Riapre il Casinò di Campione: tutte le immagini esclusive

Sono trascorsi 41 mesi dal giorno in cui Campione d’Italia scoprì di essere fragile. Vulnerabile. E indifesa. Un cigno di cristallo, incapace di reggere anche soltanto i placidi marosi che lambiscono dolcemente le sponde del Ceresio.
Il 18 luglio del 2018, a Como, mentre un giudice decretava il fallimento della società di gestione del Casinò, un’intera comunità veniva inchiodata a un destino senza speranza.
«All’improvviso, il paese dei balocchi non esisteva più - dice il sindaco, Roberto Canesi - Quello stesso paese dal quale in tanti avevano preso, anche quelli che non avrebbero dovuto, era stato cancellato. Azzerato. E senza un valido motivo. Ancora oggi non mi spiego il fallimento di una società che fatturava 90 milioni l’anno. Si è voluto penalizzare un intero sistema. Certo, la nostra immagine era sbagliata, compromessa. Ma non siamo mai stati il paradiso descritto da tanti. Qualcuno si è voluto prendere una rivincita. E ci ha messo in ginocchio».

Quarantuno mesi senza il Casinò. Più della metà dei quali segnati dalla pandemia di COVID-19. Un mix letale. Che ha piegato in due Campione. Cambiandola per sempre.
Oggi, alla vigilia della rinascita, a pochi giorni cioè dalla riapertura della casa da gioco, domina ancora un sentimento diffuso di incertezza. Il paese sembra in sonno. Moltissimi locali sono chiusi, nei due bar aperti sul lungolago qualcuno gioca alle slot tra un caffè e un bicchiere di vino, nell’illusione forse di vivere le emozioni di un tempo andato. Ma il tempo non torna mai sui suoi passi. È soltanto un’illusione, appunto.
Le facce appaiono stanche. I clienti sono seduti al riparo della veranda, e guardano il lago. Grigio, come soltanto un lago sa esserlo quando rispecchia basse nuvole cariche di neve. Le parole sono appena sussurrate, gli sguardi persi su un orizzonte sempre uguale a sé stesso. Al bancone si parla della riapertura del Casinò e della selezione del personale. «Speriamo che parta», dice qualcuno. E qualcun altro aggiunge: «A questo punto, è comunque un segnale».

Il silenzio nel palazzo
«La volontà di ricominciare c’è, il paese ha grandi potenzialità e opportunità - dice ancora il sindaco - possiamo farcela». Incontro Canesi nel suo ufficio, al primo piano del municipio. I fasti di un tempo sono ancora visibili: le avvolgenti e comode poltrone verdi di pelle, la boiserie che ricopre le pareti, la grande scrivania di mogano. Ma tutt’intorno nulla è come prima. Il silenzio nel palazzo è irreale. In Comune lavorano 15 persone, 5 delle quali part-time. Tre anni fa erano un centinaio.
Campione è in dissesto finanziario. Tasse e tributi sono al livello più alto, e molti cittadini non ce la fanno a pagare. I pensionati, in particolare, non ricevono più, come una volta, l’indennità di exclave.


«Vorremmo fare di più per chi ha bisogno - dice ancora il sindaco - ma a causa del dissesto non abbiamo nemmeno i servizi sociali. Un’ambulanza costa 600 franchi. Abbiamo bisogno di aiuto. Non chiedo uno statuto speciale, so che la politica non si metterebbe mai d’accordo su questo. Ma lo Stato deve riconoscere il nostro status particolare. Siamo un’isola in terra svizzera, non abbiamo più l’indennità di confine ma vivere qui costa il triplo che nel resto d’Italia. Non chiediamo privilegi, soltanto maggiore attenzione».
I numeri valgono più di molte parole. In paese vivono meno di 1.800 persone, gli iscritti all’Aire, l’elenco dei residenti all’estero, sono ormai oltre 2 mila. Campione è un paese in fuga. Anche a causa del problema, irrisolto, dell’assistenza sanitaria. La Regione ha detto chiaramente che non intende accollarsi la copertura delle prestazioni erogate dalle strutture elvetiche.
«La questione esiste - ammette Canesi - capisco pure le ragioni di Palazzo Lombardia, ma il sistema misto è impossibile. Non possiamo appoggiarci all’Italia per andare in ospedale. La verità è che se continua così, avremo soltanto un esodo ancora maggiore».
Il nuovo contratto
Intanto, però, nel ventre del gigantesco edificio costruito alle spalle del municipio decine di operai sono all’opera freneticamente per rimettere in moto la macchina del gioco. Al terzo piano, nelle sale dove una volta si smazzavano carte da poker lontano dagli sguardi indiscreti, una commissione sta decidendo le future assunzioni. Nel momento del collasso, al Casinò lavoravano 495 persone. Negli anni d’oro si era arrivati a superare quota 650. Adesso saranno 175. Non uno di più.
«Abbiamo sottoscritto un nuovo contratto firmato da tutte le organizzazioni sindacali tranne la Cisl. Il compenso medio sarà di 3.600 euro lordi al mese, in linea con i salari dei Casinò ticinesi». Marco Ambrosini, amministratore delegato della casa da gioco, mi riceve nel suo ufficio. Anche qui, il passato ha le sembianze di uno storico oggetto di design, una lampada ad arco di Castiglioni che si accende, pallida, sul salottino di pelle nera. Ma il contorno è il riflesso inevitabile di una sobrietà imposta dalle circostanze. Persino i termosifoni sono spenti. «Da due mesi siamo alle prese con la pulizia e la bonifica delle condotte dell’aria», dice Ambrosini.

Cambio di paradigma
Partire è un po’ morire, diceva Edmond Haraucourt nella sua Canzone dell’addio. Ripartire, invece, sembra essere diverso. Anche gli ostacoli, che pure sono molti, appaiono meno difficili da superare.
I debiti, ad esempio. Ammontano a 100 milioni. E bisogna pagarli in 5 anni. Questo, almeno, è il senso del concordato in continuità d’impresa stabilito dal Tribunale fallimentare di Como. «Ce la faremo - dice convinto l’amministratore delegato - perché abbiamo costruito un piano industriale perfettamente sostenibile». Un piano che ipotizza per il primo anno un incasso di 40 milioni e poi gradualmente, a crescere, fatturati sempre maggiori fino a tornare ai livelli precedenti il crack. Una grande mano arriverà, ovviamente, dal Comune, oggi socio unico del Casinò. La quota annuale destinata al Municipio sarà infatti bassissima, quasi irrisoria rispetto al passato: 7,5 milioni in 5 anni.


«Ma non c’è soltanto un salto nella gestione ordinaria - spiega Ambrosini - Abbiamo soprattutto cambiato il paradigma di Campione: prima eravamo una grande casa da gioco in un piccolo paese; adesso saremo un grande edificio multifunzionale collocato al centro di un territorio che vuole attrarre un numero sempre maggiore di persone».
Il Casinò come un moderno stadio di calcio: un luna park, con spazi commerciali, ristoranti, sale eventi. La piazza del quinto piano si trasformerà, nei prossimi mesi, in uno shopping center di lusso. Lo stesso avverrà all’ingresso del piano terra. Giochi e slot saranno concentrati in due piani; un terzo piano, con mille posti a sedere e un centinaio di tavoli, sarà interamente dedicato al poker.
Che cosa voglia diventare Campione d’Italia si può facilmente capire leggendo quanto ha scritto, a proposito di Las Vegas, Ermanno Bencivenga, che nella vita insegna filosofia etica all’Università di Irvine, in California, e nel tempo libero si diletta a smontare luoghi comuni armato di molta ironia e un po’ di logica kantiana. Nella postfazione di Giocare per forza, Bencivenga descriveva (25 anni fa) la trasformazione della capitale del Nevada da tempio dell’azzardo a moderna Disneyland per famiglie benestanti. «Il pubblico che si sta cercando di catturare non è costituito da ubriaconi disperati e autodistruttivi come il Nicholas Cage di Via da Las Vegas e gli interlocutori di questo pubblico sono assai diversi dai mafiosi assatanati del Casinò di Scorsese. Quella che si vuole proiettare è invece un’immagine serena e rassicurante, rivolta a vacanzieri di ogni età. Las Vegas si va rapidamente riciclando in un’altra fantastica comunità del turismo immaginario».
La strategia di distretto
Fatte le dovute proporzioni, l’idea è la stessa. E per renderla concreta due sono i passaggi individuati da Ambrosini: la rivoluzione tecnologica e la strategia delle alleanze. La prima è frutto di una partnership siglata con Novomatic AG, il colosso austriaco proprietario (attraverso la zurighese ACE Casinò Holding AG) anche dell’Admiral di Mendrisio e del Casinò di Locarno. Novomatic investirà a Campione una quindicina di milioni e fornirà 500 slot di ultimissima generazione. Macchine ai confini della fantascienza, alle quali si accede attraverso il riconoscimento facciale o l’impronta digitale.
La seconda è un percorso già avviato, che Ambrosini sintetizza così: «Punteremo a rafforzare il distretto del gioco assieme ai Casinò ticinesi, e in questo senso non sono da escludere, a breve, iniziative comuni». Fate il vostro gioco, signori. Si ricomincia.
