La ricorrenza

Bicycle Day: ottant’anni di primati elvetici in materia di psichedelici

Era il 19 aprile del 1943 quando un chimico dell’azienda farmaceutica basilese Sandoz, Albert Hofmann, decise di testare su di sé gli effetti di una sostanza sintetizzata qualche anno prima, il dietilamide dell'acido lisergico: l'LSD, già
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19.04.2025 12:00

Era il 19 aprile del 1943 quando un chimico dell’azienda farmaceutica basilese Sandoz, Albert Hofmann, decise di testare su di sé gli effetti di una sostanza sintetizzata qualche anno prima, il dietilamide dell'acido lisergico. Sottostimandone drasticamente il potenziale, assunse una dose elevatissima e il suo rientro a casa si trasformò in quello che definì anni dopo «un viaggio dell’orrore»: un breve tragitto in bici tra le strade di Basilea, ma anche tra i meandri remoti della sua coscienza. Oggi quella sostanza è conosciuta come LSD, e quel rientro è passato alla storia come il primo «viaggio psichedelico»: in memoria di quell’episodio, il 19 aprile è celebrato in tutto il mondo come il Bicycle Day. A oltre ottant’anni da quell’evento, la Svizzera continua a distinguersi come pioniera nel campo degli psichedelici: è stata infatti il primo, e fino al 2023 l’unico, paese a permetterne l’uso medico limitato in ambito psicoterapeutico. «La Confederazione si è sempre distinta per una posizione politica e culturale unica», commenta la dottoressa Helena Aicher, psicoterapeuta e ricercatrice attiva nei team delle Università di Zurigo e Basilea. Attualmente, sono circa un centinaio gli specialisti elvetici che detengono una licenza per questo tipo di terapia, più di 4.500 le dosi finora somministrate e cinque i centri di ricerca specializzati disseminati sul territorio.

Un’eccezione legale

La cosiddetta «terapia psichedelica assistita» (PAT) prevede l’uso di sostanze come LSD, psilocibina e MDMA nel contesto di percorsi terapeutici. In Svizzera il loro consumo resta illegale, ma una deroga attuata per la prima volta nel 2014 ne consente un utilizzo medico limitato: possono cioè essere somministrate a pazienti le cui patologie non rispondono ad altri trattamenti. Si tratta però di una misura eccezionale, che non conferisce agli psichedelici lo statuto di medicamento: «Non è una terapia aperta a tutti – spiega Aicher – il paziente deve trovarsi in grande sofferenza, ed è necessario che il medico curante riceva  un’autorizzazione specifica per ogni paziente da parte dell'Ufficio federale della sanità pubblica». La sfera d’impiego principale è quella della psicoterapia: si tratta perlopiù di casi di depressione, ansia, disturbo post-traumatico da stress e dipendenze, tuttavia negli ultimi anni la ricerca ne ha esplorato il potenziale anche nell’ambito delle cure palliative e di alcuni disturbi somatici, come casi acuti di emicrania. Le sostanze impiegate sono prodotte secondo standard farmacologici rigorosi, in un laboratorio specializzato a Basilea: si tratta dunque di composti puri, sicuri e stabili. Le dosi variano da moderate a elevate: «Non esistono regolamenti rigidi – precisa la psicoterapeuta – ma è compito del terapeuta calibrare il giusto equilibrio per ciascun paziente, in seguito a un'analisi clinica e sulla base delle evidenze degli studi più recenti».

Nella maggior parte dei casi il paziente resta coricato, a occhi chiusi e in silenzio. Il terapeuta osserva l’intera seduta, che può durare dalle sei alle dodici ore: l’idea è che la persona viva l’esperienza in autonomia e tranquillità
Helena Aicher, psicoterapeuta e ricercatrice attiva nei team delle Università di Zurigo e Basilea

Un percorso a lungo termine

Come suggerisce la vicenda di Hofmann, i viaggi psichedelici sono esperienze profonde di autoriflessione, che possono rivelarsi molto impegnativi. «È essenziale chiarire la motivazione del paziente: non deve aspettarsi un miracolo, ma dimostrare il desiderio concreto di affrontare i propri problemi. L’obiettivo è un lavoro terapeutico a lungo termine, che va ben oltre l’esperienza del viaggio in sé», continua Aicher. La prassi della PAT prevede infatti che intercorra una relazione stabile tra terapeuta e paziente, sia prima che dopo l’assunzione. In fase iniziale, il terapeuta prepara il paziente e verifica che non rientri nei criteri di esclusione: anche durante l’assunzione, il paziente non è mai solo, ma il ruolo dello specialista rimane discreto. «Nella maggior parte dei casi il paziente resta coricato, a occhi chiusi e in silenzio. Il terapeuta osserva l’intera seduta, che può durare dalle sei alle dodici ore: l’idea è che la persona viva l’esperienza in autonomia e tranquillità, anche se capita che ci siano delle brevi interazioni, verbali e non». Fondamentale è infine il momento dell’integrazione a posteriori, in cui terapeuta e paziente elaborano insieme ciò che è emerso durante lo stato di coscienza alterata.

Un nuovo paradigma della psichiatria

Diversamente dalla psicofarmacologia tradizionale, che tende a sedare i sintomi e a porre il paziente in una posizione passiva, la PAT adotta una logica opposta. Qui il farmaco non sopprime, ma amplifica: cambia lo stato di coscienza, portando in superficie emozioni, ricordi e paure. A seconda della persona, la fenomenologia dell’esperienza può variare profondamente: «Per alcuni si tratta di esperienze quasi mistiche, caratterizzate da sensazioni di connessione e accettazione universali, mentre per altri sono preponderanti aspetti più biografici, legati alla scoperta di sé stessi, dei propri pattern relazionali, delle proprie memorie» continua Aicher. Ma alterare la coscienza significa anche confrontarsi con le proprie ombre: «Può succedere che il paziente viva momenti di ansia o disorientamento – osserva l’esperta – anche queste reazioni sono significative e vanno comprese nel lavoro successivo».

Non si tratta di una panacea. Ci sono storie di successi straordinari, ma la psicoterapia, anche con l’ausilio degli psichedelici, resta un processo impegnativo, che richiede tempo, fatica e disponibilità al cambiamento
Helena Aicher, psicoterapeuta e ricercatrice attiva nei team delle Università di Zurigo e Basilea

Il rinascimento psichedelico, ma nessuna panacea

«Quando ho iniziato a occuparmi di questo tema, era ancora un interesse di nicchia, circondato da scetticismo» ricorda Aicher. Dopo l’ondata iniziale seguita alla scoperta dell’LSD, l’uso degli psichedelici venne proibito e con esso anche la ricerca clinica si bloccò per decenni. A partire dagli anni ’90, la curiosità scientifica è rifiorita e negli ultimi due decenni si è parlato di un vero e proprio «rinascimento psichedelico». Il potenziale trasformativo è grande, ma è importante non cedere a facili entusiasmi, ammonisce l’esperta: «Non si tratta di una panacea. Ci sono storie di successi straordinari, ma la psicoterapia, anche con l’ausilio degli psichedelici, resta un processo impegnativo, che richiede tempo, fatica e disponibilità al cambiamento».

Anche il Ticino si mobilita

Anche il nostro cantone non sembra voler restare indietro: «Negli ultimi due anni abbiamo notato un forte fermento e un crescente domanda sia da parte dei pazienti che dei professionisti» racconta Ricardo Fernandez, presidente della Fondazione Alaya. Attiva da oltre quattro anni nel campo della terapia assistita con psichedelici, la Fondazione promuove la PAT sul territorio, offrendo corsi di formazione, eventi divulgativi e reti di collaborazione tra specialisti, in quanto prima piattaforma di scambio in lingua italiana. «Gli psichedelici sono sostanze con un grandissimo potenziale, ma anche molto complesse: la prima sfida è formare i professionisti del settore a questo nuovo paradigma. L’auspicio – conclude Fernandez – è che presto siano rese disponibili delle formazioni certificate dalla Confederazione».