Economia

Capitalizzazione delle banche: i pareri divergono

Dopo il salvataggio di Credit Suisse (CS), il dibattito sulla capitalizzazione delle banche svizzere è tornato al centro dell'attenzione
©Gabriele Putzu
Ats
14.04.2023 17:27

Dopo il salvataggio di Credit Suisse (CS), il dibattito sulla capitalizzazione delle banche svizzere è tornato al centro dell'attenzione. I sostenitori vedono nella richiesta di quote di capitale proprio significativamente più elevate uno strumento semplice per rendere più stabili gli istituti bancari, mentre gli oppositori mettono in guardia dai rischi per l'economia nazionale.

In effetti, il coefficiente patrimoniale, in particolare delle grandi banche, sembra estremamente basso. Ad esempio, CS alla fine dello scorso anno presentava un leverage ratio del 5,4% e UBS arrivava solo al 4,4% - in entrambi i casi i requisiti delle autorità di regolamentazione erano rispettati.

In nessun altro settore esistono aziende sane con il 5% di capitale proprio, ha dichiarato recentemente l'economista statunitense Adnat Admati in un'intervista al settimanale di sinistra svizzero tedesco Wochenzeitung (WOZ). All'indomani della crisi finanziaria del 2008, la professoressa di economia alla prestigiosa università di Stanford, in California (Usa), insieme all'economista tedesco Martin Hellwig, si era già espressa a favore di requisiti patrimoniali più elevati in un libro diventato di riferimento.

La richiesta ha fatto breccia anche tra alcuni politici. Prima della sessione straordinaria delle Camere federali su CS di questa settimana, ad esempio, il presidente dell'Alleanza del Centro e consigliere nazionale Gerhard Pfister (ZG) ha chiesto un coefficiente patrimoniale di almeno il 20%. Il parlamento ha ora incaricato il Consiglio federale di esaminare un aumento sostanziale del leverage ratio.

L'idea che una migliore capitalizzazione possa conferire alle banche una maggiore resilienza sembra logica. Per Sergio Rossi, professore di economia all'università di Friburgo, ad esempio, è chiaro che quanto più rischiose sono le attività di una banca, tanto più alto dovrebbe essere il suo capitale proprio, come ha dichiarato oggi all'agenzia di stampa economico-finanziaria Awp.

Un capitale proprio di almeno il 20% non solo rafforza la solvibilità dell'azienda, ma rende anche le strategie commerciali rischiose non redditizie, ha affermato l'economista lucernese Christoph Schaltegger interrogato da NZZ Magazin. Le perdite, ha indicato, vengono assorbite dal capitale proprio e non possono più essere semplicemente scaricate sul pubblico.

C'è però anche chi si oppone a un aumento significativo dei requisiti patrimoniali. Ad esempio, l'economista Klaus Wellershoff ha messo in guardia nella Handelszeitung da danni economici: banche di importanza sistemica come PostFinance o Raiffeisen sarebbero costrette a ridurre le loro attività se non potessero raccogliere il capitale proprio necessario. Questo potrebbe portare direttamente a una "gigantesca crisi del credito", ha affermato il consulente ed ex capo economista di UBS.

I critici sottolineano i costi elevati per il reperimento di capitale proprio aggiuntivo per le banche. Questo potrebbe ridurre la redditività degli istituti. Inoltre, se dovessero trasferire i costi ai loro clienti, i tassi di interesse dei mutui ipotecari, ad esempio, potrebbero aumentare drasticamente: un articolo del quotidiano zurighese Blick, che cita dati del Gruppo Raiffeisen, parla di sovrapprezzi per un mutuo ipotecario di circa 1,5 punti percentuali.

Inoltre, l'unica grande banca svizzera rimasta, UBS, avrebbe un problema particolare: regole severe nella Confederazione significherebbero per lei requisiti massicciamente più elevati rispetto ai suoi concorrenti internazionali.

I sostenitori invece negano che coefficienti di capitale proprio più elevati abbiano un impatto sul credito bancario. Se il capitale proprio è effettivamente così costoso da racimolare per le banche, ciò dimostra soprattutto che i potenziali finanziatori considerano rischioso tale investimento, sostengono. "Se nessuno vuole comprare le azioni, questo è un chiaro segno che la banca non è sana e forse addirittura insolvente", ha affermato l'economista Admati.

Il settore è ancora piuttosto assente dal dibattito. Per l'Associazione svizzera dei banchieri (ASB), prima di formulare raccomandazioni su un eventuale adeguamento delle normative bancarie, è necessaria una "comprensione più approfondita dei processi e degli eventi", come ha dichiarato ad Awp un portavoce. "Le informazioni necessarie a tal fine non sono ancora disponibili."

Regole chiare in materia di capitale proprio accrescerebbero la trasparenza. La maggior parte delle banche preferisce ancora comunicare i propri "coefficienti patrimoniali ponderati per il rischio", che si basano su una valutazione del rischio degli investimenti. Questi coefficienti non sono affatto trasparenti. Per il professore di economia di Friburgo Rossi, l'attuale regolamentazione bancaria è in realtà un "frutto dell'immaginazione dei regolatori", dice. "È di fatto impossibile valutare i rischi delle diverse categorie di attività finanziarie".