L'Uomo e il clima

Se è sempre cambiato...

Certe affermazioni ricorrono spesso quando si cerca di relativizzare, o evitare di approfondire, la fase climatica che stiamo vivendo da alcuni decenni
Cristian Scapozza
29.01.2024 06:00

«Il cambiamento climatico è un fenomeno naturale: è già accaduto in passato!». Queste affermazioni ricorrono spesso quando si cerca di relativizzare, o evitare di approfondire, la fase climatica che stiamo vivendo da alcuni decenni. Ed è arduo contro argomentarle perché, così come formulate, sono scientificamente corrette. È proprio su questo filo sottile che ci viene spesso proposto il passato come modello del presente. Questo passato ha un nome, “Periodo Caldo Medievale”, conosciuto anche come “Anomalia Climatica Medievale”, datato fra il 900 e il 1300. Fu un periodo di clima temperato e stabile, con estati secche e calde, che favorì una certa prosperità agricola medievale. Con una temperatura media di quasi un grado superiore a quella del Novecento, fu possibile, per esempio, coltivare l’orzo in Irlanda e la vite in Gran Bretagna. Nelle valli superiori del Cantone Ticino questo periodo favorì probabilmente l’espansione alpestre, come lo testimoniano le datazioni dendrocronologiche (basate sul conteggio degli anelli annuali degli alberi) di alcuni edifici rurali della Val Malvaglia. Il limite superiore degli alberi, e quindi della foresta, si trovava a quote più alte rispetto a oggi. Proprio in alta Val Malvaglia, nella selvaggia Valle di Sceru, sono stati ritrovati a 2460 metri di quota dei frammenti di larice datati fra il 1120 e il 1280.

Risulta quindi relativamente facile concludere che «nel Medioevo faceva caldo come adesso, se non addirittura più caldo»; altrimenti, come avrebbe fatto un larice a crescere 200 metri più in alto rispetto a oggi? Inoltre, senza emissioni di gas a effetto serra da parte dell’Uomo?

Argomenti come questi ricorrono sovente a suffragio di tesi che negano l’influsso dell’Uomo sul cambiamento climatico in corso, citando impropriamente anche lo studio basato sulle datazioni di larice della Val Malvaglia. La scienza ci permette però di analizzare criticamente queste opinioni che, a prima vista, sembrerebbero inconfutabili. Innanzitutto, la biologia ci ricorda che gli alberi non possono camminare e, di conseguenza, il loro limite superiore ci può mettere dai 50 ai 150 anni per adattarsi a un periodo di riscaldamento climatico. La storia e l’etnografia permettono di stabilire che, durante buona parte del Periodo Caldo Medievale, la fascia di confine fra il bosco e le praterie e i prati magri di altitudine (quella che un ecologo chiamerebbe “ecotono”) non era ancora perturbata dall’attività alpestre, che l’ha lentamente plasmata a partire dal 1250. Non è quindi possibile paragonare la situazione odierna, dopo pochi decenni di Periodo Caldo Moderno (iniziato nel 1920 e rinforzatosi dal 1980), con quella vigente verso la fine del Periodo Caldo Medievale, durato più di tre secoli. Per un debito paragone, dovremmo proiettare avanti nel tempo il riscaldamento climatico attuale di almeno un secolo. Ma il confronto non è possibile solamente sulle temperature, ma anche e soprattutto sulle velocità di riscaldamento del clima. In questo caso, il raffronto fra il Periodo Caldo Moderno (dati misurati) e i periodi di riscaldamento climatico storici (dati ricostruiti) è implacabile: «L’influenza dell’Uomo ha riscaldato il clima a un ritmo che non ha precedenti almeno negli ultimi 2000 anni», afferma nel suo ultimo rapporto il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (meglio conosciuto con l’acronimo IPCC). Se passiamo dall’affermazione alla probabilità scientifica, la paleoclimatologia permette di spostare indietro nel tempo quell’«…almeno negli ultimi 2000 anni» fino ad addirittura 7500 anni fa. Quindi fino a quando sul territorio del Sud delle Alpi si installavano le prime comunità agricole del Neolitico.