Il ritratto

Stan Wawrinka, oltre le sconfitte

Eliminato prematuramente a Basilea, il 38.enne vodese è uno dei più grandi tennisti della storia - Ecco perché
© KEYSTONE/GEORGIOS KEFALAS
Paolo Galli
25.10.2023 22:01

Stan Wawrinka ha vinto tre tornei dello Slam. Massì, non scherzo. Sono serio, te lo garantisco. Controlla su Wikipedia. Che poi di lui dicevano fosse tracagnotto. Lo canzonavano per quei pantaloncini a scacchi. Aveva un rovescio pazzesco, a una mano. Roba da rimanere lì incantati. Se vai su qualche social, troverai le immagini. Il dito puntato alla tempia. Le massime, che poi erano minime eh, sull’andare avanti anche oltre le sconfitte, sul sapersi rialzare. Stan Wawrinka è stato uno dei più grandi tennisti di tutti i tempi. Punto.

Lo sport spesso, nella lettura a posteriori, è una questione di impronte, non soltanto di vittorie. C’è chi sta a contare i successi di Novak Djokovic, e li paragona a quelli di Rafa Nadal e Roger Federer. Che di fronte a queste classifiche ti torna in testa quella scena dell’Attimo fuggente. Il professor Keating che definisce «escrementi» le teorie di J. Evans Prichard per catalogare la letteratura. «Gagliardo Byron, è al quinto posto, ma è poco ballabile». Certo, la letteratura non è una competizione, il tennis lo è. Il tennis è tennis, è sport, proprio perché c’è chi vince e c’è chi perde. E perché per arrivare sin lì, al risultato, c’è tutto un percorso in mezzo. C’è un come. C’è una sfida fatta di gesti tecnici e di psicologia. È corpo ed è testa. E allenamento, tutto un iter che parte da dove nasci e come cresci e chi ti segue e che cosa mangi e poi e poi e poi. C’è tutta la vita in mezzo, chi sei e come vivi. Ecco allora che i risultati rappresentano la lettura più basica ma anche più democratica per leggere uno sport. E poi però c’è dell’altro, si può andare oltre. Un po’ la differenziazione delle epoche, il noioso refrain dell’«impossibile paragonare tennisti di epoche diverse». Un po’ il carisma, ma anche lo stile, dei singoli giocatori. Giocatori, persone. Appunto, corpi e teste in movimento e in competizione. Stan Wawrinka ha vinto tre tornei maggiori e altri tredici titoli, una Coppa Davis, un oro olimpico in doppio, è stato terzo al mondo. Secondo una lettura sommaria, quella che avrebbe suggerito un J. Evans Prichard del tennis, dovremmo classificare Wawrinka perlomeno nella top 30 di tutti i tempi - anche al netto degli ultimi anni in calando, ben rappresentati dalla recente prematura eliminazione a Basilea -, alla pari di Andy Murray, o appena sotto. Entrambi sono stati contemporanei rispetto a Djokovic, Nadal e Federer, «quei tre». Eppure hanno vinto tre titoli del Grande Slam ciascuno. Roba che effettivamente facciamo fatica a crederci. E difficilmente sarà qualcosa che ricorderemo. Non verrà, insomma, mai sottolineato abbastanza. Lo sport mente anche attraverso i risultati positivi, a volte. Per questo è pericoloso affidarsi a quelli soltanto.

La reale statura

Chi si affida solo alle classifiche, non avrà dubbi nel definire Novak Djokovic il più grande di tutti i tempi. È il più vincente, questo sì. E nessuno potrebbe mai azzardarsi a dire il contrario, magari avanzando dubbi su avversari, condizioni, modi, storie, strade, personaggi, forme di allenamento. Nessuno, sin qui, ha vinto quanto lui. E difficilmente potrà essere eguagliato. O chissà quando. Il numero delle sue vittorie è un’impresa numerica e qualitativa difficilmente replicabile. È vero pure che le emozioni regalate da Federer lo sono altrettanto: difficilmente replicabili. E infatti Federer è Federer. Nessuno lo potrebbe mai presentare come «Roger Federer, il terzo più grande tennista di tutti i tempi». Per molti è il più grande, per altri - pochi, vabbe’ - no, e il tutto diventa una questione soggettiva, emotiva. A quel punto però la grandezza assume i caratteri di un sondaggio popolare. Ed è proprio qui che Stan Wawrinka non gode del riconoscimento che merita. Ma che merita al di là dei numeri e dei titoli, sia chiaro. E se non per tutti, perlomeno per noi, che lo abbiamo visto crescere da vicino. Ma anche qui, nel suo Paese, non gli viene riconosciuta la reale statura. Una statura che gli dovremmo riconoscere, in primis, nel confronto con chi ha vissuto la sua epoca, con Nole, Rafa e Roger. Stan ha saputo dare fastidio a tutti loro. Più a Djokovic che agli altri. Ha vinto quando nessuno credeva in lui. Ha fatto arrabbiare Federer - e ha litigato con la moglie Mirka - e pochi giorni dopo, assieme, hanno conquistato la Davis. E lui lì, a Lilla, è stato il trascinatore della coppia, della squadra (sempre che di squadre si possa parlare, nel tennis). L’uomo forte. L’equilibratore. Lui e il suo petto robusto, gli sponsor tecnici minori, quel modo di guardarsi attorno durante le partite che ha solo lui.

L’uomo e basta

Ma la statura di Wawrinka va ricercata anche nel come. È qui che troviamo le tracce della sua piena realizzazione, che va al di là del talento, della sua solidità fisica. Stan è un tennista diverso da tutti gli altri, perché ha uno stile che è solo suo, con quella racchetta pesante di dritto e affilata di rovescio. Occupa il campo con tutto il corpo. E negli anni migliori sapeva focalizzarsi sugli avversari con una concentrazione rara, feroce. Al punto che, a un certo momento della sua carriera, per rimanere su quel focus è arrivato a mandare all’aria la sua vita privata. «Stan the Man». L’uomo. Non l’uomo di famiglia, alla Federer. Non l’uomo azienda, alla Federer. L’uomo e basta, singolo, individuo e individualista, senza ipocrisie. Con il braccione, la faccia un po’ così. Più bello sul campo che non sul piano prettamente estetico, forse. Ma sul campo a tratti è stato bellissimo. Persino troppo. Lo stesso Magnus Norman, l’allenatore con cui ha spiccato il salto decisivo, gli riconosceva un tennis sin troppo raffinato, ma poco pragmatico. Wawrinka ha saputo lavorare anche su questo, su un limite che sembrava dovesse rimanere tale per tutta la sua carriera.

Questione di distanze

Wawrinka ha saputo trascinarsi oltre i propri difetti. E lo ha fatto nel miglior momento del tennis mondiale. E allora, se Federer è il campione che ammiriamo da lontano, con la stessa distanza che si mantiene rispetto agli dei, Wawrinka è il campione del popolo. Mah, possiamo fare meglio. Campione del popolo? Non merita neppure la retorica, Stan. Tutto il contrario. Stan Wawrinka è un campione reale, più avvicinabile di altri, certo, ha difetti e pause, picchi e abissi. Lo immaginiamo comune, in qualche modo, anche se di comune non ha proprio nulla. È un fuoriclasse vero, anche oggi, che perde più di quanto non vinca. E a chi non ne riconoscerà la grandezza, basterà rispondere: «Escrementi».