Storia di una circonvallazione dimenticata

L’uomo, un politico appassionato di politica, entra nel nostro ufficio con un malloppo che a sensazione pesa più di tre chili. Pum. Lo lascia cadere sul tavolo. «Ecco, qui c’è tutta la storia della circonvallazione». Planimetrie, vecchi articoli di giornale, svariati documenti pubblici ormai tendenti al giallognolo, lettere inviate e ricevute, appunti presi a mano con nomi, numeri di telefono e qualche scarabocchio. Dalla risma spicca un fascicolo: «Elementi per un progetto alternativo. Tita Carloni, Edy Quaglia. 31 maggio 1999». Carloni ci ha lasciati nel novembre del 2012 all’età di ottantun anni. L’architetto Quaglia, classe 1944, è ancora nel suo studio a immaginare spazi e geometrie. Ci risponde con un sorriso, quando gli chiediamo di quel vecchio progetto sulla Agno-Bioggio. «Mai ricevuto una risposta».
L’input di Muzzano
Formalmente, le autorità di allora non erano tenute a dare un riscontro, dato che quella visione aveva avuto una genesi particolare. «Era legata alla contrarietà di Muzzano a uno dei primi percorsi immaginati per la circonvallazione che, cercando di seguire il tracciato dell’autostrada, diventava molto invasivo per la zona dei Mulini. Il Comune però, volendo fare un’opposizione costruttiva, chiese a me e Tita di studiare uno scenario diverso, e così facemmo». L’obiettivo era dare un contributo alla ricerca della soluzione migliore, non creare «una contrapposizione rispetto al lavoro effettuato prima di noi dagli altri tecnici e specialisti che si sono chinati sul problema», come scrissero a suo tempo i due architetti immaginando già gli scogli politici che avrebbero incontrato. Sul tavolo del Cantone, infatti, c’erano due varianti ufficiali, la «alfa» e la «beta». Sarebbero diventate anch’esse materiale d’archivio.
Una terra piena d’acqua
Senza la pretesa di avanzare soluzioni praticabili oggi, dopo che il Dipartimento del territorio, per una questione di costi, ha rinunciato a realizzare il tratto interrato tra il Vallone e l’aeroporto, vediamo cosa proponevano Quaglia e Carloni. «La prima cosa che facemmo, pensando da architetti, fu quella di esaminare il luogo, includendo nella nostra riflessione altri elementi importanti come il fiume Vedeggio, che aveva bisogno di una sistemazione idrica, l’aeroporto, di cui si discuteva il potenziamento, e la zona di Agno più vicina al lago, il cui pregio naturalistico andava preservato». La ricerca portò i due architetti a ricostruire la storia di quella zona, che un tempo era un acquitrino attraversabile solo in due punti: un passaggio, il più antico, era quello fra la Crespera e Bioggio, mentre l’altro, creato nell’Ottocento, era la discesa dalla Piodella. «Tra le varie cose trovammo la lettera divertente di un signore che raccontava di potersi spostare fra Neggio e Lugano attraversando solo sue proprietà».
Così è stato
La presenza di molta acqua nel sottosuolo fu citata più volte da Quaglia e Carloni. «Ogni scavo sotto il piano di campagna – scrivevano – diviene subito uno scavo d’acqua, con tutte le conseguenze che ciò comporta». E ancora: «Scavare in questa zona è un’operazione delicata e costosa. Delicata perché si turba fortemente la falda acquifera, costosa perché bisognerà operare sotto il vecchio Vedeggio, superare un dislivello di una dozzina di metri per raggiungere dal sottosuolo la strada cantonale in direzione di Magliaso e predisporre quindi strutture importanti per affrontare questi ostacoli». È stata proprio questa discesa sottoterra l’elemento «killer» del progetto attuale, che prevedeva un tunnel già dall’aeroporto. O meglio: è lungo quel tratto che si è materializzato il raddoppio dei costi rispetto alle stime del progetto di massima. Per rimanere il più possibile in superficie, i due architetti avevano immaginato un «viadotto leggero» tra la zona Bolette e il vecchio Vedeggio che «garantirebbe la continuità spaziale e pedonale tra Agno e la riva del lago». «I due inconvenienti principali – riconoscevano – potrebbero essere il rumore il direzione di Agno e un certo ingombro visivo, ma riteniamo che questa soluzione, più economica di quella nel sottosuolo e molto più rispettosa dei caratteri naturali del luogo, non dovrebbe essere scartata a priori».
Nel ricordo di un collega
Per il tratto verso Bioggio invece, volendo valorizzare il fiume, Quaglia e Carloni immaginavano una strada a due corsie: una sul lato sinistro e una su quello destro del corso d’acqua, che sarebbe stato rialzato e impreziosito da percorsi dedicati a pedoni e ciclisti. «L’unico limite era una rotonda ovale per congiungere le due strade – spiega oggi Quaglia – e ricordo che qualcuno, per quello, disse del nostro progetto: ‘al var nagòt’. Nüm l’em fai, ci dicemmo noi. Volevamo essere propositivi, senza pestare i piedi a nessuno, ma la proposta fu totalmente ignorata. Qualche anno più tardi ne consegnai una copia anche a Zali... ma fa niente, come architetto sono abituato all’idea che un progetto possa finire nel dimenticatoio. Mi fa piacere che se ne riparli, per la memoria del Tita».