L’intervista

Ritratto di Kirill, il patriarca-politico

Parla don Stefano Caprio, per 13 anni missionario a Mosca e oggi docente al Pontificio Istituto Orientale
Dario Campione
04.05.2022 21:47

Due Chiese sorelle, ma soltanto sulla carta. Due volti di un Cristianesimo che dovrebbe parlare di pace e di fratellanza e invece, almeno da una parte, imbraccia il fucile e benedice la guerra.

Cattolici e ortodossi russi credono nello stesso Dio ma leggono la storia (e la cronaca) in modo totalmente diverso. Mentre papa Francesco, ancora ieri, ha ripetuto quanto sia «inconcepibile» soltanto «parlare» dell’uso delle armi, il patriarca Kirill - in un sermone pronunciato martedì nella cattedrale dell’Arcangelo, dentro le mura del Cremlino - ha ripetuto che «La Russia non ha mai attaccato nessuno. Noi non vogliamo combattere. Il nostro Paese, grande e forte, ha solo protetto i suoi confini». Per poi aggiungere: «Prego perché Dio rafforzi la fede, la pietà e la saggezza del popolo e dia la forza di lavorare sempre, vivere e, se necessario, combattere per preservare lo stile di vita libero e indipendente del popolo e della Russia».

Don Stefano Caprio, docente di Storia e cultura russa al Pontificio Istituto Orientale di Roma, è stato per 13 anni missionario a Mosca e più volte ha incontrato lo stesso Kirill, di cui tenta oggi di interpretare la parabola bellicista.

«Nel tempo - dice - c’è stata una grossa trasformazione del patriaca. In passato non era mai stato guerrafondaio, ma dopo il periodo ecumenico, negli anni ’90 del Novecento, ha sviluppato, assieme ad altri teologi, la convinzione che l’Ortodossia fosse chiamata a difendere i valori della tradizione cristiana. Kirill pensa di guidare l’unica Chiesa al mondo non corrotta dallo spirito dell’Anticristo».

Una posizione a metà tra la fede e la politica. Perché, spiega don Caprio, questa rigidità ideologica «si accompagna all’interpretazione anti-globalista e anti-liberale sposata,  in parte, anche dai cattolici conservatori che contrastano papa Francesco. Kirill denuncia valori quali la libertà religiosa o l’ecumenismo, considerandoli una sorta di rinuncia alla proclamazione della verità, la sua ovviamente. La democrazia liberale, sostiene il patriarca russo, permette la dittatura della minoranza: contro di essa bisogna quindi fare argine».

I toni millenaristi degli ortodossi russi sono stati abbandonati dalla Chiesa cattolica ormai da moltissimo tempo. E totalmente superati «a partire dal Concilio Vaticano II, di cui Francesco è oggi un fedele interprete. Allora - ricorda don Stefano Caprio - l’URSS usava strumentalmente le parole di Giovanni XXIII per propagandare una politica fintamente pacifista: lo faceva sapendo di controllare parte del mondo. Oggi, invece, la Russia è isolata». Resta da capire perché il patriarca russo sia più consigliere spirituale del tiranno che uomo di fede. «Kirill è sicuramente colto, ma fortemente intriso dell’ideologia di Stato. Trovo che non sia mai stato davvero sincero nel suo modo di essere, è un uomo di Chiesa tanto quanto di politica. Sono però anche convinto che, pur essendosi adeguato agli slogan del regime, non sarebbe mai arrivato da solo a questi eccessi bellicisti: ha subìto forti pressioni del Cremlino e dei settori più conservatori della Chiesa ortodossa. Pure i suoi eccessi verbali mi sembrano indotti, forzature, come la frase di Lavrov su Hitler ebreo. Provocazioni gettate lì a bella posta, per irritare l’Occidente e approfondire il solco. Non mi stuperei se nei prossimi giorni usasse parole forti su temi verso i quali noi siamo molto sensibili».

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