Storia del lupo, l’alter ego simbolico dell’uomo

Per raccontare la storia del lupo bisogna partire dalle parole. Le nostre parole, che contano sempre e tendono ad avere ripercussioni sui fatti. «In bocca al lupo», si diceva una volta. E si dice ancora. Quando si augura fortuna si invocano le fauci dell’animale simbolo della paura. Lo stesso che abbiamo imparato a conoscere sin da bambini, leggendo le fiabe o guardando i cartoni. Un animale dal quale, tuttavia, possiamo salvarci. Con una replica secca, immediata, apotropaica: «Crepi». E, sottinteso, con la nostra intelligenza di umani.
Le parole, però, cambiano. Perché cambiano i pensieri. E i modi di esprimerli.
«In bocca al lupo» è rimasto. Ma la risposta è diversa. Sempre più spesso, soprattutto tra i ragazzi, si preferisce augurare lunga vita all’animale. Si inneggia a esso, persino: «Viva il lupo». Perché uccidere è sbagliato. In ogni circostanza. E lo sappiamo.
Ha scritto il filosofo catanese Leonardo Caffo: «In duemila anni di filosofia antropocentrica, messa oggi in crisi da ecologie, femminismi, animalità in senso nobile, è il momento di ripensare il rapporto etico con l’animale in cui l’abuso della vita non deve avvenire se non in caso di estrema necessità. Bisogna riguardare e ripensare la realtà con occhi diversi. Non si tratta di un’operazione semplice che avviene su un piccolo àmbito, ma deve essere un ripensamento totale».
Vero, ma non scontato. Di fronte al lupo, ad esempio, la “fragile umanità” di Caffo, per riprendere il titolo del suo libro forse più noto, fatica talvolta a cambiare la propria visione del mondo. Anche nel nuovo secolo, infatti, il lupo continua a essere una creatura controversa. Suscita reazioni opposte. Non si libera del peso di un’immagine tutta «culturale». Perché, oltre a essere un animale con le sue abitudini di vita, il lupo è soprattutto un simbolo. «La proiezione umana di istanze emotive» radicate in millenni di storia.

Una triplice lettura
Antropologi ed etologi concordano nel dire che quella del lupo è una «triplice storia».
Innanzitutto, è una storia ecologica, poiché il lupo ha avuto per secoli una funzione centrale nel mantenimento degli ecosistemi boschivi, in particolare nell’Europa continentale. Poi, come detto, è una storia culturale: gli uomini hanno creato un vastissimo immaginario del lupo che con l’animale in sé ha poco a che vedere.
Ma è anche una storia antropologico-sociale, che si radica nelle relazioni fra l’uomo e l’ambiente in cui vive.
Se attraversa il tempo molto più di altri animali feroci, ciò si deve probabilmente al fatto che il lupo è una sorta di alter ego dell’uomo. Come l’uomo, infatti, costruisce una società in cui vivere, il branco, che si fonda sulla famiglia, formata da due capostipiti - il maschio e la femmina alfa, i quali rimangono fedeli per la vita e sono i soli nel gruppo a poter riprodursi - e dai cuccioli, di norma 3 o 4, che nascono ogni primavera. Con la stessa crudeltà degli uomini, il lupo è capace di emarginare alcuni individui bandendoli e costringendoli a vivere isolati (il “lupo solitario”, già, proprio lui). Il lupo si muove, migra. Ragiona e impara: è intelligente e tenace. E soprattutto, è un predatore, che controlla il territorio così come fanno gli uomini.
L’uomo a rovescio
Somiglianze e differenze. Il lupo è anche l’opposto dell’uomo, quasi un “uomo a rovescio”. Il suo tempo è la notte, così come il nostro è il giorno. Si muove nei boschi e negli spazi incolti, mentre il mondo dei sapiens è ordinato, razionale. E il suo destino «è sempre stato essere una creatura troppo maestosa e possente perché l’uomo potesse ignorarla».
La trasfigurazione
Sono due le strade lungo le quali, a partire dal Basso Medioevo, la figura del lupo è stata trasfigurata, sino a diventare l’emblema del male. La prima attraversa il processo di cristianizzazione dell’Europa. La nascita del lupo cattivo è infatti tutta interna alla cultura cristiana diffusa dai monaci e dagli autori ecclesiastici, i quali riprendono le metafore del Nuovo Testamento legate alla vita pastorale, l’unico ambito in cui un lupo possa davvero fare paura. Matteo dedica ben due passi all’animale: il primo, il più celebre, è quello che identifica i lupi con i falsi profeti, che in seguito, da sant’Ambrogio in poi, saranno con sempre maggiore chiarezza accostati agli eretici: «Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci» (Matteo, 7,15); il secondo, ha come protagonista Gesù, che invita gli apostoli a predicare la sua parola fra i pagani, preannunciando loro le persecuzioni in nome della fede: «Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi» (Matteo, 10,16). «Lupo, diavolo o eretici»: così Eucherio, vescovo di Lione contemporaneo di Sant’Agostino, sintetizza nel suo “Formulario” l’ambivalenza simbolica all’interno della quale è costretto a muoversi senza via di scampo il lupo nel Medioevo.
La seconda strada porta sino ai giorni nostri. È la strada percorsa soprattutto dalle civiltà contadine. Il lupo è sempre stato un pericolo per le comunità che fondano la propria esistenza sull’allevamento.
Negli ultimi anni colonie di lupi, diventati nel frattempo animali protetti perché in via d’estinzione, hanno cominciato a ripopolare i territori dell’Europa centrale e mediterranea. Un ritorno accolto con favore dagli ecologisti ma osteggiato, talvolta con forza, dalle comunità rurali. Allevatori, cacciatori, proprietari di aree forestali continuano a considerare il lupo un “nemico” e si battono per il suo contenimento, ritenendo legittimo uccidere questi animali selvatici che interferiscono con le attività umane. Ovvio che i due schieramenti non riescano a dialogare.
Come ha scritto Garry Marvin, se per alcuni è tuttora un fattore di crisi e un simbolo negativo, per altri, «oggi, il lupo è una creatura avvolta da un’aura carismatica in grado di entusiasmare e di suscitare una sorta di devozione. Ha ormai acquisito il peso culturale di personificazione della wilderness, indispensabile antidoto fisico e spirituale alla moderna civiltà materiale e simbolo del rigoglio della natura selvaggia». Un contrappasso di dantesca memoria. «Come nel caso della rielaborazione dell’immagine del lupo in letteratura, la costruzione culturale di un lupo carismatico e investito di un significato spirituale è conseguenza della demonizzazione subita in passato, così come la volontà di proteggerlo è un modo per riscattarne la persecuzione: una forma di risarcimento nei confronti della specie e della stessa natura incontaminata».
Bibliografia breve tra etologi e filosofi
Oltre al classico libro di Konrad Lorenz, «E l’uomo incontro il cane», Adelphi (1973), segnaliamo: Mark Rowlands, «Il lupo e il filosofo. Lezioni di vita dalla natura selvaggia», Mondadori (2009); Leonardo Caffo, «Fragile umanità. Il postumano contemporaneo», «Einaudi (2017); Riccardo Rao, «Il tempo dei lupi. Storia e luoghi di un animale favoloso», Utet (2018); Chandra Candiani, «Questo immenso non sapere», Einaudi (2021); molto utile, infine, Garry Marvin, «Il lupo», Mimesis (2021).
