«Agiamo ora, la nostra civiltà sta andando contro un muro»

A volte partire dalle cose semplici è la soluzione migliore. Soprattutto quando dall’altra parte della cornetta c’è un Premio Nobel. E così dopo i preamboli di rito, Jacques Dubochet inizia a parlare. Lo interroghiamo su una questione di fondo, apparentemente banale, ma che pensiamo possa fornirci un primo leggero tratto per delineare la figura di un uomo di scienza. Lui, Premio Nobel per la chimica nel 2017, non ha mai smesso di occupare un ruolo attivo nella società. Una forma di impegno civile nutrita da una convinzione profonda: che la scienza è di tutti. E che la conoscenza rappresenta la sola via per progredire.
«La scienza è l’esplorazione della natura. L’unico modo che abbiamo di conoscere la vita è apprendere dalla natura stessa. È così e non si scappa. Il nostro futuro è legato alla conoscenza. Che tuttavia dovrebbe essere un bene collettivo. Purtroppo non è sempre così. Non tutti se ne rendono conto, ma credo di poter affermare che stiamo vivendo una vera guerra all’ultimo colpo tra chi desidera appropriarsi della scienza per i propri interessi personali e chi invece cerca di farne un bene pubblico per l’interesse collettivo. Questo, per esempio, è ciò che sta accadendo nel settore della chimica, diviso tra gli interessi mercantili delle case farmaceutiche e l’uso pubblico di queste conoscenze».


Non esistono frontiere
Il discorso ci porta al presente e alla pandemia: un tema che esemplifica bene il cuore del pensiero di Dubochet: «Questo conflitto tra uso corretto e uso distorto della scienza esiste da sempre. Tuttavia, oggi, con la pandemia questa opposizione si è manifestata in tutta la sua dimensione critica. Oggi il dibattito riguarda soprattutto i vaccini». Dubochet cita la distribuzione del farmaco contro il coronavirus nel mondo: «Solo il 2% della popolazione africana è vaccinata. In Europa circa il 70%». Ma la miopia dei Paesi ricchi sta nel misconoscere che «un virus non lo puoi fermare alla frontiera. Lo stesso vale per il clima e per il CO₂. Sono problematiche che riguardano tutti. L’Africa non vaccinata diventerà un incubatore di varianti che presto o tardi presenterà il conto all’Europa e al mondo intero».


Tra modestia e terrapiattisti
La scienza come guida della società, dunque. Ma come commentare allora la sfiducia che una parte della popolazione ha manifestato - e continua a manifestare - nei confronti della ricerca scientifica durante questi mesi di crisi sanitaria? «Credo che si debba fare attenzione a non confondere due termini: da una parte c’è la conoscenza, che è progressiva e che procede per errori. Dall’altra c’è l’utilizzo che possiamo farne. La conoscenza in sé, invece, è sempre un bene. Per tutti. Tranne per i terrapiattisti che si ostinano a non voler accettare le evidenze». Gli errori della comunità scientifica vanno quindi inseriti in un processo di verifica e di crescita collettiva: «Noi esploriamo la natura, ma lo facciamo con la modestia di chi sa che abbracciare la complessità della vita è impossibile. Conosciamo qualcosa ma non tutto. Possiamo sbagliarci e correggere il tiro. Ma il vantaggio del metodo scientifico sta proprio in questa modestia che ci consente e nello stesso tempo ci impone di riformulare le nostre convinzioni. In ogni caso, comunque, non avremo mai la risposta definitiva».
Le domande, invece, quelle, ci saranno sempre; accomunate dallo stupore generato dall’ignoto. «Stupore? È una nozione che non mi conviene del tutto», commenta Dubochet. «La scoperta della natura è un processo che avviene nel tempo e per stadi successivi e nella consapevolezza che non si è mai arrivati alla fine». Più che di «stupore», Dubochet parla di «ammirazione» per la complessità della vita. «Progredire nella vita, è progredire nella conoscenza».
Vetrificare si può
Un passo importante nel campo della chimica, Dubochet, l’ha compiuto. Con lo statunitense Joachim Frank e lo scozzese Richard Henderson, nel 2017 ha ottenuto il premio Nobel per la chimica per i loro studi in crio-microscopia elettronica. Ovvero? «Quando raffreddiamo l’acqua, questa si trasforma in ghiaccio. La scocciatura è che se vogliamo immobilizzare l’acqua per vedere le sue particelle, nel momento in cui la raffreddiamo si trasforma in ghiaccio. E il ghiaccio non è l’acqua. Ebbene, contrariamente a ciò che si pensava, siamo riusciti a trovare un modo per immobilizzare l’acqua senza modificarne la struttura molecolare. Siamo riusciti a vetrificare l’acqua». Un metodo che oggi consente di studiare sostanze biologiche nelle loro particelle senza alterarne la composizione. «Con questo metodo della crio-microscopia elettronica oggi possiamo studiare, per esempio, i virus mutanti, analizzandone la struttura molecolare. Partendo dalla scoperta che la vitrificazione è possibile, abbiamo potuto sviluppare un metodo che è la crio-microscopia elettronica che ci permette di guardare la materia biologica molto meglio che prima».
L’impegno per il clima
Con il premio Nobel, poi, è arrivata anche la notorietà e l’interesse dei media per un uomo «autentico» e socialmente impegnato in diverse associazioni cittadine a Morges. Lui, però, non si è mai montato la testa. Anzi, ha deciso di investire le sue energie a favore della lotta per il clima, sfruttando la nuova notorietà. «Prima venivo interpellato su ogni tema, poi ho capito che dovevo concentrare le mie forze su alcune priorità. La maggior parte delle persone lo hanno capito: la nostra civiltà sta andando contro un muro. Stiamo parlando di una minaccia globale che pesa sull’intero pianeta. Nei prossimi anni, l’umanità dovrà confrontarsi con problemi inimmaginabili. Nascondere la testa sotto la sabbia non è più possibile. Dobbiamo muoverci. Se non lo facciamo ora, sarà troppo tardi. I segnali sono sotto gli occhi di tutti. E la scienza lo va ripetendo oramai da mezzo secolo».