Il caso

«Sospendere in via cautelare un magistrato oggi non è possibile»

Il Consiglio della magistratura ha chiarito i propri margini di manovra - Il presidente Damiano Stefani: «Non abbiamo gli strumenti legislativi» - Ma la Commissione giustizia e diritti intende crearli con un’iniziativa parlamentare elaborata - Fiorenzo Dadò: «Ne discuteremo lunedì»
©Gabriele Putzu

Un incontro tra la Commissione giustizia e diritti e il Consiglio della magistratura per fare il punto sul caso Ermani e, più in generale, per discutere i problemi che hanno investito il Tribunale penale cantonale negli ultimi mesi. Il vertice, richiesto dalla Commissione, si è tenuto ieri a Palazzo delle Orsoline. «Abbiamo chiarito il contesto entro il quale siamo chiamati a operare dal profilo legislativo e quindi di rispetto delle leggi che sono in vigore», ha spiegato al termine dell’incontro, durato più di due ore, il presidente del CdM Damiano Stefani. «Abbiamo cercato di contestualizzare il tutto, in modo che sia chiaro quello che stiamo facendo».

Il vuoto legislativo

Tra le richieste sul tavolo, «ventilate ma non formulate ufficialmente dalla Commissione», anche quella di sospendere il presidente del Tribunale penale cantonale Mauro Ermani, finito nuovamente al centro delle critiche, dopo che la Commissione a inizio settimana è entrata in possesso - tramite una lettera anonima - di ulteriori tre scatti ritenuti «inammissibili». In realtà, è bene sottolinearlo, le posizioni divergono. Secondo il legale di Ermani, l’avvocato Luigi Mattei, si tratta di immagini «assolutamente innocue» e inviate in un contesto amicale. Non così, invece, per la Commissione che alla luce degli sviluppi ha deciso di convocare il CdM per i chiarimenti del caso. Sulla richiesta di un eventuale passo indietro, però, l’organo di vigilanza è stato chiaro: «La legge attualmente non consente di sospendere nessuno quale misura cautelare. L’unica via, semmai, è di avviare un processo di cambiamento legislativo. Ma questa decisione spetta eventualmente al Parlamento se lo ritiene opportuno», ha evidenziato il presidente dell’organo di vigilanza Damiano Stefani.

In arrivo un’iniziativa urgente

Dal canto suo, il presidente della Commissione giustizia e diritti, Fiorenzo Dadò, è stato chiaro: «Evidentemente c’è stata anche una discussione sull’opportunità che Ermani - come gli altri magistrati implicati nella vicenda - continui in questo momento a presiedere il Tribunale penale cantonale. Del resto, un caso simile, in Ticino, non c’è mai stato. Alle nostre sollecitazioni, il Consiglio della magistratura ha però spiegato che non esiste attualmente uno strumento legislativo per poter agire come ci si potrebbe aspettare». A questo punto - ha aggiunto il presidente - in Commissione è emersa la necessità di colmare, in tempi urgenti, questo vuoto legislativo. «L’obiettivo è di fornire al CdM uno strumento per sospendere in via cautelare un magistrato, di qualunque magistrato si tratti». Una necessità, ha aggiunto Dadò, per tutelare l’immagine e la credibilità della Giustizia, senza incappare in un ricorso. Concretamente, quindi, la Commissione intende elaborare un atto parlamentare da portare in aula il più presto possibile. «Sarà verosimilmente un’iniziativa parlamentare elaborata. Vorremmo discuterla già lunedì e portarla in Parlamento nella sessione di ottobre».

I paletti dell’inchiesta

Durante l’incontro di ieri, i vertici del CdM non hanno neppure potuto fornire ai commissari informazioni per chiarire il contesto in cui sono state inviate le tre fotografie, né smentire eventuali informazioni non veritiere apparse sui media. «Non ci è consentito condividere le informazioni nell’ambito di un procedimento in corso, né entrare nel merito delle varie procedure. Se lo facessimo, violeremmo il segreto d’ufficio», ha evidenziato il presidente Stefani. Gli unici che possono avere accesso alla procedura sono le parti interessate, e quindi il segnalante (la segretaria) e il segnalato (il giudice Ermani). «In virtù della separazione dei poteri - ha aggiunto Stefani - svolgiamo il nostro lavoro in maniera indipendente, senza quindi dover rendere conto a un altro potere dello Stato, in questo caso il Legislativo». E questo allo scopo di «evitare qualunque tipo di ingerenza» e, soprattutto, «di garantire al segnalante e al segnalato che la procedura sia la più corretta possibile».

«Si abbassino i toni»

La fuga di notizie delle ultime settimane, tuttavia, non lascia tranquillo il Consiglio della magistratura, per sua stessa ammissione confrontato con una crescente pressione da parte dell’opinione pubblica per un intervento rapido. «Le fughe di notizie non ci facilitano certo il nostro compito e non fanno bene a nessuno», ha ammesso Stefani, pur spiegando che «è qualcosa che non possiamo impedire». Quale organo di vigilanza, ha comunque tenuto ad assicurare il giudice, «portiamo avanti il nostro lavoro seguendo le regole, nel rispetto delle leggi». L’invito, da parte dell’organo di vigilanza, è però di «abbassare i toni, permettendoci di lavorare». A procedura conclusa, se ci saranno le prove che quanto viene mosso al segnalato corrisponde alla realtà e avrà una gravità tale da giustificarlo, il CdM potrà vagliare diverse misure: «La sospensione, o persino la destituzione del giudice. Se fosse meno grave, invece, basterebbe un semplice ammonimento o una multa». Per quanto riguarda le tempistiche, Stefani non ha voluto sbilanciarsi. «È difficile dire quando potremo arrivare a una conclusione. Le procedure giudiziarie comportano il pieno rispetto dei diritti della persona segnalata, e il diritto di essere sentito comporta dei passi che richiedono tempo».