Quella tragedia che sconvolse la Leventina

Come oggi 125 anni fa, il 6 dicembre 1894, avveniva quella che è rimasta a lungo nella memoria collettiva come la tragedia di Altanca. Sei persone del paese, recatesi in Cadagno per trasportare a valle il fieno raccolto durante l’estate, o (a seconda delle versioni) per raccogliere legna, nel rientrare attraverso il lago Ritom ghiacciato (si era già in pieno inverno) annegarono, causa l’improvvisa rottura dello strato di ghiaccio. Nel capolavoro di Alina Borioli, «Ava Giuana», il noto verso «Chel ch’u s pò parziala mia l’è da chi pòuri ch’é smersgiüt; da chi ch’é sgiarei sü lè pai scim, da chi ch’é rastei sott ai lüinn, da chi ch’é rastei sott al gescion (ses in u lèi in un bott sol!): ses a la òuta in un paisin iscì l’eva be roba da strapass i cavì!» (ossia che la scomparsa di ben sei persone annegate - «in u lèi» - di colpo) in un paesino così, era roba da strapparsi i capelli) si riferisce appunto a questo fatto.
La disgrazia
Fra i giornali dell’epoca, il primo a darne notizia, con una cronaca datata da Ambrì e firmata «agenzia Havas», fu il quotidiano liberale bellinzonese «La Riforma» (poi «assorbito» dal Dovere). Nell’edizione del 7 dicembre, in pagina di cronaca, sotto il titolo «Una gravissima disgrazia nel lago di Piora» si legge: « Sei persone perirono miseramente ieri sera nel lago di Piora. Luigi Curonico, d’anni 47, con le figlie Ancilla e Claudina, e Celestino Croce di anni 45, col figlio Riccardo e la figlia Silvia, si recarono nel bosco soprastante al lago Ritom con l’intenzione di raccogliervi legna. Caricato il legname sulle slitte si inoltrarono poscia di nuovo con esse sulla superficie gelata ma questa, non essendolo sufficientemente, ad un certo punto si ruppe, inghiottendo le 6 persone. Il prolungato ritardo della comitiva destò in paese un forte panico, per cui alcuni animosi, prevedendo una disgrazia si recarono stanotte alla ricerca dei propri compaesani. Purtroppo, i loro timori per la sorte degli infelici, erano fondati, ché dalla rottura del ghiaccio compresero la disgrazia accaduta».
A 50 metri dalla salvezza
Il giorno successivo (8 dicembre) lo stesso giornale scrive: «Dalle ultime notizia pervenuteci (...) all’ora in cui scriviamo non si sono ancora potuti estrarre i cadaveri delle povere vittime. La luttuosa notizia produsse su tutta la popolazione bellinzonese un’impressione penosissima, ed era generale il compianto per le due famiglie sì duramente colpite e per tutto il paesello di Altanca. La Riforma ha potuto dare ieri tutti i dettagli del triste caso. Perfino il Corriere era muto, che è tutto dire»... Il quale Corriere, un paio di giorni dopo riassume la catastrofe rilevando che il lago era gelato e che «quei buoni valligiani, come di solito, si inoltrarono su di esso nelle vicinanze dell’hotel Piora e lo costeggiarono per oltre 200 metri. Rassicurati circa la resistenza del ghiaccio, presero poi la via retta per compiere la traversata, ma fatalmente a 50 metri dalla riva il ghiaccio era troppo debole e tutti, caduti nelle fredde acque del lago, miseramente annegarono».

Altri dettagli
Altri dettagli sulla disgrazia sono forniti dal «La Libertà», in prima pagina, nell’edizione di lunedì 10 dicembre. Sotto il titolo «La catastrofe dei 6 altancanesi», il foglio conservatore riporta per sommi capi quanto già sappiamo, aggiungendo che «non si sa bene se le vittime si recassero lassù a raccogliere legna, ovvero a prendervi del fieno raccolto durante la state nelle stalle di Cadagno». Fatto sta che «la giornata bella e le gite in Piora, frequenti anche durante il verno e punto pericolose (...) non lasciava in alcuna apprensione le famiglie, che fino al tramontar del sole non ebbero nessun dubbio sulla sorte dei loro cari». Quando però «le ombre della sera scesero sull’alpestre paesello, e non uno della comitiva fu visto rientrare, allora cominciarono ad inquietarsi le consorti Curonico e Croce che, di concerto, mandarono alla montagna 2 ragazze, e poi ancora 2 donne in traccia degli assenti».
Dopo lunghe ore «in angosciosa attesa», dopo la mezzanotte, le donne «spedite in Piora» «tornaron stanche e scorate. Nulla esse avevan visto, nulla avevan sentito (...). Allora fu dato l’allarme in paese: una grande disgrazia era di certo avvenuta». Una quindicina di uomini «muniti di lanterne, di ferri, di picconi e di funi, partirono alla volta di Piora. Giunti in riva al lago Ritom (...) parve loro di scorgere che ad un certo punto la superficie fosse rotta. Avanzatisi in quella direzione, scorsero sulla neve delle pedate, poi un cappello. Ormai non c’era più dubbio...».
Quanto alla dinamica della tragedia, non se ne sa nulla. Un cronista locale, Anselmo Buletti di Deggio, ha annotato sul suo diario: «Non essendo sopravvissuto nessuno alla catastrofe, non se ne seppe i particolari, se scomparvero tutti d’un colpo, ciò che è poco probabile, o se parte perirono tentando di salvare gli altri».
Il recupero dei corpi
Laborioso fu anche il recupero delle salme. Al riguardo, il cronista Buletti scrive che i soccorritori, «accertatisi dalla miseranda fine di quei poveretti, pensarono ai mezzi per trarre dal lago almeno i corpi dei miseri. Condotta sopra una slitta fino sul luogo una barca dell’Hotel Piora, ed entrativi alcuni nella medesima, ruppero il ghiaccio tutt’intorno per parecchi metri quadrati, indi colle lungagne di Cadagno alle quali furono attaccati dei robusti uncini, ed immerse nell’acqua, facevano muovere la barca in tutte le direzioni finché qualcuno degli uncini si fosse attaccato a qualcuno dei corpi che giacevano sul fondo, ad una profondità di circa 25 metri (...)».
I funerali
Domenica 9 dicembre ebbero luogo i funerali, di cui riferiscono il giorno seguente sia «il Dovere» che «Gazzetta Ticinese». «Dopo aver descritto la «scena tanto desolante, tanto lugubre, tanto raccapricciante (...) e il dolore dei superstiti famigliari, tale da strappare le lacrime a tutti indistintamente gli astanti», viene riportato del corteo, aperto dalle scolaresche del Comune e dalle autorità presenti.
Lo storico Fabrizio Viscontini: "Un secolo difficile, con tre eventi molto sfavorevoli per la gente"
Fabrizio Viscontini, leventinese, storico nonché direttore delle SM di Giornico, ci aiuta a collocare il dramma di Altanca nel contesto di quell’epoca.
Viscontini, qual è la condizione socio-economica della Leventina di fine Ottocento?
«Siamo alla fine di un periodo piuttosto duro da un punto di vista economico e sociale per l’intera valle. Una valle dominata dalla società agropastorale, presente da secoli e che permette di condurre una vita dignitosa agli abitanti. L’allevamento di bestiame non è tuttavia l’unica attività: c’è il trasporto delle merci, prima a dorso di mulo, attraverso le mulattiere, poi a partire dal 1830 con i carri. Inoltre è presente anche un’emigrazione di carattere stagionale. Durante tutto il secolo si assiste a un importante aumento della popolazione in Leventina, e la conseguenza è una maggiore pressione sulle risorse: penso in particolare allo sfruttamento degli alpi. La situazione è dunque critica, pesano alcuni elementi sfavorevoli».
Quali?
«Il primo è l’epidemia della patata, nel 1845. Il tubero giunge in valle alla fine del 1700 e permette un sensibile aumento del benessere. Quella è un’epidemia europea, ma che influenza le condizioni di vita di molte popolazioni. Successivamente nel 1853 si verifica il ‘‘blocco austriaco’’, la cacciata di 6.000 ticinesi dal Lombardo-Veneto per motivi politici, con profonde conseguenze anche in Leventina. L’ultimo evento sfavorevole – una catastrofe in questo caso – è la grande alluvione del 1868. Ecco, la somma di questi tre episodi portano a un’emigrazione non solamente periodica, ma definitiva. E non più solo in Francia o nel nord Italia, bensì oltre Oceano. I leventinesi partecipano alla corsa all’oro in California e in Australia, oppure lavorano nei ranch. La situazione di allora è magistralmente descritta da Alina Borioli nella sua Ava Giuana. Una poesia che ha contribuito, fra le altre cose, a tramandare il ricordo dei morti al Ritom».
La tragedia di Altanca è datata 1894. Cosa succede, dopo, in Leventina?
«Una cesura. A cavallo fra Ottocento e Novecento, tra il 1895 e il 1914, siamo nella famosa Belle Époque, un momento storico florido. E anche la Leventina subisce in modo positivo la seconda rivoluzione industriale. Subito dopo il triste evento del lago Ritom c’è uno sviluppo economico notevole nell’intera valle. A partire dal 1905 il polo industriale di Bodio diventa tale grazie alla concessione delle acque della Biaschina alla Motor di Baden; poi c’è l’estrazione del granito così come una specializzazione turistica della regione, con la costruzione di alberghi e case di vacanza. Siamo in una situazione di rottura fra un’epoca e l’altra, il cui inizio - curiosamente - coincide con il dramma di Altanca».
Ciò che più strugge, dalle cronache del tempo, è che quattro dei sei morti di quella tragedia sono giovanissimi.
«A fine Ottocento i bambini vanno a scuola. Del resto l’introduzione dell’istruzione obbligatoria e datata 1837. Però, evidentemente, i ragazzi già in tenera età danno una importante mano alle famiglie. Famiglie di allevatori. Nella società agropastorale tradizionale, la maggior parte dei nuclei ha due o tre mucche, non di più. Il resto sono capre o pecore. E i bambini si occupano di questi capi minuti oltre a prestare aiuto per altre attività, come appunto avviene al Ritom il 6 dicembre 1894».
Il dramma è stato tramandato a lungo nei racconti della valle?
«Nell’alta Leventina sì, il dramma è ancora radicato. Ma, come detto in precedenza, è stata la poetessa Alina Borioli a tramandare e a far uscire dai confini della valle la disgrazia».