«Se cadono gli accordi di sicurezza è l’inizio di una Guerra fredda 2.0»
Il Cremlino sostiene di voler mantenere aperto il canale diplomatico, tranne poi smentire sul terreno ogni tentativo di dialogo. La minaccia bellica viene utilizzata come arma di pressione diplomatica. A queste condizioni e in questo momento qual è il ruolo della diplomazia?
«Al momento non ci sono chiari segnali di de-escalation. Anzi, dopo il riconoscimento da parte della Russia delle due repubbliche separatiste, è piuttosto vero il contrario. Il gioco muscolare militare russo sembra continuare e il tono del discorso pubblico, da entrambe le parti, potrebbe indurirsi ulteriormente. Pur condannando questa grave violazione del diritto internazionale pubblico, è necessario tuttavia un impegno diplomatico continuo. Sia per prevenire una escalation lungo la linea di contatto - che è il rischio maggiore al momento -, sia per spingere le parti verso un’attuazione coerente e adeguata degli accordi di Minsk nonostante il riconoscimento delle repubbliche separatiste da parte russa. In quest’ottica è necessario concordare tra le parti una logica di processo per discutere tutte le questioni sostanziali sul tavolo che riguardano le pretese garanzie di sicurezza della Russia».
Cosa può ottenere Vladimir Putin con la via diplomatica che non può ottenere sul terreno?
«Anche un gioco di muscoli militare su larga scala non sarebbe sufficiente per ottenere le garanzie di sicurezza che cerca per lo spazio intorno al suo Paese, o neppure per risolvere il conflitto nel Donbass. Una soluzione militare non è una soluzione. Per il dialogo e la sicurezza serve la diplomazia. Ogni operazione militare - anche limitata a una parte dell’Ucraina - produrrebbe conseguenze disastrose sulla sicurezza in Europa, in quanto distruggerebbe ciò che rimane dell’impianto contrattuale sulla sicurezza europea. Oggi questi accordi hanno ancora valore e puntellano la pace. Se vengono seppelliti, sarebbe l’inizio di una Guerra fredda 2.0».
Per Putin allora la vera partita è quella che si gioca sul terreno diplomatico. Ma che cosa ha ottenuto invece Mosca con il suo grande dispiegamento di forze militari?
«Ha ottenuto la disponibilità degli Stati Uniti e della NATO a negoziare una serie di questioni molto importanti per la sua sicurezza. Queste questioni riguardano essenzialmente due ambiti. Il primo: la riduzione del rischio militare, ad esempio il rafforzamento del dialogo tra militari, lo sviluppo di strumenti per prevenire e gestire incidenti aerei, marittimi e terrestri, una maggiore trasparenza delle manovre su larga scala vicino alle sue frontiere. Il secondo: il controllo degli armamenti, come la disponibilità a negoziare un non stazionamento di certi tipi di armi nelle zone di confine o negoziare un nuovo regime sulle armi nucleari di portata media e altri elementi che non sono stati negoziabili per diversi anni. Questo rappresenta, certamente, un riconoscimento implicito che alcune delle preoccupazioni di sicurezza della Russia erano giustificate».
Lo scontro diplomatico riguarda il concetto di sicurezza. Ma ci sono diverse concezioni di pace?
«Fondamentalmente nessun Paese sta mettendo in discussione i principi di sicurezza che gli Stati membri dell’OSCE hanno approvato negli accordi di Helsinki del 1975 e confermato in diversi altri documenti chiave da allora, come la Carta di Parigi del 1990, la Carta di Istanbul del 1999 per la sicurezza europea e la Dichiarazione commemorativa del vertice di Astana del 2010. Il problema sta nell’interpretazione della portata di questi principi, che varia molto da Paese a Paese. C’è anche un’interpretazione molto selettiva, soprattutto da parte delle grandi potenze. Al centro delle tensioni attuali vi è il dilemma tra il diritto di scegliere liberamente le proprie misure di sicurezza, sostenuto soprattutto dall’Occidente, e il principio dell’indivisibilità della sicurezza, difeso soprattutto dalla Russia, che percepisce la NATO come un’organizzazione di sicurezza che domina l’Europa e la minaccia».
Che cos’è il principio di indivisibilità della sicurezza e perché la Russia vi fa tanto affidamento?
«Questo principio è stato ribadito recentemente anche nella lettera del ministro Lavrov inviata a una serie di Stati membri dell’OSCE, Svizzera compresa. Per il Cremlino è uno dei principi fondamentali della sicurezza europea e come tale dovrebbe essere preso sul serio. Secondo questo principio di indivisibilità, nessun Paese dovrebbe aumentare la propria sicurezza a discapito di un altro Paese. D’altra parte, però, c’è anche il principio della libera scelta delle misure di sicurezza di ogni Paese, compresa la scelta delle alleanze. Se applichiamo questi due principi, antitetici, ai Paesi che si trovano tra la Russia e la NATO, come l’Ucraina o la Georgia, vediamo quanto sia necessario trovare un compromesso. E evidentemente non è facile. Ma è comunque possibile se lasciamo spazio al dialogo e alla diplomazia. Discussioni e negoziati a tal fine possono essere condotti all’interno dell’OSCE e in altri formati, come il Dialogo strategico di stabilità e il Consiglio NATO Russia».
Quando Putin parla di un nuovo ordine di sicurezza in Europa che cosa intende concretamente?
«Sta cercando un ordine in cui la Russia abbia un ruolo uguale a quello degli Stati Uniti, con un veto su tutte le questioni chiave. Subito dopo la fine della Guerra fredda la visione era di rendere l’OSCE l’unica organizzazione di sicurezza in Europa. Nel 2008/2009 il presidente Medvedev ha presentato il suo personale modello per un accordo di sicurezza europeo».
Nel 2014, come ambasciatore svizzero presso l’OSCE, lei ha avuto un ruolo chiave nella distensione tra Occidente e Russia dopo l’annessione della Crimea. L’OSCE, come organo istituzionale, può ancora svolgere un ruolo attivo nella crisi oggi? Quali sono le principali resistenze rispetto al 2014?
«L’OSCE continua a svolgere un ruolo chiave nel prevenire una escalation del conflitto lungo la linea di contatto attraverso la presenza della Missione speciale di monitoraggio (SMM) nel Donbass. Mentre il riconoscimento da parte della Russia delle due repubbliche separatiste non rappresenta la fine degli accordi di Minsk, il Gruppo Trilaterale di Contatto (TCG), presieduto dall’OSCE, continuerà a svolgere un ruolo come piattaforma negoziale. Infine, se c’è la volontà politica delle grandi potenze di dare all’OSCE il compito di condurre il dialogo su una comprensione comune dei principi fondamentali della sicurezza europea in vista del cinquantesimo anniversario degli accordi di Helsinki nel 2025, l’OSCE potrà senza dubbio offrire un contributo significativo alla sicurezza cooperativa in Europa. Un’organizzazione multilaterale può funzionare solo se c’è la volontà politica degli attori chiave di utilizzare gli strumenti di gestione dei conflitti e le piattaforme di dialogo».
Chi è Thomas Greminger
Thomas Greminger, 60.enne diplomatico ed esperto di sicurezza internazionale, nel 2014, in qualità di ambasciatore svizzero presso l’OSCE, ha svolto un ruolo chiave come mediatore nella crisi ucraina dopo l’annessione della Crimea. Greminger descrive i negoziati preliminari come le tre settimane più intense della sua vita. Nel 2017 è diventato segretario generale dell’OSCE. Da maggio 2021 è direttore del Centro di Ginevra per la politica di sicurezza (GCSP).