità, proseguirono in forme anche aggressive la loro militanza politica. Dando vita, spiega Fasanella, a una «una sorta di internazionale nera che, negli anni successivi, ebbe un ruolo decisivo nelle vicende della strategia della tensione. Le carte dei servizi e della diplomazia inglese e americana hanno confermato ciò che fino a qualche tempo fa era soltanto un’ipotesi di ricerca: fu un pezzo “deviato” dell’intelligence alleata concepire e favorire l’internazionale del terrore».

Il personaggio chiave che immaginò e realizzò in Italia questa rete fu James Jesus Angleton, «un ufficiale del controspionaggio anglo-americano addestrato nelle scuole dell’intelligence britannica. Tornato in America, costruì la “doppia CIA”, un sottofondo segreto che operava all’insaputa degli stessi vertici dei servizi ufficiali. Scoperto, fu licenziato dal capo di Langley, William Colby, che nel 1978 scrisse un libro in cui spiegava come l’Italia, nell’immediato secondo dopoguerra, fosse stato un laboratorio in cui venne costruito il prototipo dell’apparato della guerra clandestina. Lo stesso che venne poi esportato nel Cile di Salvador Allende».

Quello di Angleton è un nome che ricorre spesso nei libri di storia. Altri sono rimasti sottotraccia. Ad esempio, Giuseppe Cambareri, alias «Entità X, “Il Mago”, “Cagliostro”. Un massone calabrese, emigrato giovanissimo in Argentina, «capace di intrattenere relazioni tra fascisti, servizi italiani, ex gerarchi rifugiati, poteri occulti e organizzazioni malavitose. In Sudamerica, Cambareri aveva creato una sorta di banca occulta che si alimentava attraverso il narcotraffico e fece da sostegno e da appoggio logistico, economico e organizzativo diretto alla strategia della tensione», conclude Fasanella.  

La foto 

Ieri sera in Piazza Grande sono saliti sul palco i direttori artistici del passato.

© Locarno Film Festival / Ti-Press / Samuel Golay
© Locarno Film Festival / Ti-Press / Samuel Golay
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