Se l’Europa deve prepararsi a una guerra

Nell’opinione da noi pubblicata mercoledì, Norman Gobbi sottolineava come «l’instabilità globale influisca direttamente anche sulla nostra realtà in Svizzera e in Ticino». E poi ancora: «La situazione attuale mostra poche prospettive di miglioramento, con una sicurezza che per decenni abbiamo dato per scontata ora fortemente in discussione». Parole che non possono cadere nel vuoto, arrivando da un consigliere di Stato. Davvero la nostra sicurezza è da considerare più a rischio, oggi, di quanto non lo fosse ieri? La stessa Unione europea riconosce la crescente minaccia di un conflitto armato. Il Consiglio europeo lo ha evidenziato nel documento redatto in questi giorni di summit. Il testo sottolinea proprio la necessità di sviluppare un piano per una preparazione militare-civile coordinata e rafforzata, insieme a una gestione strategica delle crisi, considerando l’evoluzione del panorama delle minacce. Un appello inserito nella sezione «militare» del documento. Non è un caso, allora, che in Svizzera qualcuno - l’UDC nello specifico - sia tornato addirittura a parlare del manuale di difesa civile, da aggiornare partendo dalla base, quindi da quanto scritto, negli anni Sessanta, con lo scopo di richiamare l’attenzione della popolazione sulla difesa in tempo di Guerra fredda.
«Non è una guerra mondiale»
«La maggioranza degli esperti ritiene che la minaccia militare posta dalla Russia all’Europa occidentale sia aumentata considerevolmente rispetto al periodo precedente al 2022». A parlare è Mauro Mantovani, professore in studi strategici all’Accademia militare del Politecnico di Zurigo. Lui sembra d’accordo con questa stessa tesi, anche perché aggiunge: «La Svizzera sarebbe ovviamente colpita, anche se indirettamente, in molti modi da una guerra della NATO con la Russia. Una minaccia militare diretta potrebbe molto probabilmente manifestarsi nello spazio aereo e nel ciberspazio». In questo momento d’altronde ci sono diversi fronti «caldi», dall’Ucraina al Medio Oriente. E poi altri, dalla Corea al Nagorno-Karabakh, Taiwan. Difficile dire se sia un caso o meno che sono tutti scoppiati nello stesso momento. Qualcuno, comunque, parla di una «guerra globale diffusa». È così? Mantovani è cauto, sul tema: «Ogni guerra è sui generis, ed è impossibile prevedere esattamente quando le tensioni latenti si trasformeranno in violenza aperta. Di fatto, le guerre - e le vittime di guerra - sono aumentate significativamente in tutto il mondo a partire dal 2022. Tuttavia, non vedo come i teatri citati possano essere collegati tra loro, e quindi non la definirei una guerra mondiale».
«Una posizione coerente»
Mauro Mantovani conosce bene la NATO, ha pure tenuto un corso presso il NATO Defense College, una scuola militare internazionale della NATO a Roma. Gli chiediamo se la nostra sicurezza dipende esclusivamente dall’Alleanza atlantica. «La domanda sulla nostra sicurezza è oggetto del processo politico quotidiano. La nostra sicurezza militare dipende essenzialmente, ma non esclusivamente, dall’esistenza della NATO». E la NATO stessa ha recentemente mostrato i muscoli. Basti pensare alle parole di Emmanuel Macron. Il presidente francese, intervistato dal Parisien, ha infatti ribadito: «Può darsi che a un certo momento, non me lo auguro e non prenderò io l’iniziativa, bisognerà portare avanti operazioni sul terreno, quali che siano, per far fronte alle forze russe». E poi ancora: ««Molti Paesi in Europa, e non fra i minori, sono totalmente sulla nostra linea». Insomma, l’atmosfera sembra scaldarsi, perlomeno a parole. E Mantovani spiega: «A mio avviso, l’imperialismo militante russo può essere raffreddato solo da una posizione risoluta. Questo include minacce esplicite». Una questione di strategia militare, insomma, oltre che geopolitica. Sullo sfondo, nel discorso sulla NATO, c’è anche quello che molti descrivono come uno spauracchio, ovvero la possibile elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti. «Il sostegno americano all’Ucraina continuerebbe probabilmente anche sotto Donald Trump», prevede ancora Mantovani. «Nessun presidente americano vorrebbe essere accusato di aver “perso” l’Ucraina».
Regazzi: «La difesa non va delegata»
«La preoccupazione non può che essere presente. Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, il tema della sicurezza, in tutte le sue sfaccettature, è all’ordine del giorno», commenta al CdT Fabio Regazzi (Centro), membro della Commissione della politica di sicurezza del Consiglio degli Stati. Il budget e l’adeguatezza dell’esercito rappresentano i temi più urgenti da affrontare, avverte il «senatore». Per quanto la Svizzera goda di una posizione geografica che la mette al riparto da attacchi diretti via terra, Regazzi ribadisce la necessità di rafforzare la capacità difensiva del nostro esercito . «Non possiamo pensare di delegare la nostra difesa ad altri Paesi». Quanto all’adeguatezza dell’Esercito svizzero, gli ultimi sviluppi sollevano inevitabilmente qualche interrogativo, ammette Regazzi. «L’Esercito è stato trascurato a livello di investimenti. Ora si tratta di recuperare una corretta capacità di difesa. Si tratta insomma di decidere quanto investire e in quanto tempo, affinché le forze armate possano garantire un livello di sicurezza adeguato». Decisioni che inevitabilmente chiamano in causa anche questioni che toccano principi quali il rapporto con la NATO e la neutralità: «È un terreno molto scivoloso», ammette Regazzi. «Sappiamo che, nel Paese, c’è chi vorrebbe escludere qualsiasi collaborazione con l’Alleanza Atlantica; ma c’è anche chi, al contrario, sarebbe a favore di un’entrata nel Trattato. Personalmente, ritengo che una collaborazione sia giustificata e inevitabile. Vista la nostra collocazione geografica e geopolitica, non possiamo pensare di gestire la difesa del nostro territorio in totale autonomia. E questo - conclude Regazzi - senza mettere in discussione il principio della neutralità».
De Quattro: «I segnali ci preoccupano»
«A inizio maggio sarò a Sofia, in Bulgaria, per discutere dell’allargamento del conflitto con una delegazione della NATO», commenta dal canto suo Jacqueline de Quattro (PLR), vicepresidente della Commissione della politica di sicurezza al Nazionale. I fronti caldi si moltiplicano: Ucraina, Medio Oriente e Taiwan con la contesa strategica tra Cina e USA. «I segnali che arrivano dal Consiglio UE non possono che preoccuparci», aggiunge de Quattro. La quale non dimentica di menzionare alcuni aspetti legati al terrorismo che possono toccare direttamente anche il nostro Paese. «Il conflitto a Gaza ha riacceso tensioni che si manifestano in atti antisemiti o di islamofobia». Sulle decisioni urgenti da prendere, de Quattro conviene che la questione delle risorse da destinare all’Esercito è centrale. Pur attribuendo la massima importanza al freno all’indebitamento, la vice-presidente sottolinea che la capacità di difesa dell’Esercito non deve essere trascurata. «La decisione di aumentare la spesa militare è stata rivista posticipando la data del raggiungimento dell’obiettivo». Una decisione comprensibile se messa in rapporto a questioni più stringenti, come i rincari o la 13. AVS, ma che alla luce del contesto internazionale non va neppure presa sottogamba: «Basterebbe ricordare le dichiarazioni di Trump: in caso di attacco russo, gli USA non interverrebbero in difesa dell’Europa».
Gysin in visita al Consiglio di sicurezza
La consigliera nazionale dei Verdi Greta Gysin, dal canto suo, in questi giorni è in visita negli Stati Uniti con i presidenti delle Camere. La visita si è concentrata, nella prima fase, sull’operato della Svizzera in seno al Consiglio di sicurezza dell’ONU. Da noi raggiunta, Gysin dice: «I due anni nel Consiglio di sicurezza ci permettono di riaffermarci a livello internazionale come Stato in grado di mediare e costruire ponti. È una qualità preziosa, a maggior ragione in un contesto geopolitico teso come quello attuale. Non ci siamo fatti nemici, ma come costruttori di ponti la nostra reputazione ne esce sicuramente rafforzata. La nostra sicurezza nazionale non dipende dalla nostra presenza nel Consiglio di sicurezza». Diverso il discorso relativo alla NATO. «La Svizzera già collabora strettamente con la NATO, un ulteriore avvicinamento minerebbe la nostra neutralità e non ci renderebbe certo più sicuri. Al momento il nostro più grande problema non è la difesa armata, ma quella dai ciberattacchi e dalle campagne di disinformazione. Abbiamo accumulato grandi ritardi che dobbiamo assolutamente recuperare».