Strage di Erba, parla Romano: «Noi incastrati perché non troppo svegli»
Era l'11 dicembre 2006. Quella sera, in un condominio di Erba, vennero uccise quattro persone: Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, la nonna Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini. Youssef aveva solo 2 anni. Una strage che colpì per l'efferatezza l'opinione pubblica e che venne trattata con grande attenzione dai media italiani. Un processo mediatico che inizialmente presentò come principale sospettato il marito di Raffella Castagna, nonché padre di Youssef, un uomo tunisino rivelatosi poi innocente. Furono invece indagati e condannati in via definitiva all’ergastolo Olindo Romano e la moglie Rosa Bazzi, i vicini di casa delle vittime. Anche di loro si disse molto, tra clima di odio e banali liti condominiali sfociate in un massacro, oltre a un rapporto morboso tra i due. Sono trascorsi 16 anni e Olindo Romano ha deciso di parlare. Lo ha fatto con l'Adnkronos: «Forse è arrivato il momento di fare un po' di chiarezza», ha detto.
Nonostante la condanna in via definita e nonostante la Cassazione abbia ritenuto, due anni fa, che non ci fossero elementi per la richiesta di nuove analisi, la difesa pensa a una nuova richiesta di revisione del processo. Alla luce di «nuove prove e un testimone chiave». È lo stesso Olindo Romano a tirare in ballo una presunta «pista dello spaccio di droga»: «L'avvocato è sempre stato convinto della mia innocenza e di quella di Rosa e non è più l'unico, grazie a Dio, a credere che io e mia moglie non abbiamo commesso la strage di Erba. Non so perché non sia stata approfondita la pista dello spaccio di droga, continuo a pensare che sia stato più semplice incastrare due persone come noi. Non sveglissime e inconsapevoli di quello che ci stava piombando addosso». In realtà, la procura di Como e gli investigatori svolsero le indagini su più piste, basti ricordare che in un primo momento la persona ricercata fu Azouz Marzouk, nativo di Zaghouan (Tunisia), marito di Raffaella Castagna e padre di Youssef. Marzouk, poi rivelatosi totalmente estraneo alla vicenda. Al momento dei fatti l'uomo si trovava in Tunisia in visita ai genitori: gli inquirenti confermarono il suo alibi e iniziarono a sospettare di un regolamento di conti compiuto contro di lui (la stampa riferì dei suoi precedenti penali per spaccio di droga). Contro Olindo Romano e Rosa Bazzi, lo ricordiamo, c’è stata anche la testimonianza in aula dell’unico sopravvissuto alla mattanza: Mario Frigerio, marito di Valeria Cherubini, poi morto nel 2014.
Per Romano, ex netturbino 60.enne, le accuse contro di lui e la moglie non hanno fondamento. «Mi capita di ripensare a quei giorni e a come ci hanno abbindolato e preso in giro - ha detto ancora all'Adnkronos -. Tutto è assurdo e continua a essere irreale. Io le liti dalla casa di Raffaella e Azouz le ricordo bene, litigavano spesso, ma non per questo abbiamo pensato di fare una strage. E, in effetti, non c'entriamo nulla. Chi è stato? Non lo so, diversamente lo avrei già detto ai miei avvocati, ma di certo una strage simile può farla solo chi è abituato a fare quelle cose, non penso sia facile improvvisare un fatto del genere così efferato». Nelle motivazioni di condanna all’ergastolo, è bene precisarlo, si parla di «prove inconfutabili», una «testimonianza solida» (quella, appunto, di Mario Frigerio, colpito con un fendente alla gola e creduto morto dagli assalitori, che riuscì a salvarsi grazie a una malformazione congenita alla carotide) e «nessun tipo di coercizione». Secondo i giudici, Romano e Bazzi agirono in base a «un meccanismo reattivo generato da sentimento di odio, grettezza e individualismo covati per lungo tempo».
Anche dell'unico sopravvissuto alla strage ha parlato Romano, recluso nel carcere milanese di Opera: «Frigerio è stato utilizzato come noi. Ripenso a quell'uomo, quando lo incontravo. Era una brava persona, per questo credo che abbiano manipolato i suoi ricordi per farlo testimoniare contro di noi. Io lo considero una vittima come noi». A tal riguardo la Cassazione, che il 3 maggio 2011 ha rigettato i ricorsi, aveva scritto: «Ha spiegato le sue difficoltà non tanto nel fare affiorare il ricordo momentaneamente offuscato a causa del trauma, quanto alla sua difficoltà di credere che a inveire su di lui fosse stato il Romano, suo vicino di casa che riteneva persona per bene».
Tant'è. Sono trascorsi 16 anni. Rosa Bazzi sconta la pena nel carcere di Bollate, Olindo Romano in quello di Opera. I due sono autorizzati a incontrarsi una volta al mese. «Due giorni prima di Natale sono andato a colloquio da lei a Bollate e sono contento. Mi tiene a galla il pensiero che prima o poi, spero prima che poi, si possa accertare che non abbiamo commesso noi la strage di Erba».