Sportech: quando sport e tecnologia vanno a braccetto

Mostrare quanto la scienza e la tecnica incidono nella pratica sportiva e nella vita di tutti i giorni. Questo è l’intento della settima edizione di Sportech, le «giornate della scienza e della tecnologia applicate nello sport», in programma da martedì 22 a venerdì 25 gennaio al Centro sportivo nazionale di Tenero. Una manifestazione rivolta principalmente alle scuole – medie, licei e professionali – ma aperta anche al pubblico e che, attraverso molteplici iniziative ed incontri, permette di mostrare il volto più «friendly» di discipline spesso a torto considerate ostiche, come matematica, fisica e chimica. Ne abbiamo parlato con Emanuele Carpanzano, direttore del Dipartimento tecnologie innovative della SUPSI (che organizza l’evento insieme all’Ufficio federale dello sport, con il sostegno di numerosi partner), nonché membro del Comitato scientifico della rassegna.

«Anzitutto va ribadito che lo scopo dell’iniziativa è avvicinare i giovani in età scolastica alle discipline tecniche, mostrando loro come la tecnologia, coniugata con lo sport, possa creare delle nuove opportunità, delle applicazioni interessanti. Ed è su questa base che ci muoviamo, coinvolgendo in primis le istituzioni del territorio (SUPSI e USI che presentano delle attività finalizzate ad un’applicazione nel campo dello sport) ma anche altre istituzioni, centri di ricerca e aziende che presentano loro attività pertinenti al connubio tra tecnologia e sport».
Un connubio indubbiamente controverso. Se infatti molti sono entusiasti di fronte al sempre più stretto rapporto tra tecnologia e sport, altrettanti lo ritengono una rovina per la pratica nella sua forma più pura. Lei cosa ne pensa?
«La tecnologia entra in tanti modi nello sport. Se interviene sulla persona cambiandone le prestazioni in termini biologici o biochimici, allora sono d’accordo con i critici, in quanto in quel caso si trasforma lo sport da sana competizione in qualcosa di diverso che va contro il suo spirito. Se però vediamo la tecnologia come uno strumento per capire meglio i risultati (pensiamo al fotofinish grazie al quale è possibile capire perfettamente chi è davvero arrivato primo) o per migliorare le prestazioni attraverso la diagnostica (essa permette una distribuzione delle energie ottimale), non ci vedo niente di male: è semplicemente un supporto, molto evoluto, ai sistemi di allenamento».



Qual è il confine che nello sviluppo del rapporto tra tecnologia e sport non va superato?
«A mio avviso una tecnologia che permette di misurare e migliorare le prestazioni, o permette di misurare il confronto tra le prestazioni di atleti diversi, è rispettosa dello spirito sportivo. Una tecnologia che invece va ad alterare il risultato della prestazione in modo non naturale è negativa. Ci sono tuttavia alcune piccole variazioni sul tema che considererei».
Quali?
«Ad esempio gli invalidi che oggi possono fare delle competizioni sportive grazie alla tecnologia. Ecco, in questo caso le cose vanno valutate in modo diverso. Pensiamo a chi non possiede un arto ma che può correre con le protesi o, più banalmente, alle sedie a rotelle (che è una tecnologia applicata allo sport, meccanica e non elettronica, ma sempre di tecnologia si tratta). C’è poi l’esempio di Cybathlon, che sono delle Olimpiadi per disabili in cui la sfida è anche tecnologica. Si tratta di gare in cui persone che hanno tutte la medesima disabilità vengono supportate dalla tecnologia in una sfida che è in egual misura sportiva e tecnologica. Ecco, io credo che in queste discipline – estremamente diverse rispetto agli sport tradizionali – l’uso delle tecnologie sia intelligente. Quello che non va bene, lo ripeto è un loro uso improprio: tipo il ciclista che mette un micromotore sul suo mezzo. Se poi andiamo sulla chimica e nel mondo del doping, lì si va verso degenerazioni gravissime».



Diceva che all’interno di Sportech molte innovazioni presentate sono «made in SUPSI»: segno che la Svizzera italiana è molto attiva in quest’ambito. A che livello?
«Come Dipartimento di tecnologia della SUPSI abbiamo diverse competenze che applichiamo in settori diversi, quindi anche legati allo sport. Le aree principali in cui ci muoviamo sono quelle dell’interazione tra l’uomo, la prestazione e il digitale attraverso l’elettronica e i sensori. Ad esempio abbiamo elaborato dei dispositivi elettromiografici (delle fasce che contengono tanti sensori) attraverso i quali è possibile misurare il campo dielettrico dei muscoli. E quindi capire, all’interno di un singolo muscolo qual è l’intensità dell’attività elettrica e quindi la stimolazione che riceve. E questo permette di avere delle informazioni puntuali che poi possono essere analizzate e usate in tanti campi: da quello medico della riabilitazione ad uno più legato all’agonismo per migliorare le prestazioni. Tornando a parlare di biciclette abbiamo invece sviluppato dei progetti per mettere in sicurezza i ciclisti grazie a giubbotti illuminati. Un altro dei sette atelier che la SUPSI presenterà a Sportech riguarda l’ingegnerizzazione delle sedie a rotelle per gli atleti svizzeri che parteciperanno ai Giochi paraolimpici. In pratica le loro sedie verranno dotate di una tecnologia che permetterà loro di avere informazioni sulle loro prestazioni e come migliorarle. Insomma, facciamo molte cose interessanti, in alcuni casi direttamente collegabili con lo sport, in altri casi meno ma tutti concentrati sullo sviluppo di sempre nuove interazioni tra la tecnologia e uomo».
L’INTERVISTA
ENRICO CARPANI: «SPORT E TECNOLOGIA,
UN MATRIMONIO NATO IN TELEVISIONE»

Tra i partner di Sportech 2019 c’è anche la RSI. Una presenza importante in quanto, come sostiene il responsabile dell’informazione sportiva di Comano Enrico Carpani, prima che in ambito agonistico, il rapporto tra sport e tecnologia, si è sviluppato nel settore radiotelevisivo. «È indubbio. La televisione ha infatti sia sfruttato sia dato grande visibilità allo sforzo tecnologico nello sport: beneficiando di immagini sempre più belle – perché lo sport ha curato sempre di più il suo aspetto estetico – ma nel contempo regalandogli soluzioni straordinarie che hanno inciso molto sul suo sviluppo. Dalle telecamere sospese sui fili o sui caschi dei corridori, a migliaia di altre novità che hanno permesso ad ogni disciplina di crescere. È sufficiente guardare le immagini del grande sport, ai più alti livelli, di vent’anni fa per capire come la tecnologia televisiva ha cambiato lo sport. Tanto da rendere imprese straordinarie – penso alle gare di campioni quali Bernard Russi o da Rolland Collombin – quasi fuori dal tempo, addirittura banali se viste con gli standard televisivi di oggi. Perché oggi la dimensione è completamente diversa, la percezione del gesto è diversa. Ecco la Tv ha fatto grande lo sport approfittando della tecnologia e della magia della diretta».
Questo eccesso di tecnologia nello sport in Tv ha però avuto anche degli effetti negativi. Come spingere gli spettatori a disertare la visione delle gare dal vivo preferendo divano e telecomando...
«È vero, c’è stato anche questo effetto collaterale. Che adesso, fortunatamente, sta un po’ scemando. Però è altrettanto vero che in alcuni casi lo sport in Tv è addirittura – e per certi versi paradossalmente – migliore di quello dal vivo. Lo sci o la Formula 1 sono infatti molto meglio in televisione. Poi è vero che certe cose la Tv le banalizza. Guardando una gara di sci dal vivo, ad esempio, ci si rende conto della difficoltà di certi pendii che invece sullo schermo appaiono abbastanza piatti, semplici. Però, in generale, ritengo che l’appassionato medio di sport non possa che essere felice del fatto che da 30-40 anni a questa parte la tecnologia televisiva si sia sviluppata a braccetto con lo sport. Un cammino iniziatosi con l’introduzione del colore, che è stato esaltato proprio dallo sport. Chi non si ricorda infatti i mondiali di calcio del Messico che per la prima volta ci hanno permesso di vedere che colore avevano le maglie delle varie nazionali? In quel momento la nostra vita è cambiata così come la nostra idea di sport. Che ora è esaltata dal super HD che fa sembrare anacronistico se non addirittura preistorico lo sport di solo 10 anni fa».



Però la tecnologia nello sport ha anche prodotto qualche effetto nefasto. Pensiamo al ciclismo che dalla tecnologia sembra aver ricavato più danni che benefici.
«La tecnologia nel ciclismo ha regalato bellissime cose per quanto riguarda le riprese, come le famose “caméra émbarquee”, le telecamerine poste sulle biciclette che permettono di vedere e di “sentire” addirittura il rumore della pancia del gruppo. Però ha prodotto – e questo è il figlio degenere della tecnologia – anche il doping. Perché se è vero che il doping di cinquant’anni (ancorché moralmente deplorevole tanto quanto quello che è venuto dopo) era, diciamo così, artigianale, quello introdotto dalla tecnologia è stato molto più malefico. Perché non frutto del desiderio dei singoli sportivi che volevano andare un po’ più forte, ma perché studiato, preparato e soprattutto distribuito in modo capillare in laboratorio dai medici. E stato questo è il vero peccato originale dello sport: lo sfruttamento della tecnologia per barare in modo non solo da non essere scoperti, ma anche da farlo sembrare in un qualcosa di naturale. Il doping ematico, in particolare, ha trasformato la cilindrata dei motori dei corridori, ha fatto diventare dei campioni corridori il cui unico merito è stato l’aver utilizzato determinati metodi per primi o per aver osato più di altri in questo campo. Fortunatamente però c’è stato anche un rovescio della medaglia».
Quale?
«La stessa tecnologia che ha favorito il doping è stata fondamentale per combatterlo. Se oggi, infatti, il fenomeno è stato limitato, lo si deve infatti proprio agli sforzi di menti la cui formazione è uguale a quella di coloro che anni fa avevano concepito questa ragnatela terribile di omertà e pericolo».



Ma questa tecnologia sempre più applicata allo sport – sia a livello di riprese sempre più dettagliate sia per quanto riguarda gli aiuti che può fornire nella pratica delle varie discipline – non rischia di privare lo sport della sua magica poesia?
«È una domanda che mi sono posto anch’io più volte. E alla fine la risposta che mi sono dato è no. Perché è vero che qualsiasi marchingegno capace di condizionare la prestazione di un atleta – perché, è inutile negarlo, la tecnologia condiziona – non prescinderà mai dalla stessa perfezione e dalla stessa poesia della prestazione stessa. Perché tutti queste innovazioni, alla fine, sono soltanto degli strumenti. Ai nastri di partenza o al fischio d’inizio, infatti, ci sarà sempre un atleta che, con il suo gesto, dovrà capitalizzare i suggerimenti che la tecnica gli dà. Da questo punto di vista continuo a considerarmi un romantico che crede che quando è pulita, quando è buona, quando è utilizzata bene, la tecnologia non distrugge la poesia dello sport anzi lo aiuta».
Ossia?
«Pensiamo alla finale dei mondiali di calcio del 1966 e a quel gol-non-gol che assegnò la vittoria all’Inghilterra. Ecco oggi questo non succederebbe più. C’è chi dice peccato, chi dice per fortuna. Io mi schiero dalla parte dei secondi. E non mi sento defraudato in nulla nel mio amore per il calcio o nel tennis, quando vedo che c’è l’occhio di falco che dice che la pallina è dentro o fuori di un millimetro o la VAR che decide se un gol è regolare o meno. Ecco da questo punto di vista ritengo che complessivamente lo sport debba essere riconoscente alla tecnologia. E anche noi perché, non dimentichiamo che molte innovazioni tecnologiche testate dallo sport - soprattutto a livello di sicurezza - ce le siamo ritrovate nella vita di tutti noi».
LA RASSEGNA
«VOGLIAMO FAR SCOCCARE NEI RAGAZZI LA SCINTILLA DELL’INTERESSE VERSO LA SCIENZA

Quarantatré laboratori interattivi suddivisi in 10 aree tematiche – biomeccanica, comunicazione, corpo umano, fisica, fisiologia, ingegneria, neuroscienza, riabilitazione, scienze del movimento e scienze dell’allenamento – che offrono l’opportunità di sperimentare numerose applicazioni tecnologiche attraverso prove pratiche legate a diverse discipline sportive. Tutto questo e altro nell’edizione 2019 di Sportech che aprirà i suoi battenti martedì al Centro sportivo nazionale di Tenero sia per le scuole di ogni ordine e grado sia – e questa è una primizia – per il pubblico. «In questa edizione abbiamo intenzione di coprire tutti gli ambiti tematici del rapporto tra tecnologia e sport», spiega Alan Matasci, presidente del Comitato d’organizzazione di Sportech. «E di farlo cercando di non focalizzare l’attenzione unicamente sulla pratica agonistica, ma allargando il più possibile il discorso all’attività sportiva in generale, al corpo umano e ai suoi sensi rapportati al movimento.

Il tutto con un intento primario: far vedere che la scienza non è qualcosa di astratto. Che la matematica non è una lavagna piena di calcoli difficili ma che serve anche a migliorare la prestazione di chi va in bicicletta. A Sportech vogliamo insomma demistificare certe materie che sembrano asciutte, inutili dal lato pratico, mentre invece possono avere moltissime applicazioni pratiche. E lo sport è un campo in cui questa visione un po’ diversa delle cose è più facile e anche divertente, pure in settori apparentemente più ostici, soprattutto se presentati in un contesto dinamico e interattivo». Già, perché una delle caratteristiche di Sportech è l’essere una rassegna poco teorica e molto pratica. «È una lezione che abbiamo imparato durante le precedenti edizioni», continua Matasci. «Agli inizi, infatti, avevamo espositori molto teorici che si presentavano con tanti powerpoint e altrettante parole. Presentazioni che sono state drasticamente bocciate dai feedback dei ragazzi dai quali è emerso in modo inequivocabile che i laboratori devono essere sperimentali, interattivi. Più i ragazzi sono attivati e coinvolti, più il messaggio passa. E questo un insegnamento che abbiamo raccolto, cercando nel contempo di offrire proposte sempre diverse ed evolute». Proposte che, in molti casi, sono frutto di ricerche svoltesi nella Svizzera italiana: dai laboratori attraverso i quali ottimizzare le prestazioni sportive d’alto livello, a quello che presenta nuovi sistemi elettronici per ottimizzare l’allenamento di atleti paraolimpici; dal sistema kPass di misurazione della partenza ed il suo utilizzo nel nuoto agonistico a speciali ed innovativi braccialetti in grado di rilevare pressione sanguigna, temperatura e proprietà elettroconduttive della pelle che permettono una ottimale programmazione e gestione degli allenamenti. Innumerevoli prodigi della tecnologia applicata allo sport. «Ma non solo», puntualizza Matasci.



«A Sportech ci saranno infatti anche numerose proposte che puntano lo sguardo sull’innovazione applicata ad ambiti che vanno oltre il mondo dello sport. Ci sarà infatti la possibilità di scoprire in prima persona cosa c’è dietro una produzione televisiva di oggi. Si potrà andare – con giochi ed esperimenti pratici – alle origini del suono e della musica; si potranno sperimentare intuitivi ed innovativi linguaggi di programmazione per robot ma anche far capire attraverso varie attività ludiche il funzionamento del nostro cervello». Il tutto, conclude Alan Matasci, nella speranza di «far scoccare nei ragazzi la scintilla nei confronti delle discipline scientifiche. Questa infatti è la nostra missione principale, ma anche di attirare un pubblico diverso: quello delle famiglie, di chi pur non praticandolo intende approfondire le proprie conoscenze dell’universo sportivo, ma anche di tutti i praticanti e gli allenatori di ogni disciplina che, sicuramente, all’interno di Sportech riusciranno a trovare spunti o suggerimenti davvero interessanti».