«Salari medi di 17 franchi l’ora»: le preoccupazioni degli agricoltori toccano anche il Ticino
Anno nuovo, rivendicazioni vecchie. «Sì, ma sono ancora attuali». Raggiungiamo il presidente dell’Unione contadini ticinesi (UCT), Omar Pedrini, per raccogliere un suo commento sulla conferenza nazionale tenutasi oggi a Kirchberg, nel canton Berna. Durante l’incontro con la stampa, gli agricoltori svizzeri hanno ribadito le preoccupazioni espresse negli ultimi mesi. Preoccupazioni che hanno tenuto banco durante tutto il 2024 e che hanno unito, su alcuni temi, i contadini di mezza Europa. Le rivendicazioni? Salari migliori e meno burocrazia. «I problemi restano gli stessi», avverte Pedrini. «La pressione al ribasso sui prezzi dei prodotti alimentari; l’aumento dei costi di gestione; la crescita della burocrazia, nonostante le promesse di semplificazione».
Il calendario infinito
I dati presentati a Berna sono eloquenti. «Gli agricoltori lavorano tra le 60 e le 66 ore settimanali per un salario inferiore ai 5.000 franchi al mese. Questo non fa che accentuare il divario tra le famiglie contadine e il resto della popolazione», hanno denunciato l’Unione svizzera dei contadini (USC), l’Unione svizzera delle donne contadine e rurali (USDCR) e la Commissione dei giovani contadini. Secondo le stime dell’USC, il settore offre una retribuzione media di 17 franchi l’ora, un importo insufficiente per garantire ai giovani una prospettiva futura sostenibile e ai meno giovani una pensione dignitosa. «Ricordiamoci che si tratta di una media nazionale. Le aziende produttrici di latte, in Ticino, con la situazione venutasi a creare dopo la chiusura di LATI, non arrivano a 17 franchi l’ora. Attualmente, un produttore di latte industriale in Ticino guadagna intorno ai 14-15 franchi l’ora. Decisamente troppo poco per invogliare chiunque a intraprendere questo lavoro». Non a caso, nel canton Berna oggi, era presente anche l’associazione nazionale dei giovani contadini, ente affiliato all’Unione contadini, osserva Pedrini. «Giovani che vogliono fare agricoltura ci sono, ma a quali condizioni?». Di qui, l’appello rivolto al Consiglio federale di «assumersi le proprie responsabilità», garantendo agli agricoltori un reddito adeguato. In altre parole, che il reddito generato dai prodotti agricoli copra i costi di produzione.
«La responsabilità è di tutti»
«I prezzi sono troppo bassi, soprattutto per quanto riguarda la produzione vegetale, che è soggetta a fluttuazioni dovute ai cambiamenti climatici», è stato ribadito oggi. Era il 29 gennaio 2024 quando l’Unione contadini svizzeri e altre associazioni agricole romande, dicendosi solidali con i colleghi francesi e tedeschi, chiedevano un aumento del 5-10% dei prezzi dei loro prodotti. Le parole pronunciate in quell’occasione non si discostano dal tenore delle dichiarazioni rilasciate a Kirchberg . «Se vogliamo continuare a trovare cibo svizzero nei nostri piatti è urgente intervenire». Secondo l’associazione di categoria, i prezzi devono essere fissati sulla base dei costi di produzione e dei rischi assunti, in modo da garantire un reddito equo. I prezzi invece scendono. «La responsabilità è di tutti, consumatori e supermercati», commenta dal canto suo Pedrini. «La gente non è più disposta a spendere per il cibo. Capisco che la popolazione stia affrontando una forte pressione economica, con rincari che vanno dalla cassa malati all’energia, ma purtroppo il cibo è l’unica voce su cui si è pronti a risparmiare. Nessuno rinuncia alle vacanze o all’auto comprata in leasing, ma si risparmia sul nostro prodotto». Un prodotto che secondo i contadini deve farsi strada tra mille impedimenti: «Il nostro compito è produrre derrate alimentari; lo facciamo in modo sostenibile, ma veniamo continuamente intralciati da iniziative pericolose, come quella per la responsabilità ambientale su cui voteremo il prossimo 9 febbraio, che vogliono stravolgere il nostro modo di lavorare», avverte Pedrini.
La stabilità che manca
A mettere i bastoni tra le ruote c’è poi «l’onere amministrativo» che da anni i contadini chiedono di ridurre attraverso una semplificazione legislativa o, perlomento, attraverso una maggiore stabilità delle regole vigenti: «La burocrazia ci ostacola con continui cambiamenti di norme e regolamenti imposti dall’Ufficio federale dell’agricoltura, costringendoci a rivedere le strategie aziendali in corso d’opera. A livello politico, nelle Camere federali, riusciamo a ottenere risultati concreti, come la proposta di aumento del budget per l’agricoltura. Tuttavia, nel corso del quadriennio, intervengono troppo spesso decisioni su cui non abbiamo voce in capitolo e che compromettono la stabilità del settore».
Contro il monopolio
Intanto, la memoria corre ai primi mesi del 2024, a quell’immagine simbolo che ha accompagnato la protesta dei contadini di mezza Europa, ossia gli stivali da lavoro appesi ai cartelli stradali rovesciati. Un messaggio inequivocabile che - passando da Francia, Belgio e Germania - ha raggiunto anche la Svizzera e il Ticino. Se però il malcontento era il medesimo, occorre tuttavia fare delle distinzioni, spiega ancora il presidente dell’Unione contadini ticinesi (UCT) Omar Pedrini: «Lo scorso anno, i contadini europei si opponevano all’introduzione di una serie di limitazioni e normative che, invece, l’agricoltura svizzera applica già da trent’anni, come la rotazione obbligatoria delle colture. Questo dimostra chiaramente che la Svizzera non è quel Paese nemico della sostenibilità che una certa cerchia politica tenta, di tanto in tanto, di dipingere, minando così la struttura organizzativa dell’agricoltura svizzera», osserva Pedrini. Tuttavia, prosegue, esistono elementi comuni che meritano attenzione, come la pressione sui prezzi imposta dai grandi gruppi industriali. «Questa pressione deriva dal fatto che, in molte parti del mondo, l’agricoltura non è più gestita dalle famiglie contadine, ma da grandi multinazionali. Fortunatamente, in Svizzera questa forma di organizzazione non è praticabile, se non a costo di ridurre drasticamente il numero di aziende agricole attive nel Paese». Pedrini sottolinea che è proprio su questo punto che bisogna essere vigili: «Con politiche sbagliate, rischiamo di mettere sempre più in difficoltà le aziende familiari, aprendo la strada a un monopolio dell’alimentazione da parte della concorrenza estera. È essenziale tutelare le piccole realtà agricole per preservare non solo il tessuto economico locale, ma anche la sovranità alimentare del Paese».