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Brienz ma non solo: che cosa significa abbandonare le proprie case?

La storia della Svizzera è ricca di episodi che narrano di villaggi abbandonati a causa di eventi naturali, epidemie o, venendo alla costruzione delle dighe, progresso
© KEYSTONE / Gian Ehrenzeller
Red. Online
10.05.2023 14:30

Brienz. Ma non solo. A ricordarlo, fra gli altri, è la versione francese del Blick. L’evacuazione forzata, il futuro incerto, la vita sospesa e, spesso, in pericolo. Il passato, mentre la cronaca di questi giorni regna sovrana, torna prepotentemente d’attualità. E così, con i residenti del villaggio grigionese invitati ad andarsene entro le 18 di venerdì a causa del forte, fortissimo rischio geologico, è interessante ricordare altri eventi naturali che, giocoforza, hanno segnato la storia del nostro Paese. A Brienz, volendo riavvolgere brevemente il nastro, un volume di roccia di due milioni di metri cubi che sovrasta il paese si muove così velocemente che se ne prevede il distacco al più tardi fra tre settimane, hanno comunicato le autorità. Di qui la necessità di evacuazione.

Il nucleo della Prèsa

Detto di Brienz, il nostro racconto comincia oltre quattrocento anni fa. Nel nucleo medievale della Prèsa a San Carlo, in Val Bavona. Insediamento permanente almeno sin dal XIII secolo, si legge sul sito ufficiale di Cevio, fu abbandonato nel periodo a cavallo fra il XVI e il XVII secolo a causa dei pericoli naturali: l’incombente frana tuttora attiva, le frequenti alluvioni che spostavano il corso del torrente e le valanghe che si abbattevano sulla zona costrinsero infatti gli abitanti a trovare una sistemazione più sicura a San Carlo. Alle loro spalle, queste persone lasciarono case, beni materiali, ovviamente ricordi. Una situazione, quella della Prèsa, paragonabile fra l’altro a quella che caratterizza Brienz: allora come oggi, beh, si parla di uno scivolamento minaccioso del terreno. Oggi, il vecchio nucleo della Prèsa è un insieme di rovine: una chiesa, stalle, granai per la conservazione della segale, un mulino e un forno per la calce.

Che cosa successe a Prada?

Rimaniamo in Ticino. Prada, sopra Bellinzona, un tempo era abitato da 200 persone per una trentina di case. Nel XVI secolo, tuttavia, le famiglie presero armi e bagagli e abbandonarono quei luoghi, divenuti improvvisamente teatro di morte. Quali le cause? Difficile dirlo. Così la Fondazione Prada, deputata a preservare e ricostruire lo storico villaggio, sul proprio sito: «Una leggenda metropolitana attribuisce lo spopolamento di Prada all’epidemia di peste del 1629-1630 detta di “Federico Borromeo”, citata dal Manzoni nel romanzo I promessi sposi, che infierì anche a Milano 6 mesi dopo le nostre terre. Pare infatti che Prada fu adibita a lazzaretto per gli appestati. Ma anche questa ipotesi non ha nessuna valida conferma». E ancora: «Quando il pastore protestante Rudolf Schinz visitò il Ticino nel 1770 parla, nelle sue cronache, delle case di Prada come costruzioni edificate in fretta per dar rifugio alla popolazione durante l’epidemia di peste; ma non dice di quale epidemia si tratti. Da notare che, nel 1770, Prada era già disabitata da più di un secolo. Una cosa certa è che le case di Prada sono tutt’altro che costruite in fretta anzi denotano una cura di costruzione molto precisa e dettagliata adoperando malta di calce molto resistente e sassi ben lavorati e posizionati a regola d’arte, come si può constatare ancora ai giorni nostri. Se i costruttori di Prada non avessero adoperato questi accorgimenti, attualmente ci troveremmo di fronte a un ammasso di rovine molto peggiore. Dai registri della Confraternita del Santissimo Sacramento della parrocchia di S. Biagio di Ravecchia, si nota che le ultime registrazioni di persone provenienti da Prada risalgono al 1630 -1640 circa, proprio dopo la peste sopradescritta. Altra ipotesi, forse la più attendibile, è che Prada si spopolò gradualmente e per una serie di cause ancora sconosciute».

Una questione di dighe

A distruggere alcuni villaggi è stato anche il progresso. Nel secolo scorso, difatti, oltre una dozzina fra villaggi, frazioni e distretti hanno lasciato il campo a dighe e affini.

Nel 1932, vicino a Einsiedeln, nel Canton Svitto, cominciò la costruzione del più grande lago artificiale della Svizzera in termini di superficie, il Sihlsee. Furono costruite nuove strade, due viadotti, una diga e due dighe di chiusura sopra i villaggi dell’epoca... Una valle descritta da Goethe nel suo diario del 1797, nel processo, scomparve. Nel 1937, parti di Willerzell, Euthal, Gross e Steinbach furono inondate. Non solo, 55 fattorie furono distrutte e 1.762 persone dovettero lasciare le loro case. Molte di loro, non vedendo più un futuro in Svizzera, emigrarono negli Stati Uniti.

Gli abitanti di Marmorera, nei Grigioni, subirono un destino simile 17 anni più tardi. Nel 1954, le società elettriche di Zurigo completarono la costruzione della diga. L’antico villaggio nel centro dei Grigioni, con le sue 29 case, 52 stalle, la scuola e la chiesa, fu quindi inghiottito dall’acqua.

Anche alcune parti del distretto di Vogorno, in Ticino, furono sommerse dall’acqua. La diga della Verzasca, già, completata nel 1965 dopo cinque anni di lavori. Le case più sontuose di Pioda, fra cui il Ristorante California o la locanda dal tetto in granito, come ricorda il Blick sono ora solo immagini in bianco e nero ingiallite dal tempo.