Svizzera

Stop alle adozioni internazionali, «il Governo faccia dietrofront»

La Commissione degli affari giuridici del Consiglio nazionale ha deciso di fare propria la mozione inoltrata dal deputato ticinese Simone Gianini (PLR) che chiede al Consiglio federale di rivedere la propria decisione: «Un segnale forte e chiaro all’indirizzo dell’Esecutivo»
© NadyaEugene
Martina Salvini
11.04.2025 17:20

«Il Consiglio federale deve fare marcia indietro sul divieto di adozioni internazionali». A chiederlo era una mozione proposta alla Commissione degli affari giuridici del Nazionale (CAG-N) dal consigliere nazionale Simone Gianini per il Partito liberale radicale. Proposta che oggi è stata fatta propria - con 19 voti contro 6 - dalla medesima Commissione (di cui Gianini fa parte), diventando una «mozione commissionale». E in quanto tale, spiega Gianini, da noi raggiunto, «potrà essere trattata più velocemente, nonché, vista l’ampia condivisione, con maggiore solidità in Parlamento».

Tre, in sostanza, le richieste avanzate dall’atto parlamentare all’indirizzo del Consiglio federale. In primis, quella di «rivedere senza indugio la sua decisione di principio volta a vietare le adozioni internazionali». In secondo luogo, di «adoperarsi affinché sia istituito un quadro giuridico che permetta anche in futuro le adozioni internazionali in Svizzera». E infine, si chiede all’Esecutivo di «rafforzare i meccanismi di controllo e la trasparenza delle procedure per garantire l’etica delle adozioni internazionali».

«Non è la via da percorrere»

Come detto, la mozione è stata accolta a larga maggioranza dai membri della Commissione, e ciò, ci dice il deputato ticinese, rappresenta «un segnale forte e chiaro» nei confronti del Consiglio federale: «Da un lato, significa che la maggioranza della Commissione non vede il divieto delle adozioni come una via da percorrere. Questo, anche perché, se il sistema presenta ancora oggi dei rischi d’illegalità, la soluzione dev’essere quella di migliorarlo dall’interno, non di uscirne». Il fatto poi che la proposta sia stata accolta come «mozione di commissione» assume un valore importante, perché «avrà una via preferenziale nell'iter parlamentare». Insomma, sarà trattata in maniera più celere dalle Camere, al Nazionale forse già in occasione della prossima sessione estiva. «Il vantaggio è poi di aver già anticipato la discussione, esprimendo le criticità direttamente al consigliere federale Beat Jans, presente alla seduta commissionale».

Dopo l’annuncio del Consiglio federale, lo scorso gennaio, di vietare in futuro le adozioni internazionali in Svizzera, il Dipartimento federale di giustizia e polizia si stava ora occupando di allestire un progetto di legge da mettere in consultazione verso la fine del 2026. «Proprio a fronte della contrarietà manifestata da più parti - dice Gianini - il Dipartimento non potrà però andare avanti come se nulla fosse e, anzi, in Commissione il consigliere federale ha comunicato che sarebbe allora stata elaborata anche la variante della revisione del sistema, mantenendo la possibilità dell’adozione».

Malgrado questo risultato, in parte già positivo - continua il nostro interlocutore - «la maggioranza dei commissari ha ritenuto di portare comunque avanti la mozione. Da un lato, perché è giusto che il Parlamento possa esprimersi su una decisione così delicata che ha gettato nel dubbio i figli già adottati, un’ombra sui loro genitori adottivi e nell’incertezza quelli che si accingono ad affrontare la lunga procedura di adozione. E, dall’altro, per controbilanciare la comunicazione fatta in gennaio dal Consiglio federale che voleva invece andare esclusivamente nella direzione del divieto».

Ora la palla passerà al plenum del Consiglio nazionale. E Gianini si dice fiducioso. «Le possibilità che la Camera bassa accolga la mozione sono buone, anche perché in Commissione la proposta è stata sostenuta trasversalmente. Certo, la strada è ancora lunga, ma perlomeno la discussione si è ora già aperta a più scenari, senza che sul tavolo vi sia invece il divieto assoluto di adottare dall’estero». Le procedure di adozione, evidenzia, «devono certamente essere regolari, etiche e trasparenti e i casi di illegalità, come quelli avvenuti tra gli anni Settanta e Novanta, vanno senz’altro combattuti. Ma proibire del tutto le adozioni internazionali in Svizzera sarebbe sbagliato, sproporzionato e anche controproducente».

«Un passo significativo»

Anche il Centro, in una nota, parla di «un passo significativo, che di fatto invita il Consiglio federale a voler rivalutare quanto deciso». Il partito, viene ricordato, «si era allora fatto promotore di una risoluzione generale contro il divieto delle adozioni internazionali all’attenzione del Gran Consiglio». Per il consigliere nazionale Giorgio Fonio, quella di oggi è dunque «una prima tappa fondamentale che mi auguro possa condurre al definitivo stop di questo infelice progetto di legge». Un «primo risultato raggiunto grazie in particolare alle tante famiglie adottive anche ticinesi che hanno manifestato la loro contrarietà, contribuendo in questo modo a sensibilizzare cittadini e politica su questa importante tematica».

Il sollievo delle famiglie

Proprio le famiglie, in Ticino, avevano deciso di costituire un’associazione, denominata Gruppo adozione e famiglie Svizzera (GAFS), per portare con forza a Berna un segnale di dissenso. «Il fatto che la Commissione abbia accolto la mozione che chiede al Governo di rivedere la propria decisione non può che riempirci di gioia, perché i bambini in stato di bisogno possono ancora sperare di trovare una propria famiglia e diventare gli adulti di domani anche in Svizzera», commenta la presidente di GAFS Tristana Martinetti. «Per noi è un grande sollievo sapere che la politica in modo trasversale e in tutti i cantoni, in particolare in Ticino, ha ascoltato la nostra voce di fronte a una decisione che riteniamo scellerata e priva di qualunque motivazione valida». L’associazione punta il dito anche contro la modalità comunicativa utilizzata dal Consiglio federale: «Non si è trattato di una scelta condivisa. Non era neppure nell’aria ed è arrivata come un fulmine a ciel sereno. Per di più, è stata comunicata alla popolazione in modo violento, per nulla consono alla nostra democrazia». Oltretutto, prosegue Martinetti, la decisione «si basa su dati vecchi, non tenendo conto degli ultimi 25 anni. Un periodo lungo, nel quale il diritto e la società sono molto cambiati. Nessuno ha mai messo in discussione i risultati del gruppo di esperti, né il fatto che in passato ci siano stati abusi. Ma il divieto, così come proposto, non tutela affatto il minore in stato di bisogno, e per noi non è accettabile».