Tecnologia

«Regalare un cellulare a un bambino è come spingerlo a mentire»

Il nuovo saggio di Stefania Garassini ci spiega perché non bisogna concedere il dispositivo prima dei 13 anni
(Foto Zocchetti)
Romina Borla
27.03.2019 06:00

I bambini di oggi sono sempre più «tecnologici» e connessi, mentre il mercato strizza loro l’occhio, elaborando cellulari «dai 6 anni in su» con un design accattivante, applicazioni mirate e magari funzioni di controllo potenziate (oltre al localizzatore GPS incorporato). Ma c’è chi consiglia ai genitori di fermarsi un attimo a pensare: «Non concedetelo solo perché lo fanno tutti e per paura che vostro figlio rimanga escluso». Come Stefania Garassini – giornalista, docente universitaria ed esperta di media (nel 1993 ha fondato il mensile «Virtual», la prima rivista italiana di cultura digitale) – che ha appena pubblicato «Smartphone, dieci ragioni per non regalarlo alla prima Comunione (e magari neanche alla Cresima)», Edizioni Ares. L’abbiamo intervistata.
«Lo smartphone è uno strumento potente e complesso, progettato per diventare indispensabile a chi lo usa», afferma la nostra interlocutrice. «Esso spalanca le porte del Web, un mondo nuovo – ricco ed estremamente creativo – ma che cela anche numerose insidie». E non stiamo parlando esclusivamente degli estremi della pornografia, della violenza e dell’ingiuria dilaganti online. Pensiamo, ad esempio, a come il cellulare faciliti i contatti tra persone fisicamente lontane ma allo stesso tempo possa creare dipendenza, distogliendo la nostra attenzione da chi abbiamo davanti. «Ci vogliono dunque maturità e capacità critica per gestirlo al meglio», sottolinea Garassini. «Facoltà che ai più piccoli mancano. Non dobbiamo infatti lasciarci ingannare dalla favola dei “nativi digitali”, che spaccia i bimbi di oggi come geni dell’informatica a cui non si può insegnare nulla, contrapposti agli adulti, “immigrati digitali” destinati ad arrancare nel pantano online». È innegabile che bambini e adolescenti abbiano una naturale familiarità con gli strumenti tecnologici, spiega l’intervistata. «Se mettiamo lo smartphone in mano ad un undicenne è sicuro che scoverà da solo funzionalità per noi del tutto sconosciute e riuscirà in un attimo a far funzionare quell’applicazione che ci risultava impossibile da utilizzare. Ma è quasi certo che il piccolo sia del tutto inconsapevole delle operazioni che sta compiendo». Non è infatti dotato di sufficiente spirito critico. Quindi non sarà in grado, ad esempio, di valutare l’attendibilità di una notizia o di una fonte.
Nemmeno noi adulti siamo ineccepibili su questi fronti – osserva Garassini – ma disponiamo comunque di qualche strumento di giudizio in più che possiamo tentare di trasmettere alle nuove generazioni. «Adulti e ragazzi hanno di fronte le stesse sfide, tipo capire davvero come interpretare e valutare le informazioni online, avere ben presente che fine fanno i nostri dati, ricordare sempre che dietro allo schermo ci sono persone e che gli input partiti dalla tastiera hanno effetti su di loro». Per l’esperta il compito dei genitori è quello di mantenere il controllo, fin dalla decisione – importantissima – dell’età alla quale dotare il figlio di uno smartphone. «Il cellulare è, come detto, la chiave di accesso ad un mondo nel quale passerà molto tempo. Un universo pieno di contenuti e tipi di relazioni concepiti per gli adulti. Consideriamo WhatsApp e le complicate dinamiche delle relazioni che contribuisce a creare. Esse mettono spesso in difficoltà anche gli adulti, figurarsi i bambini. Vogliamo davvero mettere sulle loro spalle tutto quel peso?».

L’ideale, secondo l’intervistata, sarebbe regalare il cellulare solo intorno ai 13 anni. Prima si può permettere ai più piccoli di consultare il nostro dispositivo, in modo da monitorare meglio la situazione. «È chiaro che questo rende la vita dei genitori un po’ più dura: devono contenersi nell’uso e collezionare qualche loro contatto. Ma non è così complicato». Tanto più che concedere uno smartphone – il quale implica l’iscrizione a uno o più social media – prima dei 13 anni diventa un incitamento a mentire. «Per iscriversi a Facebook o Instagram occorre avere 13 anni compiuti», spiega Garassini. «Mentre per usare WhatsApp l’età minima, in Europa, è 16 anni. Quanto a Youtube, che è di proprietà di Google, l’età richiesta per gestire un account in autonomia varia da Paese a Paese e in ogni caso è superiore ai 13 anni. Come pensiamo di risolvere il problema? O proibiamo ai figli l’accesso ai servizi elencati o consentiamo loro di mentire e infrangere le regole».
Ma se un genitore, nonostante tutto, decide di regalare il cellulare al figlio prima dell’età indicata? «Dovrebbe quantomeno chiedere la condivisione delle password e istallare dei filtri ovvero dei software per rendere più sicura la sua esperienza online», sostiene la docente universitaria. «Ricordatevi però che l’unico filtro a resistere nel tempo sarà il senso critico e la capacità di valutazione che sarete riusciti a trasmettere a vostro figlio». I rischi in Rete, infatti, non mancano. Prima di tutto quello della dipendenza: «Nel caso dello smartphone è incoraggiata la tendenza al controllo continuo e compulsivo in cerca di sempre nuove gratificazioni. C’è chi sostiene che l’effetto del ricevere notifiche sarebbe un rilascio di dopamina nel nostro cervello, in grado di rendere l’esperienza piacevole e quindi da ripetere il più spesso possibile, come avviene per il gioco d’azzardo, l’uso di droghe, il fumo o l’alcol». Poi ci sono le radiazioni, i disturbi del sonno, l’esposizione alla pornografia e alle immagini violente, ecc.

Ricordo uno studio dal quale emergeva che la parola più sentita dai bambini, pronunciata da un genitore con uno smartphone in mano, è «aspetta».

In questo caos, ricorda la nostra interlocutrice, è importantissimo il buon esempio che dovrebbe arrivare dagli adulti. Ma non sempre questi ultimi si dimostrano all’altezza. Dice Garassini: «Ricordo uno studio dal quale emergeva che la parola più sentita dai bambini, pronunciata da un genitore con uno smartphone in mano, è “aspetta”. Insomma, spesso gli adulti non danno le dovute attenzioni ai più piccoli, risucchiati come sono dalla tecnologia ormai sempre più pervasiva. Dovremo autodisciplinarci prima di pretendere di educare: stabilire dei momenti in cui nessuno usa il cellulare, ad eccezione delle situazioni di emergenza. Ad esempio niente telefono a tavola e neanche in camera da letto, la sera e la notte. È importante preservare spazi e tempi in cui non si è raggiungibili, tipo un’ora prima di dormire».
Molti problemi, per l’esperta, derivano dal fatto che un ragazzino possa usare il cellulare da solo durante la notte, momento in cui tutto è più difficile da affrontare. «Se gli arriva un messaggino insultante come gestirà la situazione? Ha senso sottoporlo a questo stress? Di giorno lo stesso SMS avrà un altro impatto. Sarà sempre sgradevole ma il piccolo potrà contare sul supporto delle persone che ha intorno». Poche regole, dunque, ma chiare per costruire un percorso virtuoso insieme ai più giovani. «Abbandonando la via più facile del disimpegno, incoraggiandoli ad usare cellulare e Web in maniera utile e creativa (vedi tutorial su YouTube)».

La situazione in Svizzera, qualche dato

«Il telefono portatile è il media preferito degli allievi delle scuole elementari e quasi la metà di loro ne possiede uno proprio», afferma MIKE 2017, un’indagine realizzata in Svizzera su un campione rappresentativo di bambini dai 6 ai 13 anni. «La percentuale sale con l’età, infatti oltre il 60% dei ragazzini di 10-11 anni e l'80% di quelli di 12-13 anni ha un cellulare, generalmente uno smartphone. Quest’ultimo è usato per giocare, guardare video, ascoltare musica o scambiare messaggi». L’applicazione preferita in assoluto dagli intervistati è YouTube seguita da WhatsApp, Instagram e Snapchat. Dall’inchiesta è emerso che un ragazzino su tre utilizza il telefonino durante le ore in cui dovrebbe dormire.

Il 97% dei 12-13.enni e il 99% dei 14-15 enni possiede uno smartphone indica JAMES 2018, uno studio svizzero sull’uso dei media e sull’impiego del tempo libero dei giovani d’età compresa tra i 12 e i 19 anni. Nelle giornate infrasettimanali – specifica la ricerca – i giovani trascorrono in media 2 ore e 30 minuti sul Web, nel fine settimana 4. Per l’intrattenimento vengono utilizzati soprattutto i social network (Istagram, Snapchat, Facebook, ecc.) e i portali video (You Tube). Dallo studio emerge che il 23% dei giovani è già stato vittima di un tentativo di ledere la sua immagine in Rete. Al 16% degli intervistati sono già stati inviati testi o immagini offensive mediante cellulare o computer. Per oltre il 12% sono state diffuse informazioni false o offensive in Rete. Il 30% dei giovani ha già avuto esperienza di cybergrooming (quando si viene contattati online da una persona sconosciuta con richieste indesiderate a sfondo sessuale). Poco meno della metà dei giovani svizzeri (44%) ammette di avere guardato film pornografici sul cellulare o sul PC. Il 40% ha dichiarato di aver ricevuto foto o video osé da parte di coetanei (sexting). Circa due terzi dei giovani (62%) ammettono di aver già guardato video violenti sul telefonino o sul computer. Per ulteriori informazioni vedi www.giovaniemedia.ch.