L'intervista

«Se scoprissimo la materia oscura, avremmo risposte fondamentali»

Il fisico italiano Lucio Rossi sarà protagonista di una conferenza pubblica martedì alla Biblioteca cantonale di Lugano - Si parlerà di CERN e ricerca
© Keystone/Salvatore Di Nolfi
Giona Carcano
16.11.2024 06:00

Al CERN di Ginevra è appena stato nominato il nuovo direttore generale. Il fisico britannico Mark Thompson prenderà il posto, nel 2026, dell’italiana Fabiola Gianotti. Il cambio al vertice ci dà lo spunto per capire meglio ciò che sta avvenendo all’interno del centro: ne parliamo con il fisico Lucio Rossi, già figura di spicco dell’istituto e ideatore di un importante progetto che vedrà la luce fra pochi anni.

Professor Rossi, al CERN è appena stato eletto il nuovo direttore generale. Tuttavia non si sente parlare spesso di ciò che avviene all’interno dell’acceleratore di particelle di Ginevra. Qual è lo stato della ricerca scientifica?
«Semplificando, direi che ci troviamo in mezzo al guado. La fondamentale scoperta del bosone di Higgs, una particella elementare che conferisce massa a tutte le altre, ha infatti messo la scienza di fronte a un dilemma. È stata trovata una sola particella, e non – come speravamo – una ‘pioggia’ di particelle supersimmetriche. Pensavamo che questo mondo fosse appena al di là di quello che avremmo visto con l’acceleratore, ma non è stato così. La teoria delle particelle supersimmetriche, che spiegherebbe che cos’è e come funziona la materia oscura e quindi l’origine dell’Universo, non è stata ancora dimostrata. E ciò ha costretto i ricercatori del CERN a battere altre strade per capire dove si trova il nuovo livello di conoscenza in questo campo fondamentale della fisica».

Ecco perché, assieme al suo gruppo di ricerca, ha messo a punto il progetto High-Luminosity (HiLumi). A che cosa serve e in che cosa consiste?
«Dovrebbe aiutare a capire in quale direzione si trova la risposta alla nostra grande domanda. È un po’ come se stessimo cercando il cartello del bivio lungo un sentiero. Molto probabilmente non arriveremo alla soluzione, ma avremo importanti indicazioni su dove andare a cercarla. HiLumi, tecnicamente, consiste nel sostituire i magneti e i rivelatori lungo un tratto di un chilometro e mezzo dell’acceleratore di particelle. In questo modo, si riuscirà ad aumentare di un fattore dieci il numero di collisioni. È un upgrade della macchina che aumenta le probabilità di trovare degli indizi».

Quando vedrà la luce?
«Il progetto è stato lanciato nel 2010, con la prospettiva di messa in funzione nel 2025-2026. Tuttavia si sono verificati alcuni ritardi, e ora si parla del 2029. Sono essenzialmente due i fattori che hanno fatto slittare l’aggiornamento dell’acceleratore: il COVID e l’addio della Russia al progetto dopo l’invasione dell’Ucraina, che ha avuto ripercussioni sul budget. Ma anche lo sviluppo delle nuove tecnologie per HiLumi ha richiesto in verità più tempo di quanto inizialmente stimato».

Un acceleratore per osservare l’infinitamente piccolo permette di capire l’origine dell’Universo. Lo stesso scopo che hanno telescopi spaziali come il James Webb, che però guardano l’infinitamente grande. Ci spiega questo rapporto solo in apparenza contraddittorio?
«I nostri amici astronomi, guardando lontano nell’Universo, vedono cose accadute nel passato. Grazie al James Webb riescono a osservare fino a 300 mila anni dopo il Big Bang, l’origine del tutto. Un risultato incredibile, che però ancora non basta. Oltre, al momento, non si riesce ad andare: c’è una barriera che impedisce lo sguardo e si stanno mettendo a punto soluzioni per ‘bucare’ quella cortina. I fisici delle particelle, al contrario, non possono osservare in maniera diretta l’origine dell’Universo, ma possono ricostruire le condizioni che esistevano pochissimo tempo dopo il Big Bang. Arrivano molto più vicino: il bosone di Higgs, ad esempio, ha avuto origine circa un millesimo di miliardesimo di secondo dopo quell’evento. Riassumendo, guardare lontano o vicinissimo permette di raggiungere lo stesso obiettivo».

La materia oscura è cinque volte più numerosa della materia ordinaria – quella di cui sono composti tutti i corpi, compreso il nostro – ma appunto non riusciamo a coglierla, a osservarla

Ora si tratta, per entrambi i campi della fisica, di andare oltre quelle barriere. La materia oscura sarà dunque l’obiettivo massimo di questo secolo?
«Sì. Se la scoprissimo, sarebbe qualcosa di enorme. Si aprirebbe un mondo, addirittura una nuova fisica. La materia oscura è cinque volte più numerosa della materia ordinaria – quella di cui sono composti tutti i corpi, compreso il nostro – ma appunto non riusciamo a coglierla, a osservarla. Il progetto HiLumi del CERN aiuterà a gettare luce su questo fenomeno, e capire come si è formato l’Universo».

La scoperta della materia oscura è da molti anni il Sacro Graal della fisica fondamentale. Che cosa spinge i ricercatori in questa lunghissima rincorsa?
«Siamo convinti che capire come è fatto l’Universo, come siamo fatti noi, sia una componente fondamentale dell’uomo. Non è qualcosa di accessorio. Si potrebbe paragonare all’arte: ci si potrebbe chiedersi ‘che valore ha l’arte?’ Beh, nel momento in cui vedi un quadro che ti riempie di bellezza, capisci che non puoi farne a meno. La stessa cosa vale per la conoscenza».

Oltre agli aspetti intrinsecamente legati allo spirito umano, la conoscenza ha anche degli effetti pratici sulla tecnologia. Ci fa qualche esempio?
«Quando abbiamo scoperto l’elettrone, non sapevamo che 60 anni dopo sarebbe nata l’elettronica e tutto ciò che ha prodotto. Allo stesso modo, quando abbiamo scoperto gli atomi, non sapevamo che 50 anni dopo li avremmo usati per le nanotecnologie. L’umanità ha tratto e trae grande benefici dalla ricerca, dal progresso scientifico».

Qual è, invece, l’eredità lasciata dal CERN?
«Il CERN ha inventato il World Wide Web, la maniera furba di usare le autostrade informatiche, già nel 1989. Ma non solo: il centro ha reso possibile la prima PET, la tomografia, un esame clinico oggi fra i più importanti. Allargando il discorso, le tecnologie degli acceleratori hanno permesso lo sviluppo della risonanza magnetica. Dunque vedete, la ricerca lascia all’umanità qualcosa di concreto, di tangibile. Scienza e tecnologia è il connubio virtuoso su cui si regge la società occidentale: qualcosa di molto prezioso».

Martedì prossimo sarà a Lugano per una conferenza pubblica. Parlerà anche di transizione energetica. In che modo CERN e fonti energetiche pulite sono collegati?
«Dopo vent’anni trascorsi al CERN, sono tornato a insegnare a Milano, all’Università La Statale. Nell’ambito del ‘famoso’ Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), è stato approvato un mio progetto per creare un’infrastruttura di ricerca di base e capire le applicazioni per la società. Vorrei studiare quali tecnologie utilizzate per gli acceleratori possano dare un contributo in campo medico, in particolare per la terapia oncologica, e quali sulla transizione energetica. Stiamo infatti sviluppando un cavo superconduttore per il trasporto di energia a zero emissioni. Si tratta, se vogliamo, di uno spin-off del CERN e dell’INFN (l’lstituto nazionale di fisica nucleare), cioè proprio della ricerca fondamentale legata alla fisica delle particelle».

La conferenza

«Dal bosone di Higg alla transizione energetica: CERN e ricerca verso l’innovazione» è il titolo di una conferenza pubblica che si terrà martedì 19 novembre alla Biblioteca cantonale di Lugano (sala Tami, ore 18.00). Ospite della serata sarà Lucio Rossi.

La scheda

Lucio Rossi, Ordinario in Fisica Sperimentale all’Università Statale di Milano, è stato 20 anni al CERN di Ginevra come responsabile dei magneti superconduttori dell’acceleratore LHC (con scoperta del bosone di Higgs nel 2012) e nel 2011 ha iniziato il progetto High Luminosity LHC, il progetto bandiera del CERN fino al 2040. Ora dirige un progetto denominato IRIS, su tecnologie innovative per la medicina ed energia verde. Ha ricevuto il premio alla carriera IEEE-Council of Superconductivity (2007), il premio Rolf Wideröe dell’European Physical Society (2020) e il premio Enrico Fermi dalla Società Italiana di Fisica (2023).

In questo articolo: