Clima

Se il 2024 fosse ancora più caldo

Dopo un 2023 da primato, complice El Niño anche quest’anno si preannuncia rovente: i ghiacciai scompaiono, il livello dei mari si alza e i gas nell’atmosfera toccano soglie mai viste prima - Marco Gaia (MeteoSvizzera): «La situazione è molto seria, ma possiamo ancora intervenire»
©MAK REMISSA
Martina Salvini
08.01.2024 06:00

Tutti i dati sembrano convergere: il 2023 passerà alla storia come l’anno più caldo di sempre, o perlomeno da quando esistono le misurazioni sistematiche. A nulla, finora, sono valsi gli appelli, le mobilitazioni, le misure intraprese dai Governi. Il pianeta Terra si sta avviando verso un punto di non ritorno e dopo il 2023, anche il 2024 non lascia presagire nulla di buono. Gli esperti, infatti, sono concordi: difficile che il trend si inverta. «In Svizzera, con +1,4 gradi sopra la norma di riferimento 1991-2020, il 2023 è stato il secondo anno più caldo dal 1864. Le proiezioni per il 2024 indicano che le temperature potranno ulteriormente salire», conferma Marco Gaia, responsabile Centro regionale sud di MeteoSvizzera. E questo, spiega Gaia, perché «al trend dovuto al riscaldamento globale di origine antropica (determinato dall’uomo, ndr), si somma il perdurare del fenomeno noto come El Niño, per il quale le proiezioni indicano che si protrarrà almeno per parte del 2024». El Niño, ricorda il meteorologo, è un fenomeno che si verifica a intervalli di alcuni anni nel Pacifico centrale, al largo delle coste del Cile, durante il quale parte dell’energia termica immagazzinata nelle acque oceaniche, viene trasferita all’atmosfera. «Questo spiega perché spesso in presenza di El Niño si sono verificati anni particolarmente caldi, su scala planetaria».

Duplice fattore

Difficile, quindi, che quest’anno possa essere meno caldo. Tuttavia, chiarisce il meteorologo, «per quanto riguarda la previsione di cosa potrà avvenire nel corso del 2024 bisogna sempre distinguere fra il trend climatico e la naturale variabilità meteorologica, che si sovrappongono fra loro». Riguardo al trend climatico, la tendenza è chiara: «Persistendo a emettere gas a effetto serra, si continua a rafforzare l’effetto serra di origine antropica. Un anno 2024 ulteriormente molto caldo con il corollario di fenomeni estremi diversificati a seconda della regione considerata (ad esempio piogge abbondanti in alcune zone, siccità persistente in altre) è uno scenario compatibile con le attuali conoscenze». Ma a questo si aggiunge la variabilità meteorologica, che potrebbe cambiare le cose: «La variabilità meteorologica, assolutamente naturale, potrebbe – sovrapponendosi – mascherare il trend climatico. Per fare un esempio concreto, se anche nell’estate 2024 registreremo in Ticino tre ondate di caldo come quelle dell’estate 2023, non lo sappiamo al momento. Potrebbe verificarsi anche una singola estate fredda e umida, benché le probabilità siano inferiori rispetto al verificarsi di un’estate calda. A seguito della naturale variabilità meteorologica, anche in un’atmosfera sempre più calda a seguito del riscaldamento globale, potranno verificarsi pure in futuro singoli periodi freddi. Ma saranno sempre più rari».

Su scala planetaria le attuali stime indicano che nel 2023 la temperatura globale media ha superato il valore del periodo preindustriale di circa +1,1 gradi, in ulteriore avvicinamento alla soglia di +1,5 gradi fissata dall’Accordo di Parigi
Marco Gaia

Quadro in peggioramento

Intanto, tutti i parametri considerati dagli esperti tratteggiano un quadro in costante peggioramento. «Dal punto di vista meteorologico - prosegue Gaia - sono numerosi gli indicatori che testimoniano con inequivocabile chiarezza i cambiamenti climatici in atto. Su scala planetaria le attuali stime indicano che nel 2023 la temperatura globale media ha superato il valore del periodo preindustriale di circa +1,1 gradi, in ulteriore avvicinamento alla soglia di +1,5 gradi fissata dall’Accordo di Parigi. Mentre in Svizzera il 2023 nell’ultimo trentennio 1994-2023 la temperatura annuale in Svizzera è aumentata di 2,1 gradi rispetto al periodo preindustriale 1871-1900». Secondo l’Accademia svizzera delle scienze i ghiacciai svizzeri hanno perso nel 2022 il 6% del loro volume e nel 2023 il 4%, «valori mai registrati in passato che confermano la rapidità con cui stanno scomparendo i ghiacciai alpini». Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM), inoltre, il livello dei mari ha raggiunto nel 2023 un nuovo record. «La velocità con cui cresce, attualmente 4,72 millimetri all’anno è raddoppiata rispetto all’inizio degli anni Novanta». Infine, «sempre secondo l’OMM le concentrazioni dei principali gas a effetto serra nell’atmosfera hanno raggiunto valori mai registrati da quando si effettuano le misure. Rispetto all’epoca preindustriale, la concentrazione di CO₂ è aumentata del 50% e continua a crescere».

Punto di non ritorno?

Insomma, la situazione è grave. E irreversibile? «Fra i vari compiti attribuiti a MeteoSvizzera - premette Gaia - figura anche quello di calcolare gli scenari climatici più probabili per la Svizzera e di metterli a disposizione dei decisori politici. L’ultimo aggiornamento di tali scenari mostra chiaramente che – benché la situazione sia molto seria e alcuni cambiamenti siano oramai inevitabili – abbiamo ancora nelle nostre mani la possibilità di impedire gli effetti più dannosi dei cambiamenti climatici».

Con il nostro comportamento e le nostre decisioni, quindi, «abbiamo ancora la possibilità di influenzare il clima della Svizzera dei prossimi decenni». Ad esempio, spiega ancora il meteorologo, «con la riduzione generalizzata delle emissioni di gas a effetto serra a livello mondiale, l’aumento della temperatura media estiva a Sud delle Alpi verso la fine del secolo in corso dovrebbe essere compreso fra +0,9 e +2,2 gradi rispetto a oggi. Ma senza efficaci provvedimenti a tutela del clima, l’aumento potrebbe addirittura essere compreso fra +3,9 e +6,9 gradi centigradi».

«Le attuali misure elvetiche? Interessanti, ma insufficienti»

«Gli attuali sistemi energetici dominati dai combustibili fossili stanno creando due emergenze, non solo quella globale climatica ma anche un’emergenza sanitaria locale determinata dalle morti premature dovute all’inquinamento dell’aria». Non ha dubbi, Massimo Filippini, professore di economia politica all’ETH di Zurigo e all’USI, «queste due emergenze sono così importanti che non possono essere dimenticate». Secondo le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità, le morti premature causate dall’inquinamento sono 4,2 milioni ogni anno, circa 300 mila nella sola Europa. Un «killer silenzioso», lo chiama Filippini, «poiché le malattie determinate dall’inquinamento dell’aria sono silenti, e quindi percepite meno sia dalla popolazione che dai politici».

Per invertire la tendenza, secondo il professore dell’ETH, «abbiamo bisogno di realizzare la transizione energetica, vale a dire la trasformazione dell’attuale settore energetico basato su combustibili fossili in un sistema energetico caratterizzato da fonti di energia rinnovabili, maggiore efficienza energetica e da processi di produzione e consumo digitalizzati». E per farlo, «abbiamo bisogno di un intervento forte ed efficace dello Stato, tramite la politica energetica e climatica, in modo da indurre i consumatori e le aziende a fare scelte più informate, consapevoli e favorevoli a uno sviluppo sostenibile». La Svizzera si è già mossa in questa direzione, ma non basta: «Le attuali misure di politica energetica e climatica elvetiche sono interessanti, ma non sufficienti. Ad esempio, per un buon funzionamento di un’economia di mercato, è importante applicare il principio ‘‘chi inquina paga’’». Secondo Filippini, per cambiare davvero la tendenza, «abbiamo quindi bisogno di una riforma fiscale ecologica, vale a dire che dobbiamo tassare tutte le fonti di energia fossili e ridurre le imposte e i contributi sociali sul lavoro e sugli investimenti». «È chiaro - prosegue - che una riforma fiscale ecologica può pesare soprattutto sui conti delle famiglie meno abbienti e sulle regioni più periferiche. Per ovviare a questi effetti distributivi, può essere interessante introdurre misure compensatorie per le economie domestiche che appartengono alle fasce di reddito più basse e quelle che vivono nelle regioni periferiche».

Ma affinché si realizzi una reale transizione energetica, anche le aziende e i cittadini sono chiamati a fare la propria parte. «L’industria e le economie domestiche devono modificare le abitudini nelle scelte d’investimento nel campo energetico. Ad esempio, bisogna privilegiare la scelta di tecnologie efficienti da un punto di vista energetico o basate su fonti di energia rinnovabili». Nonostante ciò, «alcuni nostri studi hanno mostrato come nelle scelte d’investimento (acquisto di elettrodomestici, auto, risanamento di una casa) non sempre venga fatto un calcolo d’investimento che consideri sia il prezzo iniziale che i costi operativi di una tecnologia, tendendo quindi a privilegiare una tecnologia non efficiente, non considerando quindi i benefici futuri».

Investire nella transizione energetica, insiste Filippini, permette di lavorare su più livelli: «Dà la possibilità, a livello nazionale, di migliorare la sicurezza d’approvvigionamento energetico, di ridurre l’inquinamento dell’aria e, a livello globale, di contribuire a combattere i cambiamenti climatici». Il problema, secondo il professore, è invece che «quando si parla di protezione climatica e transizione energetica si pensa solo ai costi, dimenticando di parlare di benefici locali e globali. Dobbiamo, invece, spiegare bene alle persone che la transizione energetica porta anche benefici nazionali, locali e privati. E non solo benefici per il resto del mondo e per i Paesi in via di sviluppo».

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