Sevizie, botte e violenze «Ma non voleva uccidere»
«Ha assunto comportamenti da padrone assoluto, violento e prevaricatore, vantando il privilegio - che si era arrogato - di essere il maschio di casa. Ogni cosa che non corrispondeva a quanto da lui desiderato diventava un pretesto per sfogare la sua ira e alzare le mani sulla propria moglie, minacciandola e umiliandola in tutti i modi possibili, ogni volta che ne aveva l’occasione». Il giudice Mauro Ermani non è andato tanto per il sottile, condannando a 8 anni di carcere e a 10 di espulsione dalla Svizzera il 36.enne serbo, residente nella regione, comparso lunedì di fronte alla Corte delle Assise criminali. Non sono affatto da escludere dei ricorsi in Appello.
«Versione credibile»
La pena è di molto inferiore rispetto a quanto aveva chiesto la procuratrice pubblica Valentina Tuoni nella requisitoria (18 anni di detenzione e 15 di espulsione). La Corte, pur ritenendo molto credibile, coerente e lineare la versione fornita dalla moglie, non ha ravvisato nei confronti dell’imputato il reato di tentato omicidio (né intenzionale, né per dolo eventuale), ma soltanto quello di messa in pericolo della vita altrui. «Non ci sono sufficienti elementi che facciano credere che l’imputato avesse realmente voluto uccidere la moglie o anche solo accettato l’evenienza di cagionarne la morte», ha dichiarato Mauro Ermani, durante la lettura del dispositivo della sentenza. Venuto quindi a cadere il reato principale di tentato omicidio, di riflesso, si è abbassata la commisurazione della pena.
Le numerose fattispecie
La Corte delle Assise criminali ha invece ritenuto il 36.enne colpevole degli altri capi di imputazione. I principali e più gravi, quelli di violenza carnale e coazione sessuale ripetuta, «hanno mostrato la volontà dell’uomo di affermare il proprio potere sulla vittima». Riconosciuti anche quelli di lesioni gravi, lesioni semplici qualificate ripetute, coazione ripetuta, minaccia ripetuta, vie di fatto ripetute e violazione del dovere di assistenza e di educazione verso le proprie figlie, le quali hanno dovuto loro malgrado assistere alle violenze rivolte alla madre. Nella lunga lista di fattispecie che pendevano a carico dell’uomo sono stati altresì riconosciuti diversi reati contro il patrimonio, quali truffa, falsità in documenti e ottenimento illecito di prestazioni da un’assicurazione sociale o dall’aiuto sociale. L’uomo, dal canto suo, aveva respinto tutti gli addebiti, dicendo di non aver mai toccato la moglie e ammettendo come sua unica colpa il fatto di averla tradita con diverse donne e di averle scritto dei messaggi utilizzando un linguaggio inopportuno. Il 36.enne aveva inoltre parlato di un complotto contro di lui ordito dalla moglie e dai suoi familiari per vendicarsi dei tradimenti subiti. Una tesi ritenuta assolutamente non credibile da parte della Corte.
«Nessun pentimento»
«La colpa dell’imputato è grave e i suoi comportamenti verso la moglie sono stati estremamente lesivi», ha proseguito Ermani. Inoltre i soprusi commessi nei confronti della donna hanno anche avuto un impatto importante sulle figlie della coppia, costrette ad assistere alle scene di violenza. «Un ambiente tossico che non ha risparmiato le bambine, le quali hanno descritto un contesto familiare malsano, dove il maschio è il maschio e la donna non deve creargli nessun fastidio e stare a quello che lui dice», ha spiegato il presidente della Corte. «Voleva detenere il suo potere all’interno della famiglia e ha quindi continuato a umiliare la moglie senza riguardo per le figlie, trasmettendo loro valori sbagliati ed estranei alla nostra cultura». Inoltre, ha proseguito, l’uomo non ha mostrato il minimo pentimento e «l’empatia non è sicuramente un sentimento che alberga in lui».
Tesi contrapposte
Come detto, l’accusa si era battuta per una pena pesante, imputandogli fatti gravissimi, arrivati a più riprese a sfiorare la morte della donna e avvenuti sull’arco di oltre dieci anni (dal 2010 al 2023). Violenze di ogni tipo, verbali, fisiche e sessuali culminate in sette tentativi di omicidio. La pp, durante la prima giornata dibattimentale, aveva quindi chiesto alla Corte una condanna a 18 anni di carcere e 15 di espulsione dalla Svizzera. Trattandosi di un processo indiziario (la tesi dell’uno contro la tesi dell’altra) la difesa, rappresentata dall’avvocatessa Elisa Lurati, si era invece spesa per il completo proscioglimento dell’imputato sostenendo che non ci fossero prove concrete a suo carico.