Alcune grandi aziende «tagliano», ma il mercato del giocattolo regge

«Il mercato del giocattolo sta crescendo. Ora prevediamo un ulteriore aumento del 5% per il mercato su scala globale entro il 2030. Insomma, siamo molto ottimisti». Le parole di Hans Christian von der Crone, presidente dell’Associazione svizzera dei giocattoli (SVS), fanno a pugni con le notizie che giungono da alcuni marchi del settore. Almeno all’apparenza. Già, ma quali notizie? A inizio ottobre, Playmobil annunciava tagli nella misura di 700 posti di lavoro in tutto il mondo, 370 dei quali in Germania. Il gigante statunitense Hasbro invece - cronaca di questa settimana - ha annunciato il licenziamento del 20% dei suoi dipendenti, qualcosa come 1.100 posti di lavoro. «Vendite deludenti in vista del Natale», la motivazione. E in Svizzera? L’azienda bernese Cuboro non si lamenta. Sebastian Etter, amministratore delegato, però ammette: «Le difficoltà, comunque, non mancano. A cominciare dalla forza del franco».
I periodi difficili
«Alcuni soffrono più di altri, ma è difficile generalizzare», afferma Von der Crone. E anche il mercato dei giocattoli, come altri, vive di oscillazioni. «Pensate alla pandemia. I puzzle hanno conosciuto un boom, in quel momento, proprio come l’elettronica, o i giochi outdoor. Già, però altri settori, al contrario, sono crollati. Chi produceva valigie, di sicuro non ha fatto affari grazie alla pandemia. Poi però il peggio della pandemia è passato, e le cose sono cambiate. Le persone sono tornate a viaggiare, quindi a comprare valigie». Ma non hanno smesso di giocare. «Magari la gente ha un po’ meno soldi da spendere, ma il mercato resta forte, più forte rispetto al 2019. Ottobre e novembre sono stati deludenti, sì, ma anche a causa del Black Friday, delle riduzioni». Cuboro non ha vissuto particolari oscillazioni grazie alla pandemia o a causa della sua lenta uscita di scena. Etter spiega: «In alcuni Paesi le vendite dei nostri prodotti sono aumentate, in altri diminuite, ma siamo di fatto rimasti stabili». L’idea è di non lasciarsi prendere, neppure nei periodi migliori, da un eccessivo ottimismo, quello che ti fa fare passi più lunghi delle proprie gambe. «Il nostro boom risale a sette anni fa. Un giovane campione di scacchi giapponese, nel corso di un’intervista, raccontò di come il nostro gioco fosse stato per lui formativo. Le vendite in Giappone, dove siamo presenti da vent’anni ormai, in quel momento si impennarono. Al punto che non fu nemmeno facile gestirle. Ma decidemmo di non cambiare nulla, di non gonfiarci troppo. E quindi rimanemmo in Svizzera, mantenendo la produzione qui, secondo quelli che sono i nostri valori di famiglia». Il problema delle fughe in avanti, è che poi la bolla rischia sempre di scoppiarti sul naso. È quanto sta accadendo, per esempio, al mercato dei videogiochi, che pure si mantiene su numeri altissimi.
Il franco forte
I numeri, sempre quelli. «È così. Come cittadini, abbiamo a che fare con tanti aumenti, l’energia, gli affitti, le assicurazioni sanitarie», continua Von der Crone. «Ma siamo comunque più propensi a rinunciare a una pizza, che non a un nuovo giocattolo che possa far felici i nostri figli». Detto questo, le difficoltà restano. «Certo, specie per le ditte che esportano i propri giochi all’estero. Per noi il franco forte è davvero un problema», spiega Etter. «Noi, con Cuboro, esportiamo più del 70% della nostra produzione. E quindi subiamo la debolezza delle altre monete. Se lo yen crolla, rispetto al franco, i nostri prodotti diventano di conseguenza più proibitivi per le famiglie giapponesi». Cuboro avrebbe potuto spostare la produzione altrove. «È pieno di ditte che hanno spostato la loro produzione in Cina per poi pentirsi e tornare indietro. Il nostro valore è la produzione svizzera, con materiale svizzero. In questo senso, anche durante la pandemia, non abbiamo avuto problemi di approvvigionamento: il legno arriva dal bosco accanto alla falegnameria». Poi ci sono altre cose, «come la concorrenza», aggiunge Etter. Ci arriveremo (e parliamo della Cina).
Una necessità
Tornando alla stretta attualità del mercato del giocattolo, ci si aspetta la solita fiammata per gli ultimi giorni prima del Natale. «Sono molto importanti le ultime due settimane, quindi proprio questi giorni. Le aspettative, in questo senso, sono buone. Anche perché ormai, sempre di più, la tendenza è di rimediare a un regalo gli ultimi giorni utili, anche se i grandi magazzini espongono giochi già da settembre», spiega sempre Von der Crone. Alcuni studi però già parlavano di una tendenza, in Svizzera (ma non solo) a spendere di meno per i regali di Natale. In tempi come questi, i giocattoli sono necessari? Per il presidente della associazione di categoria, evidentemente sì. Ed è difficile dargli torto. Secondo lui il settore è «non ciclico», non viene cioè influenzato da recessioni o boom economici, è in qualche modo indipendente dalle congiunture. «Anche perché giocare è una necessità», ed è formativo, educativo. Giocano i bambini e giocano gli adulti. Il target «kidults» è ormai centrale, per il settore. Pare che oggi valga il 30% circa del mercato del giocattolo. «Certo, adulti che giocano con i trenini o che collezionano card dei Pokemon. All’epoca potevano essere guardati con sospetto, mentre oggi è la regola. Ed è un mercato che si sta aprendo». Lo si era visto con la pandemia. Allora si era parlato molto del boom di puzzle e altro, di adulti che giocavano per non perdersi nei brutti pensieri. «Ora stiamo vivendo l’onda lunga di quel periodo, sì».
Mai fermarsi
Ma allora, se il mercato è attivo, ha nuove nicchie e riesce a differenziarsi, perché grossi marchi come Playmobil e Hasbro ora si trovano costretti a licenziare? Von der Crone non vuole entrare nei casi specifici, ma si fa capire molto bene. «Se siete tifosi di una squadra abituata a vincere, ma a un certo punto vedete che i risultati smettono di arrivare. E dallo spogliatoio escono crepe, malumori. Insomma, la squadra non vince più. Be’, probabilmente la ragione andrà cercata nella gestione del club». È quanto si dice sia accaduto a Playmobil. Ci sono però marchi che continuano a crescere, basti pensare alla Lego. «E altri che riescono a inserirsi molto bene. Pensate agli Squishmallows: non a caso l’industria dei peluche sta crescendo in tutto il mondo». Da fenomeno di TikTok all’impero commerciale di Warren Buffett è stato un attimo, per quel marchio. La stessa Cuboro, pur appoggiandosi su solidi valori svizzeri più che su estemporanee apparizioni social, non può restare ferma a guardare. «Da quando mio padre produsse il primo set standard, non abbiamo mai smesso di inventare altri pezzi, più lunghi, con rimbalzi, tunnel», aggiunge Sebastian Etter. «Cerchiamo insomma di rimanere innovativi, se no non si può andare avanti». E la sensazione è che non basti più solo inventare nuovi pezzi, bisogna saperli raccontare. «È così, è anche una questione di marketing. E c’è l’imballaggio, che deve rispettare un certo design, il passare dei tempi. Noi puntiamo su scatole fatte a mano, in Svizzera, destinate a durare e a essere parte del gioco stesso. Potremmo scendere a compromessi in termini di qualità, ma perderemmo la nostra identità». Anche per questo motivo Cuboro è esposto al MoMa.