Politica

Se la critica alla scuola inclusiva diventa una questione nazionale

PLR e UDC promuovono il tema a livello federale contendendosi la paternità del dossier - Entrambi chiedono di ripristinare le classi speciali per i bambini che parlano lingue straniere e per quelli con difficoltà di apprendimento: «Il sistema attuale ha mostrato i suoi limiti»
©Gabriele Putzu
Francesco Pellegrinelli
19.10.2024 06:00

Nel radar della politica federale la scuola dell’obbligo mancava da tempo, non solo perché di competenza cantonale. Oggi, la questione sembra però rientrata nello spettro delle riflessioni dei partiti, decisi a farne un tema di confronto nazionale. La critica, del resto, è profonda e centra uno dei pilastri stessi dell’attuale impostazione pedagogica, ossia la scuola inclusiva. A spingere sulla necessità di una vera e propria riforma sono PLR e UDC. Per i due partiti borghesi occorre tornare ai fondamentali.

Burkart vs Dettling

«La scuola dell’obbligo - dice il PLR - ha il fiato corto. Troppi allievi alla fine del loro percorso formativo non sanno fare i calcoli, né leggere correttamente». E ancora: «La scuola inclusiva abbandona sia i bambini con difficoltà d’apprendimento, sia quelli più dotati, mentre il corpo docenti è impantanato nella burocrazia». Per il PLR è giunto quindi il momento per «correggere alcuni sviluppi errati». In particolare, occorre «tornare alle classi di sostegno in sostituzione della scuola inclusiva, oltre che creare classi linguistiche per gli alloglotti. La critica, formulata in un documento presentato a giugno, è ora confluita in cinque mozioni. Un’azione concreta verso il cambiamento a cui l’UDC ha risposto «promuovendo» il tema a livello nazionale. Durante l’assemblea dei delegati di Aarau, tenutasi lo scorso fine settimana, anche il presidente UDC Marcel Dettling ha promesso l’elaborazione di un rapporto sulla «nuova politica dell’istruzione», con l’obiettivo di fornire un modello per il riassetto della scuola elementare.

«Siamo lieti che anche il PLR abbia scoperto il tema», ha dichiarato Dettling. «Ciò dimostra che sta lentamente crescendo la consapevolezza che nelle nostre scuole c’è molto che non va». Anche in questo caso, la soluzione proposta passa dal ripristino delle classi di sostegno per i bambini che parlano lingue straniere e per i bambini con difficoltà di apprendimento. E ciò nella convinzione che «il tentativo di integrare nelle classi normali ogni bambino o adolescente con esigenze speciali ha indebolito il nostro sistema educativo».

Secondo Dettling, che rivendica la paternità del tema, il cambio di rotta che si vuole imprimere a livello nazionale porta il marchio UDC. Dal canto suo, il presidente PLR, Thierry Burkart, non ha mancato di ribadire che «circa 200 anni fa, i liberali radicali hanno introdotto la scuola dell’obbligo gratuita per tutti. Oggi sembra che spetti ancora una volta a noi guidarla verso un futuro promettente». Ognuno, insomma, tira l’acqua al proprio mulino, sicuro che la scuola dell’obbligo possa diventare un tema politico su cui investire in chiave nazionale. Con alcune differenze, però.

Farinelli: «Ci sono casi limite»

«In discussione non c’è l’inclusione in quanto tale, ma la scuola inclusiva a tutti i costi, quella che fa dell’inclusione un dogma», commenta al CdT il consigliere nazionale PLR Alex Farinelli. «Se non gestita con equilibrio l’inclusione può essere dannosa sia per gli studenti con difficoltà, sia per quelli senza problemi». La questione è capire fino a che punto la scuola dell’obbligo può e deve rimanere inclusiva, prosegue Farinelli. «Esistono casi limite su cui occorre interrogarsi. Immaginiamo una classe con molti studenti che non parlano la lingua e altri con difficoltà di apprendimento. Per i docenti, situazioni simili, soprattutto quando le difficoltà si sommano, diventano ingestibili». Questa è l’inclusione che non porta beneficio a nessuno, aggiunge il deputato: «È pertanto necessario ripensare alcuni parametri in modo che la scuola possa adempiere al suo compito principale: garantire a tutti una buona educazione». Un esempio semplice? «Chi non conosce la lingua non dovrebbe essere inserito nelle classi ordinarie. Questa scelta nuoce a tutti, in primo luogo al diretto interessato, il quale avrebbe maggiore beneficio a seguire un corso per alloglotti».

Pamini: «La lingua è centrale»

«Il modello inclusivo ha mostrato i suoi limiti», commenta dal canto suo il consigliere nazionale UDC Paolo Pamini. «Durante l’assemblea di Aarau sono emersi casi di classi in cui i bambini di lingua madre sono una minoranza, magari 5 su 20. In un contesto simile il modello inclusivo non può funzionare. Per essere inclusi, questi allievi alloglotti devono essere la minoranza, altrimenti l’approccio entra in cortocircuito. Come UDC proponiamo quindi un ritorno al modello con classi speciali destinate agli allievi problematici o che non parlano la lingua del posto». Per quanto riguarda invece la Scuola media ticinese, l’UDC propone curricula differenziati in base agli sbocchi professionali o accademici. «Non si tratta di ritornare al modello Ginnasio-Scuola maggiore, ma di offrire percorsi distinti in base agli indirizzi». In questo contesto si inserisce la critica democentrista al superamento dei livelli, «l’ultimo rimasuglio di una differenziazione che a noi piaceva», aggiunge Pamini. Il quale tuttavia precisa che «il dibattito Oltralpe riguarda soprattutto l’integrazione degli stranieri alloglotti». Inoltre, «avviene in una cornice educativa dove sussiste ancora (a differenza della scuola inclusiva ticinese) una netta separazione di percorsi sul modello Ginnasio-Scuola maggiore».

«Le classi speciali? Un passo indietro di vent’anni»

«Tornare ad avere unicamente classi speciali significa fare un passo indietro di vent’anni». La direttrice del DECS Marina Carobbio Guscetti critica duramente la proposta di abbandonare il modello inclusivo: «Sarebbe un errore gravissimo. Abbandonare la possibilità di avere classi inclusive (classi ordinarie in cui sono inclusi alunni con bisogni educativi particolari) significherebbe limitare le opportunità educative di bambini e giovani con disabilità o con difficoltà». Secondo la direttrice del DECS, i risultati dei test PISA dimostrano infatti che il modello inclusivo ticinese consente ai 15.enni di ottenere risultati superiori alla media svizzera: «Deteniamo anche il primato nazionale per quota complessiva di attestati di maturità – liceali e professionali – conseguiti da allieve e allievi entro i 25 anni d’età (58,5%)». Detto altrimenti: «I dati riflettono l’efficacia anche qualitativa di un sistema educativo che non suddivide gli alunni già a 10 o 11 anni, ma che investe risorse in modo differenziato per chi presenta fragilità, applicando anche la Legge sulla pedagogia speciale, approvata dal Gran Consiglio nel 2011». Al contrario, il modello proposto da PLR e UDC «si limita a spostare il problema anziché affrontarlo. Se la scuola non offre ai bambini un percorso adeguato, con la possibilità di conseguire un diploma o imparare un mestiere, a pagarne il prezzo è tutta la società».

Detto questo, rispetto alle classi d’Oltralpe il modello ticinese presenta alcune peculiarità: «In Ticino coesistono classi a effettivo ridotto (composte unicamente da allieve con bisogni educativi particolari) e classi inclusive. Per queste ultime, a differenza di molti cantoni d’Oltralpe, è prevista la presenza di docenti di pedagogia specializzata che lavorano in codocenza con i docenti titolari; è così possibile mantenere una proporzione che permette di gestire adeguatamente l’intero gruppo classe».

Per quanto riguarda invece il superamento dei livelli, ultimo baluardo di una differenziazione a cui l’UDC vorrebbe tornare, Carobbio si rifà alla sperimentazione in corso decisa dal Gran Consiglio nel 2023. «A fine anno scolastico avremo i primi risultati che dovrebbero permettere di valutare, sulla base di dati oggettivi, cosa è meglio per gli studenti. Se i risultati dimostrassero che tenendo gli allievi assieme la situazione peggiora, sarei la prima a riconoscerlo. Se invece emergesse che il superamento dei livelli conduce a un miglioramento del sistema scolastico, auspicherei che questo fatto venisse riconosciuto». 

Il PLR ha messo a punto una sorta di «cassetta degli attrezzi» contenente cinque mozioni volte a risolvere i problemi più urgenti. Oltre alle citate proposte di tornare alle classi di sostegno e di creare classi linguistiche per allofoni, il PLR propone di ridurre la burocrazia in favore dell’insegnamento («Meno burocrazia, più insegnamento»), di evitare l’indottrinamento ideologico dei bambini («Garantire la neutralità politica della scuola dell’obbligo») e di vietare in classe gli smartphone («Gli smartphone non hanno posto in classe»). Il tema della scuola - alla luce del dibattito innescato a livello nazionale - verrà discusso anche durante l’assemblea dei delegati che si terrà oggi a Tenero. In particolare, verranno esaminate le proposte e le iniziative delle sezioni cantonali. In Ticino, il PLRT ha proposto una riorganizzazione della griglia oraria della Scuola media per renderla «più moderna, flessibile e orientativa».