L'intervista

«Sistema politico in crisi da anni, ma adesso la Francia è a un bivio»

Lo storico Michele Marchi spiega i motivi per cui la Legislatura che si aprirà nei prossimi giorni può essere decisiva per le sorti del Paese transalpino - La partecipazione al voto legittima i neodeputati ma li carica nello stesso tempo di una grande responsabilità
L’ex presidente della Repubblica François Hollande è stato eletto deputato e parteciperà molto probabilmente alle trattative per la formazione del nuovo Governo. ©Moritz Thibaud/ABACA
Dario Campione
09.07.2024 06:00

«Il protrarsi della guerra in Ucraina e le ricadute di natura energetica (e, di conseguenza, economica) tendono ad aggravare ulteriormente quella crisi della classe media e quel declassamento (reale e percepito) alla base del successo del Rassemblement National e della France Insoumise. Il modello istituzionale della Quinta Repubblica sarà in grado di adattarsi a questa embrionale ma comunque crescente tripolarizzazione del quadro politico? Ma soprattutto, il presidente [Emmanuel Macron] da un lato e le forze politiche estreme, oggi entrate in massa all’Assemblea nazionale dall’altro, sapranno catalizzare il malessere e il senso di insoddisfazione misto a depressione sociale che si respirano nel Paese?».

Un anno e mezzo fa, nelle ultime pagine del suo libro Presidenzialismo a metà. Modello francese, passione italiana (Il Mulino), Michele Marchi, associato di Storia contemporanea e coordinatore del Corso di laurea in Storia, Società e culture del Mediterraneo all’Università di Bologna (Campus di Ravenna), lanciava un avvertimento quasi profetico sui possibili sviluppi della crisi socio-economica in cui sarebbe potuta sprofondare la Francia.

«L’idea che il sistema potesse entrare in una situazione di difficoltà - dice Marchi al Corriere del Ticino - arriva da lontano, direi almeno dalle legislative del 2022 e dalla rielezione di Emmanuel Macron nello stesso anno. Rispetto al 2017, Macron non aveva ottenuto la maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale e aveva governato con una maggioranza solo relativa, con tutte le difficoltà che questo comporta. Anche la crescita del Rassemblement National (RN) è stata costante, e se è indubbio che il vero perdente di domenica scorsa è Marine Le Pen, non va dimenticato che il gruppo parlamentare del RN sarà comunque il più numeroso a Palais Bourbon».

I voti non si cancellano

Gli oltre 10 milioni di voti raccolti dal RN al primo turno, sottolinea Marchi, «non possono essere cancellati. Sono anzi la testimonianza della destrutturazione in atto del sistema politico». Un sistema che ha trovato nei meccanismi elettorali un freno naturale all’accelerazione della crisi.

«In effetti - dice lo storico bolognese - il maggioritario di circoscrizione a doppio turno ha corretto, in termini di seggi, i risultati iniziali, grazie in particolare alle desistenze che hanno ridotto da oltre 300 a poco più di 90 gli scontri a tre. Il risultato finale, però, consegna un’Assemblea nazionale divisa in tre, se non quattro blocchi, molto distanti tra loro. Macron ha perciò vinto soltanto in parte la sua scommessa. Non ha ottenuto l’auspicata chiarificazione del quadro politico, ma ha sicuramente ridimensionato la vittoria della Le Pen alle Europee». Non solo. Ha pure tolto dalle mani della leader del RN l’arma politicamente più pericolosa: la possibilità di invocare senza sosta la legittimazione popolare a governare.

«Senza dubbio Macron sapeva che, senza questo voto legislativo, sarebbe stato costretto a vivere sotto un fuoco di fila continuo della destra - dice Marchi - Un presidente con un bassissimo livello di gradimento, molto contestato, e con un partito elettoralmente dimezzato, non avrebbe retto. Il suo è stato un azzardo quasi necessario. Come in una mano di poker, ha detto: andiamo a vedere che cosa vuole realmente il Paese. E i cittadini hanno risposto, in massa, di non volere una coabitazione con Jordan Bardella. Alcuni osservatori sostengono che, in realtà, una coabitazione avrebbe così tanto usurato il Rassemblement National da neutralizzarlo per il 2027. Ma a mio parere, sarebbe stata invece una situazione molto pericolosa, sia per la Quinta Repubblica sia per gli equilibri europei».

Che cosa succede, adesso?

Il punto è capire che cosa possa accadere adesso. «Oggi (ieri, ndr) i dirigenti del Nuovo Fronte Popolare (NFP) hanno fatto sapere che, nel giro di qualche giorno, presenteranno un candidato comune per la guida del Governo - dice ancora Marchi - Non è quindi inevitabile, così come molti hanno previsto, che la sinistra si divida. Il problema, tuttavia, è che un Esecutivo del NFP sarebbe di forte minoranza, stiamo parlando di 182 deputati su 577. Aggregare una parte delle forze dell’ex maggioranza presidenziale sarebbe indispensabile. E qui cominciano a sorgere i problemi, perché la distanza tra i macroniani, i centristi del Modem e di Horizons e La France Insoumise, ma anche di certi settori dei socialisti e degli ecologisti, è enorme. Pensiamo soltanto alla riforma delle pensioni, che era stata contestatissima dall’estrema sinistra, ma anche dai socialisti e dagli ecologisti». In prospettiva, ragiona lo storico emiliano, «il blocco dell’ex maggioranza presidenziale, i neogollisti, una quota consistente di socialisti e di ecologisti potrebbero trovare, per un periodo ridotto di tempo, un accordo a sostegno di un Governo, per quanto sulle questioni concrete una convergenza politica sia difficile. Certo è che il quadro, per la V Repubblica, cambia. Il sistema sembra che si possa parlamentarizzare, con le maggioranze che nascono dopo le elezioni, magari su punti specifici».

In parte, una cosa simile era già accaduta dopo la rielezione di François Mitterand nel 1988. «I socialisti non erano arrivati alla maggioranza assoluta, ma nessuno aveva messo in dubbio che il primo ministro dovesse essere da loro espresso, perché erano comunque il partito di maggioranza relativa all’Assemblea nazionale - ricorda Marchi - oggi la situazione è diversa, in Parlamento non c’è una forza o una coalizione di forze chiaramente più numerosa delle altre».

L'ultimo appello

Dopo il voto di domenica si ha la sensazione che la politica francese sia stata chiamata a una sorta di ultimo appello. Oltre il quale potrebbe davvero aprirsi il baratro di una crisi irreversibile. «La nuova Assemblea nazionale ha una grande legittimità dovuta all’alto livello di partecipazione - conclude Michele Marchi - e, di converso, è chiamata a mostrare un altrettanto grande senso di responsabilità. Tra il 2022 e il 2024, in particolare i deputati lepenisti e quelli della France Insoumise non hanno dato grande spettacolo di sé stessi. Su molti temi, dalle pensioni alla guerra tra Israele e Hamas, la polarizzazione è stata estrema, quasi violenta. Lo stallo e la mancata soluzione dei problemi difficilmente potrebbero essere accettati dai cittadini».