«Speciali» per una rara malattia, ma oltre alla patologia c’è di più
«Individuare una malattia genetica è come cercare una lettera scritta male in un libro all’interno di una biblioteca». Sono queste le parole che Dragana Catani ha ascoltato dalla bocca del medico genetista, 11 anni fa, quando ha portato in visita suo figlio Leo, nato pochi mesi prima. È in quel momento che ha capito che trovare una spiegazione ai problemi del suo bambino, giungere a una diagnosi genetica, non sarebbe stata un’impresa semplice. «In realtà noi siamo stati ‘‘fortunati’’», racconta oggi, «dopo cinque mesi abbiamo dato un nome alla malattia, mentre ci sono persone che hanno vissuto per vent’anni senza avere una diagnosi».
Pensate di estrarre a caso una, due, tre, quattro persone tra diecimila. Quegli individui hanno qualcosa che li rende unici: sono affetti da una malattia rara. Una patologia che, secondo la definizione internazionale, si manifesta proprio in meno di 5 casi su 10 mila abitanti. E che è potenzialmente mortale o provoca un’invalidità cronica. Si stima che in Svizzera siano circa 580 mila le persone che soffrono di una malattia rara, almeno 7 mila in Ticino. Una stima difficile, perché pretende di raggruppare patologie rare molto diverse tra loro, con problematiche comuni.
La diagnosi
Leo ha 11 anni, abita a Mendrisio, ha due fratelli maggiori, ed è tra le persone «estratte». È affetto da distrofia muscolare congenita di Ullrich, una rara malattia genetica dei muscoli. Si manifesta già alla nascita con debolezza e contratture muscolari soprattutto del tronco e degli arti, che compromettono la capacità di camminare. La malattia porta inoltre a un coinvolgimento precoce e progressivo dei muscoli respiratori e del diaframma. «All’inizio è stata dura, ma abbiamo sempre cercato di affrontare la situazione con positività», spiega mamma Dragana, «cercando soluzioni per vivere bene. Abbiamo spiegato a Leo che tutti hanno delle diversità, lui ha questa sua ‘‘specialità’’. Nessun tabù».
La presa a carico
In Svizzera ci sono (almeno) altre due persone affette da distrofia muscolare congenita di Ullrich. Il 29 febbraio, in quanto data prevista solo negli anni bisestili, è la Giornata internazionale delle malattie rare. Un modo per attirare l’attenzione sul tema, sensibilizzare e far conoscere i servizi per le persone colpite. Che spesso rimangono senza una diagnosi corretta per anni, vengono rimbalzate tra uno specialista e l’altro e non hanno accesso a un trattamento adeguato.
Come spiega il professor Alain Kaelin, direttore medico e scientifico del Neurocentro, «è per questo che sono nati i Centri per le malattie rare, tra cui quello della Svizzera italiana, nato nel 2018 con l’obiettivo di stabilire per i pazienti una diagnosi corretta nel più breve tempo possibile. Come lo fa?
Tramite un approccio multidisciplinare e una presa a carico centralizzata e coordinata». Una volta trovata la risposta ai sintomi, entrano in gioco i Centri di riferimento distribuiti sul territorio svizzero, che raggruppano le competenze relative ad ambiti patologici specifici. E lavorano in rete, cosicché il paziente venga seguito e indirizzato verso gli specialisti che fanno al caso suo.
Una «giungla di informazioni»
Una maggiore conoscenza della patologie e delle loro conseguenze è fondamentale per garantire comprensione e un adeguato supporto a chi deve conviverci. Perché oltre all’aspetto medico-scientifico, c’è quello sociale. Il Ticino, sotto questo aspetto, propone un esempio virtuoso: Myosuisse, centro di riferimento nazionale per le malattie neuromuscolari nell’ambito del piano nazionale sulle malattie rare, collabora a stretto contatto con l’Associazione malattie genetiche rare (MGR), ente indipendente che offre sostegno e consulenza sociale e promuove e tutela la qualità di vita dei pazienti. «Per la persona malata e la sua famiglia significa avere un accompagnamento continuo», spiega il presidente Claudio Del Don. Dalle discussioni con le assicurazioni, ai contatti con le casse malati, fino ad attività pratiche. «Il bambino affetto da disturbo muscolare ha bisogni diversi rispetto a quello che soffre di crisi epilettiche legate a una malattia rara. A volte le soluzioni sono ‘‘alla porta accanto’’, ma è difficile trovarle in una giungla di informazioni».
L’idea di costituire l’MGR nasce dal convincimento che malattia genetica rara non debba significare per forza malattia ‘‘orfana’’, come pure dal desiderio di offrire ai malati residenti nella Svizzera italiana un sostegno sociale concreto e in loco, seguendoli nel tempo, ma anche facendo fronte in modo efficace e rapido alle situazioni di bisogno immediato.
Formazione e sostegno
L’Associazione malattie genetiche rare attualmente segue 355 persone. «Mettiamo in contatto le famiglie, organizziamo corsi per i familiari curanti, pianifichiamo attività in condivisione, andiamo in vacanza insieme tenendo conto delle particolari necessità di tutti, ci sono gruppi di auto-aiuto», chiarisce Del Don. Aspetti sociali che vanno di pari passo con quelli medico-scientifici, come conferma Dragana Catani: «C’è stato un momento in cui ero disperatamente alla ricerca di un confronto con qualcuno che si trovasse nella nostra situazione. Poter contare su una ‘‘rete’’ è fondamentale».
In questo momento MGR segue, tra gli altri, due bambini che necessitano di essere curati su territorio italiano. «La nostra associazione anticipa i costi della clinica, che verranno rimborsati dall’assicurazione a posteriori», spiega il presidente. «Si parla di cifre importanti, e la raccolta fondi, che si aggiunge al contributo di Confederazione e Cantone, non è sempre facile».
È la collaborazione a permettere di trovare soluzioni appropriate. «Per noi medici è fondamentale essere ben informati e seguire una formazione continua», aggiunge il professor Kaelin. «Per aiutare le famiglie bisogna conoscere tutti gli aspetti. C’è enorme eterogeneità tra i medici di fiducia delle assicurazioni malattia ai quali dobbiamo spiegare la necessità di un medicamento o di una cura».
«Ci accompagna la speranza»
Lo scorso anno Leo, che frequenta la quinta elementare, è andato in settimana bianca insieme ai suoi compagni. «La scuola ha ascoltato i nostri input. I monitori hanno portato mio figlio sulla neve, anche se è in sedia a rotelle. Nessuno toglie un sorriso a un bambino, se può darglielo», conclude Dragana. «Sapere che c’è una finestra pronta ad aprirsi quando si ha bisogno di ascolto e di un consiglio è molto importante. Noi restiamo positivi. La speranza non ci abbandonerà mai».