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Se il corpo di Navalny fa paura al Cremlino

A cinque giorni dalla morte dell’oppositore russo, la salma non è ancora stata consegnata ai familiari – Lo storico Giovanni Savino: «Putin teme che la sepoltura possa diventare un luogo di pellegrinaggio in un momento storico delicato»
©ANATOLY MALTSEV
Francesco Pellegrinelli
21.02.2024 20:45

«Un corpo ha sempre bisogno di una sepoltura, ma il funerale di Navalny, in questo momento, si trasformerebbe in una dimostrazione politica di cui il Cremlino non sente affatto il bisogno».

Attento conoscitore della società russa, lo storico Giovanni Savino, esperto di nazionalismo russo all’Università Federico II di Napoli, dà una lettura personale della mancata restituzione della salma di Alexei Navalny ai familiari: «Il Cremlino teme che la sepoltura possa diventare un luogo di pellegrinaggio in un momento storico delicato». Il 15 marzo si terranno infatti le presidenziali. Secondo Savino, per quanto l’esito sia scontato, le elezioni rappresentano per Putin un momento di legittimazione del suo potere che non deve essere guastato in alcun modo.

Le alternative

Che ne sarà, dunque, del corpo di Navalny? L’ipotesi di un esilio della salma non è da escludere. Anche in questo caso, però, ci sarebbero alcune controindicazioni di cui il Cremlino, nel momento della decisione, terrà sicuramente conto: «Qualora le esequie si svolgessero all’estero, parteciperebbero numerose figure di spicco della politica occidentale. Il danno politico per Putin sarebbe importante».

Secondo lo storico, il corpo di Navalny diventa quindi una sorta di bandiera del credo politico del dissidente e, oggi più che mai, un simbolo: «È l’ultima battaglia dell’attivista. Anche se non ha mai rappresentato un vero pericolo per Putin, il clamore mediatico nazionale e internazionale che negli anni ha suscitato disturba il Cremlino».

Al momento, le autorità russe hanno comunicato che per stabilire le cause del decesso il corpo di Navalny sarà trattenuto per 14 giorni. «La legge russa, però, consente di posticipare questo termine fino a 30 giorni», osserva Savino. «L’autorità russa potrebbe anche decidere di seppellire Navalny nel cimitero della colonia penale». Un’ipotesi che Savino ritiene poco probabile, in quanto si scontrerebbe con le volontà dei familiari: «Non credo che la moglie Yulia, in quanto rappresentante legale, possa accettare la sepoltura nella colonia penale lontano dalla vita politica cittadina». Paradossalmente, il lascito politico di Navalny, come spesso avviene per le figure politiche di peso, in Russia ma non solo, passerà anche dalla sua sepoltura. «Ancora una volta, i funerali diventano parte della politica e della storia della Russia e possono raccontarci molto di essa».

L’attivista sulla Rete

Ma chi era, allora, Navalny per la società russa? «Per Putin un oppositore che ha saputo catalizzare attorno a sé l’attenzione mediatica; un disturbatore più che una reale minaccia politica. Per la società russa, invece, un uomo tutto di un pezzo». Un attivista capace, come nessun altro prima di lui, di sfruttare la Rete, proponendosi non tanto come alternativa politica - difficile in un regime totalitario! - ma come voce di protesta e di denuncia: «Navalny è riuscito a rompere il muro del silenzio sfruttando in modo magistrale i social media. Una sorta di nativo digitale, che ha messo alla prova il Cremlino su un terreno nuovo». Secondo Savino, la risposta russa alla morte di Navalny passa soprattutto dal riconoscergli «qualcosa che i russi amano molto, ossia la coerenza estrema». Navalny, con il suo ritorno in patria, ha dimostrato di essere un uomo coerente, pronto a pagare con la vita le proprie idee. «Una certa idea di giustizia e di società fanno dell’attivista un simbolo che il Cremlino vuole tenere a debita distanza, ma il cui riverbero durerà molto a lungo».

Nazionalista ma non solo

Politicamente, secondo lo storico, la figura di Navalny può essere inquadrata, per certi versi, anche nei tratti del populista: «La ricerca della sintonia con l’opinione pubblica russa è sempre stata la sua guida, producendo anche tentativi di sfondamento a destra con la fondazione nel 2007 del movimento Narod (Popolo)». Chi dice, però, che Navalny era un nazionalista, osserva Savino, deve anche ricordare come l’attivista, negli ultimi anni di lotta, abbia aderito a valori e battaglie socialdemocratiche: «Soprattutto dal 2017, ha protestato e guidato manifestazioni contro l’innalzamento dell’età pensionabile; ha criticato in modo duro le privatizzazioni selvagge degli anni ’90; ha criticato il potere costituito».

C’è poi un altro frangente storico che va riesumato per capire l’evoluzione politica di Navalny: «Con l’annessione della Crimea nel 2014 e l’inizio del conflitto in Donbass, si nota un profondo cambiamento di atteggiamento verso le posizioni xenofobe e nazionaliste assunte agli albori». Navalny inaugura, quindi, una nuova fase politica che pone al centro temi sociali, ma anche la pace. «Questo cambiamento culmina con le proteste contro la riforma pensionistica del 2018 e con l’organizzazione di una piattaforma, nell’ambito del primo anniversario dell’invasione dell’Ucraina». Questa piattaforma - conclude lo storico - rivendica il rispetto dei confini internazionali e chiede una revisione delle privatizzazioni selvagge degli anni ’90, mettendo in discussione, in modo deciso, l’eredità politica di quel periodo. «Navalny è un’idea».