Suez, costi di trasporto raddoppiati e rischi operativi anche in Ticino
«Da subito abbiamo riscontrato un forte aumento dei costi di trasporto». Come tante realtà ticinesi anche la Noyfil di Stabio, azienda attiva nella produzione di filo tessile, da circa tre settimane deve fare i conti con le ripercussioni legate agli attacchi yemeniti nel Mar Rosso. Attacchi che hanno quasi azzerato i passaggi delle navi attraverso il canale di Suez e obbligato le compagnie navali a circumnavigare l’Africa. «Per il rincaro non c’è una regola generale», spiega il direttore dello stabilimento di Stabio Alberto Giana: «Dipende molto da come le compagnie gestiscono le navi, dal porto di provenienza e dalla presenza o meno di container vuoti. Il costo del trasporto, comunque, in queste settimane è raddoppiato, in alcuni casi quintuplicato».
Magazzino e produzione
Un aumento che necessariamente incide sui costi di produzione, tenuto conto che la materia prima - nel caso della Noyfil, il granulato plastico - viene importata dall’Asia. «La prima conseguenza diretta è che la materia prima costa di più e quindi i margini di profitto si riducono», spiega Giana. In secondo luogo, le tempistiche di consegna subiscono un rallentamento». Per le aziende non rimane che correre ai ripari «muovendo le merci in quantità e tempi diversi rispetto alla norma». Detto altrimenti, lo stock di materia prima in magazzino va aumentato con acquisti più frequenti o in quantità maggiore, pena il rischio di dover fermare la produzione.
Una minaccia oggi ancora minima ma che, guardando al futuro prossimo, solleva più di un interrogativo. «Il canale di Suez rappresenta il 12% del commercio globale e il 30% del traffico di container», ricorda infatti il direttore di AITI, Stefano Modenini: «È dunque evidente che la situazione attuale in quell’area ha grosse ripercussioni anche sulle imprese operative in Ticino». Secondo Modenini, il fatto di tagliare sostanzialmente fuori il Mediterraneo dalle rotte del commercio internazionale non può essere sopportato a lungo. «A fronte di prezzi dei container che sono schizzati verso l’alto, il rallentamento delle forniture crea conseguenze negative sulla catena logistica e produttiva». Il rischio di una frenata improvvisa del settore industriale nell’ambito di un rallentamento congiunturale avrebbe conseguenze pesanti, osserva ancora Modenini: «Diverse aziende hanno chiesto chiarimenti e il tema verrà affrontato nelle prossime settimane».
Capacità ridotte
A fornirci una mappatura precisa è anche Angelo Betto, CEO di Cippà Trasporti, azienda con sede principale a Chiasso attiva nel settore delle spedizioni. Betto non nasconde le difficoltà avute sull’immediato in quella che senza troppi giri di parole definisce una crisi. «Inizialmente è stato difficile capire l’entità dell’emergenza. Dall’oggi al domani, le compagnie hanno comunicato un aumento medio dei costi di spedizione di circa il 60%. Tranne rari casi, quasi tutte le imprese navali ormai hanno rinunciato a passare dal canale di Suez considerato come troppo rischioso».
Ma è soprattutto guardando al futuro che Betto intravede i rischi maggiori. L’aumento dei tempi di percorrenza e di consegna delle merci a causa della necessità di circumnavigare il Capo di Buona Speranza, stimato in circa due settimane aggiuntive, riduce necessariamente il ciclo di rotazione delle navi. «A questo rallentamento straordinario dobbiamo poi aggiungere quello legato ai disagi prodotti ogni anno dai festeggiamenti del Capodanno cinese. Tradizionalmente dal 7 al 17 febbraio la Cina si ferma, se non del tutto, almeno in parte». Secondo Betto, nelle prossime settimane, la capacità operativa di porti e navi potrebbe quindi subire il più classico dei colli di bottiglia. «Per questo motivo, nonostante l’aumento dei costi di spedizione nessun cliente, al momento, ha bloccato i propri ordini, pena il rischio di vedere posticipato il trasporto del proprio carico in data da definire».
Ma quali alternative si offrono all’azienda importatrice? E soprattutto, i maggiori costi di trasporto possono essere ribaltati sul prodotto finito? «Dipende dalle condizioni di mercato», spiega ancora Alberto Giana di Noyfil. «In generale se tutti i produttori di un determinato settore, in Europa, si trovano nella medesima situazione, sarà più semplice recuperare parte dei costi aggiuntivi, viceversa sarà più difficile». Ad ogni modo, conclude Giana, i problemi logistici tra Asia ed Europa mostrano, com’era già avvenuto durante la pandemia, la fragilità delle catene di approvvigionamento su scala globale. «D’altro canto, una crisi come questa fornisce un assist all’industria europea. Le aziende che riescono a gestire interamente il loro ciclo produttivo sul continente godono infatti di un vantaggio economico rispetto a quelle che importano dalla regione asiatica».