La tragedia

«Questione di millisecondi»: di tempo, il Titan non ne ha mai avuto

Il sommergibile scomparso domenica è imploso, probabilmente ben prima che le autorità arrivassero sul posto per le ricerche — OceanGate: «Un momento molto triste per l’insieme degli esploratori e per tutti i familiari dei dispersi in mare»
Giacomo Butti
22.06.2023 23:19

Questione di tempo. Tutti, stamattina, speravano che il Titan ne avesse ancora. Che le cinque persone disperse nell’Oceano Atlantico avessero trovato il modo, così come teorizzavano molti esperti, di consumare meno ossigeno e andare oltre le 96 ore che, da scheda tecnica, il sommergibile è in grado di garantire ai suoi occupanti. Ma era tutta un’illusione: di tempo, il Titan, non ne ha mai avuto. Nel tardo pomeriggio, la Guardia costiera statunitense ha annunciato il ritrovamento di un campo di detriti nei pressi del relitto del Titanic. Una notizia data con la dovuta cautela - «Stiamo ancora analizzando le informazioni» - ma che agli addetti ai lavori è sembrata, subito, sancire la tragedia. Perché, altrimenti, notificare al pubblico la presenza di rottami in un luogo, il cimitero del Titanic, dove tutti si aspettano di trovarne, e parecchi? 

Per la conferma si è dovuto attendere qualche ora. Ma, alla fine, anche questa è arrivata. Con una nota pubblicata alle 20.45, poco prima del briefing previsto dalle autorità statunitensi, OceanGate - l’azienda responsabile della progettazione del Titan - ha fatto sapere: «Li abbiamo persi».

L’implosione

«I detriti trovati nell’area di ricerca vicino al relitto del Titanic provengono dal sommergibile scomparso», ha poi annunciato in conferenza stampa il contrammiraglio della Guardia costiera statunitense John Mauger, alla guida delle ricerche. Sparsi a quasi 500 metri dal relitto del transatlantico, cinque grandi frammenti hanno permesso l’identificazione del Titan.

Fra questi, il cono dell’ogiva e le estremità anteriore e posteriore dello scafo a pressione. La disposizione dei resti del sommergibile, ha sottolineato Mauger «è compatibile con una catastrofica implosione». Illusorie le speranze coltivate sui suoni registrati negli scorsi giorni, i «colpi» captati a cadenza regolare, ogni 30 minuti, dai sonar dei soccorsi. Oggi, già prima del fatidico annuncio, le autorità avevano fatto sapere che, con ogni probabilità, si trattava solamente del rumore di fondo prodotto dall’oceano. Le analisi del suono, tuttavia, possono dare un indizio sulla cronologia degli eventi. «Un’implosione, lo ripeto, così catastrofica avrebbe generato un rumore a banda larga significativo: le boe sonar (impiegate già nelle prime ore dopo l’allarme, ndr) lo avrebbero captato», ha detto Mauger. Insomma, mentre in superficie si contavano le ore, negli abissi, ipotizzano ora gli analisti, tutto era già finito. Un evento devastante in grado di uccidere istantaneamente l’intero equipaggio. «Millisecondi», ha dichiarato a Sky News David Mearns, esperto di soccorso e amico di due occupanti del Titan, il primo a confermare che sì, quelli ritrovati erano proprio i detriti del batiscafo di OceanGate.

Senza idea

In contatto con i gruppi di ricerca, Mearns ha potuto anticipare (non erano nemmeno le 19): «La presenza di un campo di detriti è indizio dello scenario peggiore: l’implosione. Se è davvero andata così, si è trattato di millisecondi. Gli uomini non hanno avuto idea di che cosa stesse accadendo».

Della stessa opinione si è detto David Russell, ex sommergibilista della Royal Navy il quale, nel 2000, aveva cercato di salvare l’equipaggio del sottomarino russo Kursk. «È lo scafo a pressione, il luogo che ospita l’equipaggio, che deve resistere alla pressione che si prova a 4.000 metri di profondità. La sua implosione significa che le vite di coloro che si trovavano all’interno sono andate perse istantaneamente. La gente vorrà sapere che cosa abbia causato la distruzione di questo sommergibile che, a quanto mi risulta, aveva operato a quella profondità molte volte».

OceanGate

Una domanda, questa, da rivolgere non solo alle autorità - le stesse che questa sera hanno sottolineato come fosse «troppo presto» per parlare di indagini - ma anche ai costruttori del Titan. Nel comunicato diffuso alle 20.45, OceanGate ha ricordato i nomi delle vittime: «Il nostro CEO Stockton Rush, Shahzada Dawood e suo figlio Suleman Dawood, Hamish Harding e Paul-Henri Nargeolet. Questi uomini erano veri esploratori che condividevano uno spiccato spirito di avventura e una profonda passione per l’esplorazione e la protezione degli oceani del mondo. I nostri cuori sono con queste cinque anime e con tutti i componenti delle loro famiglie in questo tragico momento. Siamo addolorati per la perdita della vita e della gioia che hanno portato a tutti coloro che conoscevano. Questo è un momento estremamente triste per i nostri dipendenti, sfibrati e profondamente addolorati per questa perdita». Ringraziando le organizzazioni e la comunità internazionale per il supporto, la società ha concluso: «Questo è un momento molto triste per l’insieme degli esploratori e per tutti i familiari dei dispersi in mare».

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