Secondo round negoziale a Riad, ma sul campo parlano sempre le armi

A temperare da subito le aspettative per una risoluzione rapida del conflitto ci ha pensato – ancora prima che i colloqui iniziassero – il Cremlino. «Le trattative con gli Stati Uniti saranno difficili», ha commentato il portavoce Dmitry Peskov a margine dell’incontro tra la delegazione russa e quella americana andate in scena oggi a Riad. «La volontà di muoversi sulla via di una soluzione pacifica non manca, ma in generale, ovviamente, ci sono ancora moltissimi aspetti legati all’accordo su cui si deve ancora lavorare». Un’impostazione confermata anche dalla portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, citata dalle agenzie locali: «Dai colloqui di Riad tra Stati Uniti e Russia non ci si dovrebbe attendere alcuna svolta, ma piuttosto la conferma che si sta lavorando in diverse aree». Insomma, per quanto la delegazione americana guidata da Steve Witkoff sia determinata a raggiungere una tregua il più rapidamente possibile – con Trump che ha indicato come data simbolica il 20 aprile, giorno in cui quest’anno coincideranno la Pasqua cattolica e quella ortodossa – il Cremlino ha lasciato intendere di non avere alcuna fretta. Sull’eventualità che i colloqui possano durare mesi se non anni, «come gli accordi sul Medio Oriente», si è espresso anche il consigliere del capo dell’Ufficio presidenziale ucraino, Serhiy Leshchenko: «Non voglio che si guardi a questo caso (gli accordi sul Medio Oriente, ndr.), ma che si capisca che gli incontri saranno abbastanza regolari e che non tutti si concluderanno con dichiarazioni pubbliche». Il ritmo, insomma, in questa fase, lo detta Mosca. Che al momento ha tutto l’interesse a prolungare la fase delle trattative visto che sul campo sta guadagnando terreno, giorno dopo giorno.
«Il mandato era chiaro»
Non sorprende, quindi, che all’ordine del giorno, nel primo round negoziale tra la delegazione russa e quella americana, oggi, ci fosse – per dirla con le parole di Peskov – «solo la questione della sicurezza del Mar Nero e tutti gli argomenti correlati». «Questo è quanto hanno concordato il presidente Putin e Trump. La nostra delegazione si è recata a Riad con questo mandato». A chiarire, con qualche dettaglio in più, il contenuto dello scambio diplomatico, è stato lo stesso Leshchenko citato dall’agenzia statale Ukrinform: «Si tratterebbe di un cessate il fuoco reciproco: noi non attacchiamo le loro strutture, comprese quelle fluviali, e loro non attaccano le nostre - porti di Kherson, Mykolaiv, porti della Grande Odessa», ha precisato. Parallelamente, il Cremlino in serata ha fatto sapere di aver affrontato il tema a Mosca con esperti dell’ONU.
Premesse e fatti
Gli incontri a Riad hanno infatti luogo dopo che le due parti in conflitto, sotto la pressione di Washington, hanno concordato negli scorsi giorni di sospendere temporaneamente gli attacchi alle infrastrutture energetiche, gravemente danneggiate sul fronte ucraino dopo tre anni di bombardamenti, ma sempre più frequentemente prese di mira anche nel territorio russo grazie alle nuove capacità dell’esercito di Kiev di raggiungere obiettivi a lunga distanza. Al riguardo, Peskov ha dichiarato che «Putin non ha cancellato l’ordine di non colpire le infrastrutture energetiche ucraine». Il Cremlino insomma sostiene che la sospensione degli attacchi contro le infrastrutture energetiche ucraine, concordata nella telefonata tra Vladimir Putin e Donald Trump di martedì scorso, resta in vigore. La scorsa settimana, il presidente russo ha infatti accettato la proposta dell’omologo americano di sospendere per 30 giorni gli attacchi alle infrastrutture energetiche. Il cessate il fuoco, tuttavia, è stato messo in dubbio subito dopo, con entrambe le parti che hanno segnalato continui attacchi. «Finora non ci sono stati altri ordini da parte del presidente», ha detto il portavoce Peskov quando gli è stato chiesto se la Russia intendesse mantenere o meno la tregua. «Le nostre forze armate stanno seguendo tutte le istruzioni del comandante supremo in capo, ma naturalmente monitoriamo la situazione molto attentamente. Anche i nostri interlocutori americani sono in grado di monitorare la situazione e di trarre le opportune conclusioni», ha detto Peskov alla stampa. Al riguardo, l’esercito russo ha dichiarato di aver abbattuto 227 droni ucraini nelle ultime 24 ore. Una dichiarazione che rivela come, in realtà, le parti siano ancora lontane da un’intesa reale. Sulla carta, Mosca e Kiev si dichiarano disponibili a sospendere i raid, ma nei fatti gli attacchi reciproci sono continuati anche oggi. E con essi le accuse incrociate di violare gli accordi presi. «La Russia deve fermare i suoi attacchi invece di fare vuote dichiarazioni sulla pace», ha detto dal canto suo il ministro degli Esteri ucraino, Andrii Sybiha su X: «Qualsiasi diplomazia con Mosca deve essere sostenuta da potenza di fuoco, sanzioni e pressioni», ha aggiunto, commentando un attacco missilistico russo che ha ferito almeno 74 persone (17 bambini) nella città nord-orientale ucraina di Sumy. Le premesse sono tutt’altro che positive, come la sintesi fatta dal presidente della commissione parlamentare ucraina per gli affari esteri, Oleksandr Merezhko: «Tutto dipende da Putin, che a quanto pare non è interessato né a un cessate il fuoco né alla pace».
«I colloqui? Un mezzo per obiettivi più grandi»
Quanto coincidono gli obiettivi delle parti in causa? La domanda - centratissima - se l’è posta il New York Times a margine della seconda tornata di colloqui, iniziati oggi mattina a Riad, tra la delegazione russa e quella americana. «Il presidente Donald Trump ha più volte ribadito la sua intenzione di fermare il prima possibile la guerra in Ucraina. Per il presidente russo Vladimir Putin, invece, i colloqui di cessate il fuoco rappresentano uno strumento per perseguire obiettivi più ampi e strategici». Il risultato? Il Cremlino sembra determinato a spremere quanti più benefici possibili dal desiderio di Trump di un accordo di pace con l’Ucraina, anche se ciò rallenta i negoziati. A conferma di questa interpretazione, il New York Times ricorda che l’Ucraina si è detta pronta ad accettare una tregua totale di 30 giorni già durante l’incontro dell’11 marzo a Gedda con i rappresentanti statunitensi. Il Cremlino, invece – soprattutto in questa fase in cui la Russia sta guadagnando terreno sul campo – non ha mostrato alcuna intenzione di fare marcia indietro rispetto ai propri obiettivi: la garanzia che l’Ucraina non entrerà mai a far parte della NATO; un arretramento dell’alleanza occidentale nell’Europa centrale e orientale; l’introduzione di limiti all’esercito ucraino e un certo livello di influenza sulla politica interna del Paese. «Visti da Mosca, i migliori legami con Washington sono una manna economica e geopolitica, che potrebbe essere ottenuta anche mentre i missili russi continuano a martellare l’Ucraina». Il Cremlino, conclude il quotidiano, considera i negoziati sull’Ucraina e i rapporti con gli Stati Uniti come due questioni distinte. Putin punta ancora a una vittoria ampia in Ucraina, ma sostiene la proposta di cessate il fuoco di Trump per approfittare di un possibile riavvicinamento con Washington.