«Se domani non torno, distruggi tutto»: la poesia virale contro la violenza
«Si mañana soy yo, mamá, si mañana no vuelvo, destrúyelo todo. Si mañana me toca, quiero ser la última». Ovvero, «se domani sono io, mamma, se non torno domani, distruggi tutto. Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima». Sicuramente negli scorsi giorni avrete letto online queste parole, in italiano o in spagnolo. Sono le due frasi finali di una poesia, un componimento che sta rimbalzando sui social dall'omicidio di Giulia Cecchettin. Parole diventate manifesto e citate anche da Elena Cecchettin, sorella di Giulia, in una lettera: «Per mia sorella non fate un minuto di silenzio, per Giulia bruciate tutto. Turetta (il suo assassino, ndr.) viene spesso definito come mostro, invece mostro non è. Un mostro è un'eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece la responsabilità c'è. I "mostri" non sono malati, sono figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro».
L'autrice del testo è Cristina Torres-Cáceres, architetta e attivista peruviana. Il testo (che alcuni dicono risalga al 2011, sull'onda delle violenze contro le donne in America Latina) è stato condiviso nel 2017 su Facebook, dopo il femminicidio di Mara Castilla, una ragazza di 19 anni uccisa in Messico l’8 settembre 2017. Un omicidio che aveva scosso lo stato di Puebla e il mondo intero. La giovane, dopo una serata con gli amici, per tornare a casa aveva scelto un «taxi sicuro» dall’app Cabify (una sorta di Uber). Il suo corpo è stato trovato seviziato: il conducente l'ha sequestrata, violentata e strangolata. Donne e uomini messicani sono scesi in piazza al grido di #MiCasaEsTuCasa e #MiCasaEsTuCasaHermana, aprendo le porte alle donne che rientrano sole la sera. Mara Castilla aveva partecipato alla campagna #SiMeMatan, «se mi ammazzano», nata dopo il femminicidio di Lesvy Berlín, studentessa 22.enne uccisa il 3 maggio nel campus dell’Università Autonoma del Messico. Il 17 settembre era stata lanciata l’iniziativa #NoFueTuCulpa, «non è stata colpa tua». Le piazze di decine di città messicane si erano riempite di tristezza e indignazione. Migliaia di persone, vestite di nero e viola, avevano chiesto giustizia al grido di «Ni una más» e «Ni una menos», «non un’assassinata in più e non una donna di meno», frasi simbolo del movimento contro il femminicidio.
«Dopo il femminicidio della studentessa ho visto un post in cui una ragazza chiedeva a sua mamma di non fare niente, se le fosse successo qualcosa», aveva spiegato nel 2017 Torres-Cáceres. Per questo motivo, ha proseguito, «mi sono messa a pensare alla mia: mia mamma non avrebbe taciuto, avrebbe cominciato a dar fuoco a tutto se mi fosse successo qualcosa, e allora ho pensato a quello che le avrei detto se la vittima fossi stata io. È una cosa che sfortunatamente non suona estranea a nessuna, e probabilmente a cui tutte abbiamo pensato prima o poi: se fossi io, cosa direi a mia mamma?».
I versi di Cristina Torres-Cáceres sono diventati il simbolo della lotta contro la violenza di genere, soprattutto nelle manifestazioni del movimento Ni una menos (Non Una Di Meno) nato in Argentina il 3 giugno 2015. In un post del 2018, la ragazza ha commentato la diffusione del suo testo dicendo che la emozionava avere scritto qualcosa in cui molte altre donne si riconoscevano, pur non essendo una scrittrice: «Ma allo stesso tempo mi dispiace che sia per una cosa così triste. È un peccato che un testo così forte, dopo quasi un anno, sia ancora così attuale. C’è molto da fare, sorelle».
Sono passati sei anni, ma il testo è tristemente ancora (troppo) attuale.
Se domani non rispondo alle tue chiamate, mamma. Se non ti dico che vengo a cena. Se domani, non vedi arrivare il taxi. Forse sono avvolta nelle lenzuola di un hotel, su una strada o in una borsa nera. Forse sono in una valigia o mi sono persa sulla spiaggia. Non aver paura, mamma, se vedi che sono stata pugnalata. Non gridare quando vedi che mi hanno trascinata. Mamma, non piangere se scopri che mi hanno impalata. Ti diranno che sono stata io, che non ho urlato, che erano i miei vestiti, l’alcool nel sangue. Ti diranno che era giusto, che ero da sola. Che il mio ex psicopatico avesse delle ragioni, che ero infedele, che ero una puttana. Ti diranno che ho vissuto, mamma, che ho osato volare molto in alto in un mondo senza aria. Lo giuro, mamma, sono morta combattendo. Lo giuro, mia cara mamma, ho urlato forte così come volavo alto. Lui si ricorderà di me, mamma, saprà che sono stata io a rovinarlo quando avrà di fronte il volto di tutte quelle che urleranno il mio nome. Perché lo so, mamma, non ti fermerai. Però, te lo chiedo per quello che ami di più al mondo, non trattenere mia sorella. Non rinchiudere le mie cugine, non privare di nulla le tue nipoti. Non è colpa tua, mamma, non è stata nemmeno mia. Sono loro, saranno sempre loro. Combatti per le loro ali, quelle ali che mi sono state strappate. Combatti per loro, che possano essere libere di volare più in alto di me. Combatti perché urlino più forte di me. Possano vivere senza paura, mamma, proprio come ho vissuto io. Mamma, non piangere le mie ceneri. Se domani sono io, mamma, se non torno domani, distruggi tutto. Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.